“La morfina non guarisce… ma illude” ci avverte, severo, il grande finanziere. Ma lo ascolteremo? Meglio: lo ascolteranno?

(dal Corriere del Ticino; pubblicato con il permesso dell’Autore)


Le banche centrali (da noi Banca nazionale) hanno il compito (oltre all’emissione della moneta) di mantenere con la politica monetaria la stabilità dei prezzi. Per contro, secondo autorevoli economisti, la crescita economica non è controllabile tramite le politiche monetarie. Godono spesso di notevole indipendenza e autonomia, libere formalmente da esigenze elettoralistiche e partitiche che condizionano i Governi.

Nelle banche centrali si concentra oggigiorno il maggior potere esistente a livello mondiale: sono loro che hanno progettato e coordinato la reazione alla recente crisi finanziaria (2008). Hanno immesso nel circuito economico (USA e Europa) migliaia di miliardi di dollari e euro e si pensa che ciò abbia permesso di evitare il peggio. La prova non l’avremo mai perché non sappiamo cosa sarebbe stato questo peggio. Sappiamo però che la loro politica è diventata pesantemente interventistica ed i loro bilanci si sono gonfiati a dismisura (il bilancio della Fed è passato da 914 miliardi di dollari nel 2007 a 4 mila miliardi nel 2013). Parlo di Fed degli Stati Uniti, della BOJ giapponese, Bank of England, BCE con il corollario di banche centrali europee, Banca nazionale svizzera ed in misura minore di qualche banca di Paesi emergenti.

Con la sua ultima decisione la Banca centrale europea ha nuovamente ridotto i tassi di interesse ormai quasi a livello zero e messo a disposizione delle banche degli Stati dell’euro 400 miliardi a tassi di favore per quattro anni (sino al settembre 2018) da prestare all’economia reale, preferibilmente piccole e medie imprese. La politica di tassi artificialmente bassi, tanto che i depositi non rendono nulla, voluta dalle banche centrali, è una politica che mette a carico di risparmiatori, pensionati, casse pensioni
e fondi di risparmio il risanamento (illusorio?) delle finanze di Stati superindebitati e che non sono in grado di sopportare l’onere di interessi normali. Il risparmio oggi è ingiustamente tassato due volte: dalle imposte e per il mancato reddito voluto dal potere.

Per quanto concerne l’ulteriore immissionedi liquidità, non impressiona tanto l’ammontare, che pare rappresenterebbe il 7% dei crediti in essere con le imprese e le famiglie, quanto l’invasione di campo. La BCE ha deciso di essere attrice in un campo non di sua pertinenza, vale a dire esonda dalla politica monetaria per influire sulla politica industriale e creditizia. Un modo soft per preparare un parziale futuro controllo del credito? La circostanza dà adito a perplessità innanzitutto perché attualmente non si soffre di penuria, ma per contro di un eccesso di liquidità. L’eccesso di liquidità oltre a creare pericolose euforie sui mercati, che ormai non rispondono più a considerazioni (macro)economiche ma cercano di intuire l’evoluzione a corto termine determinata dall’intervento della politica e delle banche centrali, sta stimolando chi riprende la strada di superfinanziati arbitraggi che hanno portato alla crisi originata tra l’altro dal conseguente utilizzo scriteriato di derivativi finanziari. Una bolla finanziaria ci attende. Poi si dirà che è colpa del libero mercato.

Dobbiamo purtroppo constatare che nonostante anni di politica sempre più interventistica, i massicci aiuti (migliaia di miliardi), i tassi innaturalmente bassi e punitivi per il risparmio, non si è ottenuto molto, salvo avviarci sulla strada giapponese dell stagnazione. Tutti vogliono (a parole) la ripresa economica che si otterrebbe, sostengono alcuni, con l’aumento di tasse (anche solo per i ricchi), dimenticando che ciò vuol dire sottrarre mezzi al consumo e all’investimento e quindi alle leve del rilancio. Lavori pubblici e nuove infrastrutture è l’altro mantra degli statalisti per la ripresa. Si dimentica che le conseguenze sono solo a lungo termine (basti pensare ai tempi di esecuzione delle infrastrutture), il pericolo di cattedrali nel deserto, vale a dire cattivo impiego di soldi pubblici per quanto riguarda le costruzioni, origina investimenti in un settore che non ne ha necessità particolare e crea posti di lavoro non duraturi e spesso poco qualificati.

L’uscita dalla crisi non passa da sempre maggiori politiche dirigistiche e interventistiche. Passa dalla riduzione delle tasse (anche a costo di momentanei aumenti del debito pubblico). Solo in tal modo e immediatamente si mettono soldi a disposizione dei consumi.Passa attraverso le riforme strutturali e la certezza delle condizioni quadro. I mercati del lavoro ingabbiati, le eccessive regolamentazioni, l’atteggiamento ondulatorio della politica e di amministrazioni sempre pronte a trovare interpretazioni punitive, il mortificare la competizione e l’inventiva, il considerare il profitto disdicevole non invitano certo a intraprendere (creando ricchezza e posti di lavoro). Ma riconoscere ciò vorrebbe dire ammettere da parte dei politici i loro pesanti errori e la responsabilità di aver creato un modello di società non più finanziabile. E così si spera che le banche centrali permettano di ritardare la resa dei conti con iniezioni di morfina che non guariscono ma illudono e portano all’assuefazione.

Tito Tettamanti