Nei notiziari degli ultimi mesi si sono moltiplicate le dichiarazioni secondo le quali adottare l’euro è stato un errore. Vediamone alcune:

–       “Adottare l’euro così presto è stato un tragico errore” (Roland Berger, fondatore della Roland Berger Strategy Consultants GmbH);

–      Il lancio dell’euro è stato un errore gigantesco di proporzioni storiche, realizzato troppo presto“ (Kenneth Rogoff, professore di Harvard);

–       “L’euro è un tragico errore dell’Europa” (Vaclav Klaus, ex presidente della Repubblica Ceca);

–       “Moneta catastrofica” (Oskar Lafontaine, ex ministro delle Finanze, uno dei padri fondatori della moneta unica);

–       “In conclusione l’esperimento dell’euro è fallito” (François Heisbourg, presidente dell’International Institute for Strategic Studies a Londra);

–       Il “Sole 24 Ore” del 17 dicembre 2013 pubblica le dichiarazioni di sei premi nobel per l’economia – Milton Friedman, Joseph Stigliz, Paul Krugman, Amartya Sen, Christopher Pissarrides e James Mirrless – sul fallimento del sistema euro;

–       “L’euro è stato un errore e la sua gestione è stata disastrosa” (Henri Guaino, consigliere dell’ex presidente francese Nicolas Sarkozy);

–       Parlando in una pausa della conferenza Cigi-Inet di Toronto, il nuovo “think tank” sostenuto da George Soros, Joseph Stiglitz conferma la sua posizione negativa sul futuro dell’euro, dicendo: “Credo che sia un sistema alla base, fondamentalmente instabile.”

–       “L’Unione monetaria è fallita … Dobbiamo pensare a un secondo passaggio – l’uscita dall’euro” (Frits Bolkestein, ex commissario UE).

Inoltre stanno fiorendo in diversi paesi partiti, gruppi o fronti di euroscettici “che chiedono che la sovranità monetaria delle nazioni che adottano l’euro non venga calpestata dal centralismo di Bruxelles e Francoforte, che ha di fatto svuotato di gran parte delle loro funzioni i Parlamenti e le Banche Centrali nazionali, senza però sottoporsi al giudizio popolare” (citato da: http://www.formiche.net/2013/09/22/il-partito-anti-euro-sta-nascendo-anche-italia/). Fra questi gruppi o partiti possiamo citare: “Alternative für Deutschland” in Germania, “Alba dorata” in Grecia, il “Partij voor de Vrijheid” in Olanda, il “UKip” in Inghilterra, il “Ldd” in Belgio. Ma anche in Italia “sembra ora prendere piede … un vero e proprio dibattito nazionale tra economisti e intellettuali – Paolo Savona, Antonio Rinaldi, Claudio Borghi, Giuseppe Guarino, Giorgio La Malfa e Alberto Bagnai alcuni di loro – fortemente critici verso l’attuale politica europea”. Possiamo menzionare in questo contesto il libro “Europa Kaputt – (S)Venduti all’Euro” di Antonio Rinaldi, presentato durante un convegno nel settembre 2013.

Ma è interessante menzionare che si possono trovare delle analisi molto scettiche sulla convenienza e sugli effetti negativi di una moneta unica persino diversi anni prima della creazione dell’euro. In uno studio intitolato “Gli effetti dinamici del mercato comune”, pubblicato nel 1971 (28 anni prima dell’introduzione dell’euro!), l’economista inglese Nicolas Kaldor scriveva: “Ma si commette un errore pericoloso nel credere che l’unione monetaria ed economica possa precedere l’unione politica … se la creazione di una unione monetaria e il controllo della Comunità sui bilanci nazionali saranno tali da generare pressioni che conducono ad una rottura dell’intero sistema, è chiaro che lo sviluppo dell’unione politica sarà ostacolato e non promosso.”

Dal canto suo l’economista americano Martin Feldstein ha espresso il suo scetticismo nei confronti della moneta unica in diversi scritti, alcuni usciti anni prima dell’introduzione dell’euro. Nel 1992 scrive: “Il passaggio a una moneta unica … è probabile che riduca il benessere economico facendo crescere la disoccupazione e aumentando la volatilità ciclica nelle singole nazioni”; nel 1997: “… il passaggio all’Unione Monetaria Europea e l’integrazione politica che ne seguirebbe, condurrebbe con molta probabilità a un aumento dei conflitti all’interno dell’Europa”; e finalmente nel 2012: “L’euro dovrebbe ora essere riconosciuto come un esperimento fallito. Questo fallimento … [è] l’inevitabile conseguenza di aver imposto una singola moneta a un gruppo molto eterogeneo di nazioni. Le conseguenze economiche avverse dell’euro includono la crisi del debito sovrano in diversi paesi europei, la fragilità di alcune fra le maggiori banche europee, [e] alti livelli di disoccupazione nell’eurozona … [inoltre] si è fallito pure nella meta politica di creare un’Europa armoniosa.”

Sorprendono soprattutto le previsione di Kaldor e di Feldstein, fatte diversi anni prima dell’introduzione dell’euro. Ma cerchiamo di capire più precisamente perché adottare l’euro è stato un errore. Come scrive Martin Feldstein, il fallimento dell’euro è “l’inevitabile conseguenza di aver imposto una singola moneta a un gruppo molto eterogeneo di nazioni”. Ma a quali fattori, a quali aspetti di questa eterogeneità si deve maggiormente il fallimento dell’euro? Cercheremo di abbozzare una spiegazione economica più semplice possibile.

Gli elementi centrali da prendere in considerazione sono i seguenti:

1. Concettualmente, uno Stato ha tre possibilità o fonti principali per finanziare la sua spesa pubblica:

  1. Le imposte in tutte le sue forme: imposte dirette e indirette, dazi doganali, ecc.; le imposte costituiscono gli introiti ordinari dello Stato;
  2. L’emissione monetaria;
  3. L’emissione di titoli di debito: obbligazioni, buoni e certificati del Tesoro.

L’emissione monetaria e di titoli di debito vengono considerate fonti di introiti straordinarie.

Esiste una quarta fonte, spesso di minore importanza, ma che vale la pena menzionare: gli introiti provenienti dalle proprietà dello Stato.

2. In generale, uno Stato ben amministrato cerca di finanziare le spese pubbliche il più possibile per mezzo di imposte e utilizza l’emissione di titoli di debito soltanto quando il gettito fiscale risulta insufficiente, soprattutto quando si tratta di finanziare spese straordinarie, generalmente investimenti. Perché questa prudenza nell’uso dell’emissione monetaria e di titoli di debito? Le ragioni sono molto semplici:

  1. Un’emissione monetaria troppo elevata genera inflazione, ossia aumento del livello generale dei prezzi, e svalutazione della moneta nazionale nei confronti delle valute estere;
  2. L’emissione di titoli di debito pubblico per finanziare spese correnti porta ad un aumento esponenziale del debito pubblico, dovuto agli interessi sui titoli di debito emessi in passato.

In base a questi due elementi si capisce immediatamente perché quegli Stati che hanno sistemi fiscali complicati e inefficienti e che si prestano più facilmente ad atti di corruzione ed evasione, generalmente fanno più fatica a coprire le spese pubbliche (correnti) con il gettito fiscale (ordinario) e devono ricorrere più spesso ed in misura maggiore all’emissione monetaria e di titoli di debito pubblico. Inoltre, questi Stati generalmente si caratterizzano anche da un controllo insufficiente della spesa pubblica ed uno spreco pubblico molto elevato, cosa che incentiva a sua volta l’evasione e la corruzione fiscale. Come conseguenza, questi Stati si indebitano ad un ritmo maggiore ed hanno bisogno di fare assai più uso di quello che, in economia, si chiama l’imposta inflazionaria, poiché, generando inflazione, l’emissione monetaria agisce come un’imposta, riducendo (attraverso l’aumento dei prezzi) il potere d’acquisto dei privati e trasferendo in questo modo risorse allo Stato.

Orbene, entrando a far parte di un’unione monetaria, uno Stato – per definizione – deve rinunciare allo strumento dell’emissione monetaria propria e viene perciò costretto a coprire i disavanzi pubblici aumentando la pressione fiscale e soprattutto emettendo titoli di debito. Ciò spiega perché questi Stati hanno aumentato tanto il loro debito, come mostra la Tabella 1.

Tabella 1:       Variazione del Debito pubblico in % del PIL delle maggiori nazione dell’area euro, 2007 – 2013

 

Variazione

Nazione

da

a

Finlandia

35.2

56.9

Francia

63.9

93.5

Germania

64.9

78.4

Grecia

105.4

176.2

Irlanda

25.0

127.2

Italia

103.6

132.6

Portogallo

68.3

128.7

Spagna

36.1

94.2

A titolo di paragone conviene dare un’occhiata agli Stati che sono invece rimasti fuori dall’area dell’euro. Come mostra la Tabella 2, il loro debito pubblico come percentuale del PIL è in generale più basso e, salvo nei casi di Danimarca e Regno Unito, si è ridotto o, se non altro, non è aumentato durante lo stesso periodo che inizia con la crisi subprime nel 2007.

Tabella 2:       Variazione del Debito pubblico in % del PIL di alcune nazione non appartenenti all’area euro, 2007 – 2013

 

Variazione

Nazione

da

a

Danimarca

27.5

44.3

Norvegia

50.7

29.4 (2012)

Regno   Unito

44.5

94.3

Svezia

40.2

40.2

Svizzera

41.8

35.4

Esaminando le nazioni del Europa del sud che poi sono entrate nell’euro, scopriamo inoltre che, per i motivi esposti, avevano effettivamente fatto assai uso dell’inflazione e della svalutazione delle loro monete nei confronti del marco tedesco durante i decenni prima dell’euro, come mostra la Tabella 3.

Tabella 3:      Svalutazione di alcune monete nazionali rispetto al marco tedesco prima dell’introduzione dell’euro

 

Aumento

Svalutazione

Cambio

da

a

fra

e

media annuale

Franco   francese / Marco tedesco

1.52

3.35

gennaio 1971

gennaio 1999

2.9%

Dracma   greca / Marco tedesco

24.57

174.34

aprile 1981

dicembre 2000

10.5%

Lira   italiana / Marco tedesco

171.37

990.00

gennaio 1971

gennaio 1999

6.5%

Escudo   portoghese / Marco tedesco

8.39

102.50

gennaio 1973

gennaio 1999

10.1%

Peseta   spagnola / Marco tedesco

19.86

85.02

gennaio 1973

gennaio 1999

5.7%

Evidentemente i sistemi fiscali di queste nazioni avrebbero avuto bisogno di riforme ed adeguamenti molto più incisivi prima di entrare nella zona euro, riforme che naturalmente non sono state realizzate; gli Stati in questione hanno preferito di abbellire e ritoccare – in alcuni casi persino truccare – i loro coefficienti per adeguarli ai requisiti di Maastricht. In altre parole, le nazioni dell’Europa del sud non si erano affatto preparate dal punto di vista fiscale per entrare nell’euro, cosa che – fra varie altre personalità – l’euro-diputato inglese Nigel Farage (della UKip) ha ripetuto più volte nei suoi interventi al Parlamento Europeo.

Ma bisogna prendere in considerazione un terzo elemento:

3. Nella misura in cui le nazioni hanno evoluzioni differenti delle loro produttività, vi è bisogno di un corrispondente adeguamento dei livelli dei prezzi nazionali che, in linea di massima, può essere realizzato o mediante svalutazione/rivalutazione della moneta nazionale oppure mediante deflazione/inflazione interna. Il problema sta nel fatto che, in termini di disoccupazione e chiusure aziendali, una (piccola) svalutazione continua è molto meno dolorosa di una deflazione interna.

Questo elemento – aggiunto all’accresciuta pressione fiscale – aiuta a spiegare perché nelle nazioni dell’Europa del sud che sono entrate nell’euro, la disoccupazione è aumentata così fortemente a partire dalla crisi del 2007, mentre in Germania si è ridotta, come mostra la Tabella 4. Secondo un articolo apparso pochi giorni fa in www.ticinolive.ch, i disoccupati in Spagna sono arrivati a quasi 6 milioni di persone!

Tabella 4:       Variazione del tasso di disoccupazione di alcune nazioni dell’Unione Europea,

1° trimestre 2007 – 4° trimestre 2013

 

Variazione

Nazione

da

a

Germania

9.2%

5.3%

Grecia

8.6%

27.5%

Italia

6.0%

12.4%

Portogallo

8.2%

15.4%

Spagna

8.2%

26.2%

Anche quest’ultimo aspetto è stato menzionato più volte da più parti e si capisce perché il già citato euro-diputato inglese Nigel Farage in uno dei suoi interventi al Parlamento Europeo ha tuonato: “La Grecia ha bisogno di una svalutazione e non di aiuti finanziari!” Ed in un altro intervento, lo stesso Farage dice: “La Grecia che nell’antichità aveva istituito la democrazia, entrando nella zona euro ha praticamente perso i suoi diritti democratici; la Grecia è stata ridotta ad una specie di protettorato dell’UE ed i suoi politici sono diventati dei fantocci della Troika.” Parole molto dure che sottolineano anche il fallimento del progetto europeo.

In questo modo si capisce anche perché si è arrivati ad “un aumento dei conflitti all’interno dell’Europa” e “si è fallito pure nella meta politica di creare un’Europa armoniosa”, come scrive Martin Feldstein. Con i tassi di disoccupazione raddoppiati in Italia e Portogallo e triplicati in Grecia e Spagna, è ovvio che la pace sociale nei paesi in questione è in pericolo. E di manifestazioni dure ne abbiamo viste per così! In più, continua ad aumentare la schiera degli euroscettici e di coloro che si oppongono a un’Europa “Unita” dominata dalla Germania.

Per finire, tornano in mente le parole di Vladimir Bukovsky:

“L’UE corrisponde al vecchio modello sovietico, rivestito all’occidentale. Ma come l’URSS, l’UE porta dentro di se i semi della propria distruzione. Purtroppo quando crollerà – poiché un giorno crollerà – lascerà dietro di se un’enorme distruzione e giganteschi problemi economici ed etnici.

L’antico sistema sovietico non era riformabile. Lo stesso vale per l’UE. Ma esiste un’alternativa a lasciarsi governare da due dozzine di funzionari autonominati a Bruxelles. Si chiama Indipendenza. Voi non siete obbligati ad accettare ciò che vi riservano. Non vi hanno mai domandato se volete accodarvi a loro.

Io ho vissuto nel vostro futuro e non ha funzionato…”

historicus