Bertoli xyz2Allegoria della scuola veniente

Ospitiamo oggi questa prima reazione, garbatamente ironica, alla “riforma scolastica” annunciata ieri dall’on. Bertoli.

Come si svilupperanno le cose è facile prevedere. I media “di regime” (parliamo sempre di regime democratico, nessuno s’inalberi) ne tesseranno grandi lodi, ed è giusto che sia così, perché ognuno deve svolgere il suo compito. Qualche voce fuori dal coro, magari timidamente, si manifesterà. L’importante è che non sia zittita o che non (più probabile)… si autocensuri.

(Mi avvedo, rileggendo, che il finale del prof. Cavallero è abbastanza duro: in cauda venenum! No no, Bertoli, non temere, non vogliamo imporre il latino. Che, come affermava Romano Amerio con la sua voce acuta: “Non serve a niente!”)

 

Premetto: sono uno spettatore. Uno di quelli che si accomoderebbero alla bell’e meglio sugli strapuntini, pur di rubacchiare qualche precaria visuale sulla scena. Oggi mi è stato offerto un biglietto speciale, con l’unico impegno di raccontarvi su questo portale quello che succede durante un’ipotetica incredibile partita di calcio. Certo mi sento immanemente inferiore al compito: ah le indimenticabili cronache colorite di Gianni Brera! Tuttavia cercherò di non deludervi.

La partita sta per iniziare, sono presenti almeno cinquantamila spettatori. Suppergiù il numero dei nostri ragazzi che vanno a scuola qui nel Ticino. Entra l’arbitro ma, prima sorpresa, tutti vedono che non ha il fischietto per segnalare i falli e, mi dicono, nemmeno i cartellini rossi e gialli. Raduna i giocatori al centro del campo e questi si precipitano scalpitando verso di lui. Il capitano non esiste ed è superflua la monetina con la quale determinare se si giochi da una parte o dall’altra. Anzi, le squadre sono più di due e ciascuno dei contendenti potrà scegliere a naso se tirare in una porta oppure nell’altra.

Strano però che la gara non inizi subito. L’arbitro consegna a ciascuno dei bravi ragazzi un foglio. Nessuno escluso, dovranno individualmente indicare se intendono giocare con una palla sferica o magari con un oggetto cubico. Sono ovviamente ammesse varie dimensioni e ogni calciatore potrà liberamente aggregarsi con gli altri a seconda se sta vincendo o perdendo. L’allenatore intanto si sgola per suggerire la strategia migliore a quelli che ritiene essere i suoi giocatori. Ma nessuno lo ascolta, un po’ come quando allievi sbarazzini si divertono a scuola armeggiando con lo smartphone o facendo battaglia navale.

L’arbitro comunque è serissimo (uno della vecchia guardia intendiamoci) e arriva il momento in cui con il dovuto cipiglio decreta a undici metri da una porta (non si sa bene per quale squadra visto che ciascuno può vestirsi come vuole) un calcio di rigore. Quasi tutti pretendono di tirarlo: dopo un lungo tergiversare quello che riesce a imporsi lo calcia in modo altamente democratico perché i difensori si sono posti tutti nello spazio fra il dischetto e la rete. Non fa nulla: anche se la palla finisce addosso al più vicino, il “bomber” pensa di aver segnato un goal. Alla fine tutti quanti per decisione della FIFA potranno disputare l’anno prossimo la Champions League.

E qui termina il mio raccontino immaginario: abbandono lo stadio ed entro con il pensiero nell’ufficio di Manuele Bertoli, direttore del DECS.

Che dirgli, visto che come cittadino non mi piace scherzare su cose serie? La scuola (ma anche lo sport per le sue enormi implicazioni socioculturali) è argomento talmente capitale che sarebbe improvvido farci sopra delle risate. Il docente, con immagine certo riduttiva ma efficace, deve essere considerato almeno come un arbitro di calcio. Più ancora, egli è visto (meglio: era visto) come un maestro. In altre parole deve avere prestigio. Se lo si riduce a esecutore di ciò che gli imporranno i suoi allievi, il caos e l’ingiustizia sono assicurati. Se un gruppo qualsiasi di persone deve affidarsi volta per volta a persone di riferimento nuove e magari raccogliticce, tanto più se gli interessati sono bambini e preadolescenti, ci si troverà immancabilmente di fronte all’incertezza. Senza una mente dirigente ciascuno si muoverà secondo la legge del branco, seguendo le onde d’urto che si creeranno per le dinamiche conosciute.

Tutti noi, ci consenta Bertoli, facciamo il tifo per una buona scuola. Ma quando sentiamo fantasticare di adattamento agli allievi e parallelamente di abolizione della licenza elementare; quando si prospettano i soliti triti e ritriti comandamenti quali l’inclusività e l’eterogeneità, pretendendo di essere equi solo perché sulla carta c’è una chimerica e globalizzata differenziazione pedagogica e la personalizzazione imposta dei percorsi formativi; quando per ottenere questo si rinuncia a ogni obiettivo di conoscenza pur mantenendo per somma ipocrisia le materie; quando alla fine non saranno nemmeno necessari voti sufficienti per proseguire gli studi al liceo o in scuole di pari grado, ebbene io non ardo nemmeno la più piccola candelina per una tale scuola, anzi mi rifiuto formalmente di chiamarla con questo vocabolo.

Onorevole Bertoli, la partita che al momento si prospetta finirà zero a zero: fuor di metafora, zero per la scuola e zero per la società ticinese.

Franco Cavallero