Immigrazione e democrazia diretta

Al 31.12.2013 il paese europeo che ospitava più stranieri era il Lussemburgo, con un superbo (?) 43,8%. Ma si tratta in realtà di belgi, francesi e alcuni tedeschi e olandesi, cioè di vicini di casa. Al secondo posto la Svizzera, con un 22,8%, in maggioranza da Balcani, Medio Oriente e Africa, “lontani di casa e di cultura” quindi, piaccia o non piaccia agli amatori del culti-multi. Veniva poi Cipro, 20%, anche qui vicini di casa greci e turchi, nelle rispettive metà dell’isola. A ruota la Lettonia, 16,3%, la Estonia, 15,7%, la Lituania solo lo 0,7%, fornitrice di ospiti ai due cugini predetti, l’Italia un buon 7,9%, di immigrati accolti e subito spediti al nord senza prelievo di impronte digitali, per evitare almeno parzialmente le conseguenze del trattato di Dublino. Per tutta l’UE, una media del 6,8%. Cifre queste che dovrebbero ampiamente bastare al nostro Governo per andare a Bruxelles ad esporre le motivazioni del voto popolare del 9 febbraio scorso e per trattative serie sulla libera circolazione delle persone. Purtroppo a mancare non sono gli argomenti, ma la volontà politica di consiglieri federali più inclini alle genuflessioni che ad una tenace difesa delle nostre indipendenza, sovranità e libertà.

Ho scritto qualche giorno fa di professori di diritto, politologi, giudici e politici che non riescono più a reprimere la loro irritazione e insoddisfazione per un preteso abuso, da parte del popolo sovrano, dei diritti di iniziativa e di referendum. In questo genere di attività negli ultimi tempi si è particolarmente distinto il Consiglio degli Stati. Pippo Lombardi ha parlato di popolo che non è indenne da errori, lasciando sottintendere che la Camera dove siede è fortunatamente in grado di correggerne gli sbagli e di dare il giusto indirizzo alla nostra democrazia. La verde liberale zurighese Verena Diener voleva invece che si dichiarasse irricevibile il referendum contro l’accordo (un vero mostro giuridico di cessione di sovranità) firmato con la Francia dall’ineffabile EWS in fatto di imposta ereditaria di cittadini francesi domiciliati in Svizzera, in pratica un diritto concesso alla Francia di imporre una sua legge fiscale nel nostro paese. Non contenta di cotanto “exploit”, ha proposto di discutere a porte chiuse misure di imposizione di nuove norme in fatto di validità o non validità di richieste di mettere in votazione proposte popolari (iniziative) o richieste di annullamento di decisioni parlamentari o governative  (referendum). Addirittura si è spinta fino a chiedere effetti di retroattività per annullare decisioni del popolo già uscite dalle urne. “Il Consiglio degli Stati non deve subire il ricatto popolare”. La piccola Camera può e deve cercare da sola le soluzioni, piaccia o non piaccia al popolo. Seguita, la Signora Diener, dalla collega Ruth Humbel, PPD, che pochi giorni dopo su un domenicale d’oltre Gottardo proclamava che le Camare federali fanno troppe concessioni al popolo. Tra i sostenitori della “linea dura” non poteva naturalmente mancare il CN socialista Andreas Gross, più che altro famoso perché spende annualmente e da decenni 300’000 franchi annui in viaggi in tutto il mondo a proclamare il suo verbo.

L’arma usata da tutti questi signori nel tentativo, che speriamo vano, di ridurre i diritti popolari è quella di un adattamento automatico ad un confuso e indefinito diritto delle genti, “jus gentium”, o di un diritto internazionale che ogni potenza, più o meno riconosciuta, torce e contorce secondo le convenienze del momento.

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Il direttore dei lavori per rimettere in sesto la “Concordia” e renderla atta al trasporto al suo cimitero a Genova si chiama Franco Porcellacchia. A lui un plauso e la nostra gratitudine. Ma una domanda rimane, che ci rode. I suoi antenati di quali orrendi misfatti si sono macchiati per meritarsi un simile cognome?

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Fabio Poma, gestore patrimoniale, sul “CdT” del 17.7.2014 ha pubblicato una sua opinione critica nei confronti dell’inneffabile EWS, da me chiamata Giuda in gonnella. La giudica “persona sbagliata nel posto sbagliato”. Condivido, e siamo in tanti a condividere. Ma non dimentico che è stata eletta nel 2007 e riconfermata nel 2011 da persone sbagliate nel posto sbagliato. Per quel che concerne il Ticino, con pratica certezza 7 nostri parlamentari a Berna l’hanno eletta e rieletta con entusiasmo, sola possibilità per questi nanerottoli di sbarazzarsi di Christoph Blocher, un gigante gigantesco ai loro confronti.

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Stando alla stampa politicamente a me vicina, i parlamentari a Berna che si stanno distinguendo per il particolare impegno volto a correggere i presunti o pretesi eccessi della democrazia diretta (troppe iniziative, troppi referendum) sono: il nostro Filippo Lombardi, forse più incauto che malintenzionato, Christine Egerszegi-Obrist, liberale, 2 passaporti, credo, uno ungherese, Verena Diener, liberale verde, un reperto da museo delle due Camere, due socialisti, Paul Rechsteiner (altro pezzo archeologico) e Hans Stöckli, e per finire Robert Cramer, un verdognolo ginevrino. Nessun intento polemico nel menzionare i nomi, solo un “buono a sapersi”.

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La “Schweizer Revue” è una rivista stampata in 400’000 esemplari in 5 lingue (le 4 nazionali più l’inglese) a spesa del Dipartimento degli Esteri di Didier Burkhalter, quindi a nostre spese. Dovrebbe fornire informazioni di interesse nazionale agli svizzeri all’estero, in ogni angolo del mondo. La caporedattrice Barbara Engel si crede però chiamata a correggere gli inevitabili errori del popolo, che sempre si verificano quando il popolo bestia non vota come da lei auspicato. Si è così sentita in obbligo di stigmatizzare il voto popolare del 9 febbraio scorso: “politica della chiusura che ci condurrà all’isolamento”, arrivando poi a sostenere che se l’iniziativa Ecopop, che vuole limitare l’immigrazione allo 0,2% della popolazione residente, venisse accettata, gli svizzeri all’estero non potrebbero più rientrare in patria una volta raggiunto questo limite. Il presidente dell’associazione degli svizzeri all’estero, Jacques-Simon Eggly, e il membro del direttorio Filippo Lombardi, che si considera portavoce degli svizzeri all’estero, richiesti dalla “Weltwoche” di un giudizio su queste bizzarre esternazioni della caporedattrice, si sono ritirati in un pudibondo silenzio. Strano, per persone solitamente così loquaci.

Gianfranco Soldati