L’equilibrio dei conti dello Stato non passa dalla contabilità, non passa dall’aumento delle imposte e nemmeno dall’aumento delle tasse causali che sono poi i “prezzi statali”, tra l’altro sempre in aumento, per ciò che compriamo obbligatoriamente (permessi, autorizzazioni, ecc…). Passa invece da un spesa più attenta, o meglio da un concetto come quello dello spendere meglio. Per capirci occorre dividere in tre grosse famiglie le attività dello Stato: la ridistribuzione, la produzione di servizi, il controllo amministrativo e la protezione dei cittadini. Il Budget dello Stato prevede, semplificando: il 70% dei mezzi per la ridistribuzione (sussidi a privati, a Comuni, a enti), 20% per la produzione di servizi (scuola, ecc…) e il 10% per le attività di controllo amministrativo e protezione. Se si osserva l’evoluzione di queste famiglie di spese sull’arco dei decenni si nota un chiaro aumento costante della quota destinato alla ridistribuzione (welfare e sussidi vari). Se in origine lo Stato aveva quale compito principale quello della protezione e quello di far rispettare le leggi, oggi questa attività è finanziariamente “solo” il 10% di ciò che lo Stato fa. Significa che nei decenni lo Stato si è scostato moltissimo dal suo “core business”.

I numeri sono solo numeri, ma a volte le loro proporzioni e le loro dinamiche possono dirla lunga sulle scelte o non scelte politiche che li generano e li consolidano nel tempo. Per fare un esempio tra i molti. Fino a una quindicina di anni fa non esisteva una Legge cantonale sui giovani; poi se ne votò una che costava qualche decina di migliaia di franchi e oggi costa qualche centinaia di migliaia di franchi. Cosa significa analizzare criticamente questo compito e la sua spesa. Perché i giovani necessitano di una loro legge? Perché non sono in grado di essere giovani senza una legge? Perché occorre proteggere una fascia di età e non un’altra? Perché lo Stato deve diventare l’ente che intrattiene i giovani perché non sanno più cosa fare? Perché se i giovani vogliono fare deve essere lo Stato dirgli come farlo e a dargli i soldi? Si potrebbe continuare a lungo.

L’esercizio lo si potrebbe fare anche per altri settori dove i destinatari e beneficiari di leggi e regolamenti sembrano essere tutte delle minoranze: anziani, disoccupati, ingegneri, architetti, fiduciari, donne, bambini, malati, studenti, docenti, avvocati, stranieri, lavoratori. Questo per dire che ogni cittadino in definitiva fa parte di una qualche minoranza che va tutelata tramite l’intervento dello Stato. Non è un dettaglio, ma la politica è ormai alla ricerca perenne di minoranze da tutelare, così facendo lo Stato nei decenni si è assunto viepiù dei compiti che non sono quelli del suo “core business”.

Ma la complicità dei cittadini e della società civile nel delegare allo Stato innumerevoli attività è stata notevole. Con la scusa che pagando le imposte tocca poi agli uffici occuparsi di queste minoranze, il cittadino abdica ad essere lui il primo responsabile a doversi occupare di certe cose. Addirittura il concetto di solidarietà e carità è ormai statalizzato. Quante volte prima di aiutare il prossimo, quasi istintivamente anziché agire, ci chiediamo se non c’è qualche ufficio o qualche sussidio a doverlo fare al posto nostro? Un altro fenomeno è quello che avendo identificato delle minoranze queste hanno dei bisogni, che poi diventano dei diritti e che i politici trasformano in leggi, in uffici e in spese.

Questo processo irreversibile è forse quello più importante nel generare nuove leggi e nuove spese. Oggi il Cantone applica oltre 900 leggi e regolamenti cantonali. Questo è il Menù dello Stato, indignarsi perché costa è scorretto e non porta da nessuna parte se non si inizia a sfoltire, ridurre, correggere e modificare questo Menù. E’ il diritto che crea la spesa, senza un profondo dibattito sui diritti e i doveri, sulla libertà e la responsabilità ben difficilmente i conti torneranno in pareggio con un esercizio di tagli un po’ qui un po’ là.

Sergio Morisoli, presidente di Area Liberale