Pubblicato sul CdT l’11 agosto 2014

Soldati 123 bDopo il voto del 9 febbraio scorso il Consiglio federale si vede confrontato con l’obbligo costituzionale, imposto dalle raggiunte maggioranze di popolo e Cantoni, di avviare nuove trattative con l’UE a proposito della libera circolazione delle persone. Pochi giorni fa la ministra degli Esteri UE Catherine Ashton ha sottoposto a Berna una bozza di lettera in cui si comunica alle nostre autorità che una simile trattativa è impossibile, la libera circolazione delle persone essendo uno dei capisaldi dell’Unione. Un principio intangibile e basta. Un punto di vista che può ben comprendere anche una persona che, come il sottoscritto, di simpatie per l’UE così come è ne nutre ben poche. I princìpi sono sacrosanti per loro natura, la libertà di tutti i cittadini europei di circolare liberamente in tutta l’Europa è particolarmente sacrosanta, un enorme progresso per rapporto ai tempi in cui solo i monarchi ed i loro diplomatici potevano muoversi (quasi) a piacimento.

Ma c’è un ma: alla libera circolazione è strettamente associata la libera residenza in caso di indipendenza finanziaria o se si è alla ricerca di lavoro. A quel momento dai princìpi si scende sul piano della realtà, che è questa: libera circolazione e libera residenza o no, alla Svizzera alla fine di ogni anno restano sul terreno (se mi è concessa questa espressione militaresca) 80.000 abitanti in più, con benefici varii per i ceti alti dell’economia, ma con conseguenze negative ben maggiori per la collettività. E non prendiamo neanche in considerazione l’esplosione del frontalierato (brutto neologismo) e la libera circolazione dei criminali.

Il 9 febbraio il popolo svizzero non ha espresso un voto negativo sui nobili e intangibili princìpi che reggono l’UE. Ha solo ed unicamente deciso che alcune delle conseguenze di questi princìpi quando dal piano filosofico vengono trasbordati su quello della realtà non sono più tollerabili nella misura attuale. Quando si trattò di far accettare al popolo la libera circolazione, i nostri consiglieri federali avrebbero potuto, se lo avessero voluto, prevedere che un lituano, un portoghese, ma anche un tedesco in cerca di un lavoro o di una migliore retribuzione, posto davanti alla scelta tra Lettonia, Irlanda, Portogallo o Grecia, ci avrebbero onorati della loro preferenza. E avrebbero potuto immaginare, i consiglieri federali, anche se l’immaginazione per loro non è dote sine qua non, che 80.000 su una popolazione di 80 milioni come è il caso della Germania sono l’1%o, sulla popolazione svizzera fa però l’1%. In 10 anni sono 800.000 residenti in più del naturale sviluppo demografico. Invece no, pur di riuscire ad imbonire il proprio popolo, Governo e burocrazia annessa ci hanno propinato la storiella di pochi, al massimo di 10.000 immigrati.

Il popolo svizzero non è così sprovveduto come pensano troppi nostri politici ed esperti. Ad un certo momento si rende conto che qualcuno sta gabellandogli lucciole per lanterne, e allora si ribella. È quel che è accaduto il 9 febbraio, malgrado il massiccio schieramento contro l’iniziativa da parte di Governo, Parlamento, partiti (escluso naturalmente l’iniziativista UDC-SVP e, in Ticino, Verdi e Lega), sindacati (che fanno i propri interessi, loro vogliono i lucrosi contratti collettivi), organizzazioni economiche e di padronato (quando parlano di interessi del Paese si riferiscono più che altro ai propri interessi), organi di informazione e sapient(on)i di ogni specie.

Il risultato è per finire questo: a furia di informazioni fasulle volte a manipolare la volontà popolare il Consiglio federale in questi ultimi 30 anni ha perso gran parte della sua credibilità. La fiducia si può perdere facilmente, il suo ricupero è sempre una strada impervia. E, peggio ancora, il Governo adesso non sa più che pesci pigliare. Da una parte un principio intangibile, dall’altra l’obbligo costituzionale di mettere in discussione lo stesso principio. Da voci di corridoio si sente che si stanno studiando misure per neutralizzare l’esito inviso della votazione di febbraio. Sarebbe un ulteriore, sicuro errore. Speriamo che il Consiglio federale e gli alti burocrati bernesi si rendano finalmente conto che i tempi per abbindolare il popolo con l’informazione manipolata e teleguidata sono passati. Ci si impegni invece nel cercare di spiegare ai plutocrati di Bruxelles che 80’000 immigrati in Germania fanno l’1%o, in Svizzera l’1%. E che i principi etici godono di tutto il nostro rispetto, ma le loro conseguenze concrete possono e devono essere messe in discussione. Sulla base di fatti, non di nobili aspirazioni.

Il condirettore Fabio Pontiggia, nel suo editoriale del 25 luglio, ipotizza quattro possibili soluzioni del problema, che lui stesso, e anch’io con lui, definisce insolubile. Le prime tre sono prive di possibilità di concretizzarsi. Resta la quarta: far rivotare il popolo, nella speranza che, intimorito dalle difficoltà, scelga la strada della fermezza nel cedimento. Perché non si possa e non si debba cedere l’ho spiegato, dal mio punto di vista, in questo articolo.

Gianfranco Soldati