Taranto 1x

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1) Il giudizio “guardingo” sul “teatrino” (lui non usa questa parola) del 18 agosto. Anch’io ero lì, vagolavo tra la gente (il pigia-pigia mi mette sempre a disagio), scattavo qualche svogliata fotografia, mi sforzavo di tradurre STUDIUM QUIBUS ARVA TUERI, ciacolavo con Tizio Caio Sempronio. Non ero commosso, non ero convinto, non ero niente.

2) La lode a Ermotti, un ticinese, uno dei pochi, che è arrivato al top nel suo settore (intendiamoci, è un posto delicatissimo nel quale si è costantemente sotto tiro).

3) La dura espressione “piagnucolanti buffonate” (l’Avvocato di solito è più sfumato) applicato a certe sceneggiate, dove i giornalisti di regime – la pagnotta è una sola! – fanno a gara a scrivere cose alle quali non credono minimamente. (fdm)

Pubblicato nel Corriere e riproposto per gentile concessione dell’Autore.

 

Dopo il 9 febbraio, con relativo massiccio voto ticinese, le attenzioni delle autorità della Confederazione nei confronti del Ticino sembra siano aumentate. Ad una prima non molto cortese toccata e fuga con accenti perentori della consigliera federale Widmer-Schlumpf ha fatto seguito una sua seconda visita più consona per tempi e modi. Successivamente, tutti i membri del Governo nazionale sono venuti da noi per svariati motivi esprimendo interesse per gli affari nostri.

L’apogeo è stato raggiunto quando il 18 di questo mese i consiglieri federali si sono concessi un bagno di folla nella piazza Riforma di Lugano. Complimenti a chi ha avuto l’idea, a sceneggiatori e registi, ma in modo particolare agli attori, i consiglieri federali, per la loro spontaneità, disponibilità, capacità di sorridere e stringere le mani non distrattamente. E ad accettare anche le contestazioni, che sono il necessario sale della democrazia. Una bella pagina per il nostro Paese, inteso come Ticino e come Svizzera, che ha sicuramente impressionato i turisti stranieri presenti. Le nazioni ed i popoli vivono anche di miti e di simbolismi.

Detto questo, non illudiamoci però che tutto ciò basti a cambiare la realtà e due considerazioni mi sembrano opportune. Innanzitutto non è che gli svizzeri tedeschi (per noi i più importanti) non siano più quelli di prima e che possibili pregiudizi e stereotipi siano stati definitivamente cancellati. Conosco i nostri confederati per multiple frequentazioni nel mondo degli affari, dei media, delle attività di associazioni. Ci considerano non sempre affidabili e talvolta superficiali. Detto fra noi, non hanno sempre e solo torto. La differenza è anche nel proverbio «l’abito non fa il monaco» che per loro è al contrario «Kleider machen Leute». Danno importanza alla forma, al rispetto di certi riti che sicuramente rallentano ma rassicurano.

L’establishment svizzero tedesco – molto meno autorevole di un tempo – è repubblicano e ad ognuno è permesso di far carriera a condizione di essere integrato e prevedibile. Possono essere molto duri, ma rispettano la forza degli altri. Diffidano dell’eccessiva originalità che scambiano per improvvisazione. Il ticinese che oggi è alla testa dell’UBS ha avuto diritto appena nominato alla sua dose di pregiudizi e sospetti, superati grazie alla sua competenza e capacità. In altre parole, per noi ticinesi, all’infuori di qualche posto decorativo, niente vien regalato, dobbiamo conquistarcelo sul campo. Successivamente arriva il rispetto. Perché no, meglio così.

A questo proposito smettiamola con le piagnucolanti buffonate dei candidati ticinesi di bandiera per il Consiglio federale. Alla faccia del barone de Coubertin, l’importante non è partecipare, è vincere. Una minoranza orgogliosa non si fa mantenere, si fa rispettare. L’altra considerazione è più amara. Vedo un cantone lacerato, con politici più attenti a fare i gradassi con i propri aderenti per qualche voto personale in più o per calmare qualche fazione interna che allo studio dei nostri problemi ed alla vera ricerca di soluzioni intelligenti, di compromessi necessari.

Al di là delle simpatiche strette di mano e di comprensibili affermazioni retoriche, dovremmo batterci con l’autorità federale, come giusto ed in concorrenza con altre priorità nel Paese per ottenere ciò che vogliamo. Ma per ciò fare abbiamo bisogno di un cantone che eviti indegne cacofonie, che proponga concrete univoche soluzioni formulate da politici degni di tale nome e sostenuti da larghe maggioranze della popolazione. Possiamo sperarlo? La risposta ai lettori.

Tito Tettamanti