Da sempre il prof. Franco Cavallero appartiene al manipolo dei critici più severi della nostra scuola. In un certo senso egli è “vox clamantis in deserto” poiché l’establishment certe cose non le vuole proprio sentire. Ma noi – e tutto Ticinolive – lo leggiamo sempre con piacere.ScuolaSignori politici, riflettete sul nostro recente passato, piuttosto che su un presente di cui siete ormai incapaci di comprendere la genesi. Un terreno privilegiato di analisi può essere costituito dalla scuola, se saprete relativizzare il ritornello consueto, fatto di un connubio fra il numero di allievi per classe, mense scolastiche e doposcuola. L’esigenza che dovrebbe davvero importarci, quella costruttiva di conoscenze sistematiche, dal semplice al complesso, attraverso gli anni dell’obbligo in primis, sembra relegata in un tenebroso retrobottega, dove la fiamma del becco Bunsen è a un livello così basso che nessuno riesce a vedere alcunché. Ogni tanto affiora il dilemma: i nostri giovani sono sì o no preparati?

È difficile fare meglio”, sarà la risposta ufficiale, se questa ci sarà. Certo sono molto lontani gli anni in cui si parlava con orgoglio di ascensore sociale. Le anime belle favoleggiavano di un Cantone ormai avviato su una funivia: era bollato di infamia e sacrilegio anche solo sospettare il contrario. A me viene piuttosto in mente quel gioco infantile che si chiama toboga: si sale e si scende, il più delle volte ridendo. Ma nel frattempo il gioco si è fatto tremendamente serio, e allora ricordiamone in retrospettiva le tappe ben precise, iniziate quando le cose funzionavano tutto sommato ancora discretamente. Il Cantone sonnolento si inginocchiò per inerzia di fronte a una pletora di nuovi studiosi che consideravano l’insegnamento un campo elettivo di intellettuali e sociologi; convinti che il nozionismo fosse il peggiore dei peccati capitali, fecero sì che molti prendessero in odio le conoscenze essenziali e queste evaporarono in pochi anni dai programmi, a beneficio dei grandi sistemi da offrire anche ai pargoli. Parallelamente il nostro paese si era avviato trionfante verso la riforma del settore medio, il cui nodo gordiano fu spezzato il 21 ottobre 1974. È troppo affermare che quelli furono gli anni decisivi, in cui tutto l’impianto pedagogico del Ticino veniva rivoluzionato? Si fece esattamente il contrario di quei retrogradi di Confederati, rimasti fedeli a scuole differenziate e preparatorie secondo le capacità (Gymnasium, Realschule, Oberschule) e proprio per questo più realistiche e umane. Si pensò che le differenze caratteriali e di motivazione potessero stemperarsi con una scuola nuova e inclusiva, una pia illusione e un grosso abbaglio istituzionale, anche perché il Consiglio di Stato sancì il 23 marzo 1979 il principio delle classi eterogenee, una vera palla di piombo che contribuì a peggiorare i problemi di orientamento, acuiti ancor più successivamente dall’introduzione dei livelli (1986). Fra tutte le preoccupazioni dei pedagogisti quella massima di non creare disparità, come se un allievo che impara non lasciasse giustamente indietro quello che non impara. Insomma un sistema in cui tutti, per essere coerenti con il principio, dovrebbero partire da zero e soprattutto rimanerci.

Forse era il caso di accorgersi che così facendo si ponevano le premesse per andare alla deriva, perché quando il fenomeno diventa collettivo l’andare alla deriva scolasticamente prelude all’andare alla deriva professionalmente. Chi può escludere che il personale estero che arriva da noi da un bacino immensamente più grande sia davvero selettivamente più preparato*, oltre che meglio disposto verso il lavoro?** E chi può assicurare che con frontiere chiuse e/o salari minimi (non che la destra e la sinistra lancino idee molto diverse a livello di illusoria praticabilità) i mali di cui soffre il Cantone si scioglieranno come neve al sole? Il difetto sta purtroppo in una essenzialità trascurata di cui lo Stato deve istituzionalmente e obbligatoriamente farsi garante. Trascurare il sapere di base fin dalla scuola elementare – preferendo le vuotaggini ufficiali del “saper fare” e “saper essere” che poi si perpetuano ai livelli più alti – è all’origine di risultati davvero mirabolanti, malgrado le innumerevoli ore di travaso delle idee con le quali si presume di erudire i pupi. È questo il risultato di una quarantina d’anni di attivismo teorico che ha nuociuto alla scuola, disaffezionandola agli occhi dei suoi utenti, creando problemi forse irresolubili, mentre essa avrebbe dovuto aprire le menti dei giovani, forgiarne le capacità, e non ridurli a un branco succubo di tutti gli avvenimenti della storia, la nostra per il momento, sperando che ben altre negatività ci siano risparmiate.

Franco Cavallero, Lugano

* / ** Attento a come parli, o Cavallero!