BNS 400La decisione di gemellare il franco all’euro al livello di 1,20 era stata presa ancora da Philippe Hildebrand, se ben ricordo il 6 settembre 2011, pochi mesi prima delle sue forzate dimissioni per fatti di nessuna rilevanza penale, ma indici sicuri di carente impalcatura etica. A sostituirlo fu chiamato il suo vice-presidente Thomas Jordan, anche lui convinto assertore della necessità di interrompere l’impennata del franco che metteva in crisi la nostra economia di esportazione e il nostro turismo. Anche allora non erano mancate le voci scettiche, ma praticamente sommerse nel coro degli applausi. L’idea era geniale, anche se non originale, ma aveva purtroppo una tara congenita: la sua concretizzazione comportava l’acquisto di quantità ingenti di euro tramite centinaia di miliardi di franchi stampati all’uopo, con un rischio incombente e gravissimo in caso di crollo o anche di sola svalutazione dell’euro.

Il 15 gennaio 2015 l’abolizione del tasso minimo di cambio è stata decisa e resa pubblica in un modo che ha lasciato sorpresi e indispettiti gli attori del mondo economico, finanziario e turistico. Paul Krugman, premio Nobel 2008 per l’economia, ha parlato di “grosso errore”. Strano, anzi strambo, da parte del critico più autorevole e convinto dell’euro, da lui definito “costruzione sbagliata”. Voleva forse che la BNS restasse legata all’euro fino al suo crollo, in modo da lasciare tutta l’economia occidentale in mano alla Fed? “Le Temps”, forse e purtroppo (questo purtroppo è un mio personale e sintetico giudizio) il più influente quotidiano romando, crede che la decisione di Jordan e consoci abbia “minato la credibilità” dell’istituto da loro diretto. Dovevano forse aspettare il definitivo e probabile crollo della moneta europea per incassare il massimo di possibili perdite? I lai, le lamentele e le lamentazioni sono saliti alle stelle o almeno ai due pianeti del nostro sistema solare che devono esistere ma ancora non si trovano. E, guarda caso, proprio ad opera dei soli connazionali che della misura restrittiva avevano tratto grande beneficio. Si è scritto di un vero e proprio tsunami che si è abbattuto su economia, industria di esportazione, turismo e casse pensioni, con perdite subitanee a livello di miliardi, 30 per la stessa BNS e altri 30 per le casse pensioni, oltre a quelle non ancora calcolabili per gli altri rami di attività. In realtà le perdite subite da questi enti sono solo parte dei benefici avuti dal tasso di scambio fisso mantenuto per 40 mesi. Beneficiari finora sono stati gli esportatori e la finanza legata a quel carro, adesso lo saranno gli importatori e, sempre presente per rosicchiare parte della torta, la finanza legata a questo carro. Sui comuni cittadini, il 98% virgola qualcosa della popolazione, di ricadute positive non ce ne saranno, o al massimo le briciole per chi abita abbastanza vicino al confine per fare gli acquisti all’estero. Ma ci penseranno le dogane a toglier loro la possibilità di usufruire di questi benefici irrisorii. Beneficiari incolpevoli e fortunati della nuova situazione saranno, con gli importatori, i frontalieri che tanto stanno a cuore ai rappresentanti dell’industria e ai sindacati. Un aumento di salario del 20% in pochi minuti non capita tutti i giorni. Un ulteriore impulso al frontalierato da una parte e al dumping salariale già in atto dall’altra.

Ci si può interrogare sul movente ultimo di una decisione tanto drastica quanto subitanea, e si può addurre che un abbassamento dell’asticella a 1,15 o 1,10 sarebbe stato più che sufficiente. Invece no, d’un sol colpo si sono mollate le redini, incuranti delle ripercussioni della manovra, lasciando al solo mercato il compito di decidere dove debba essere posizionato il tasso di cambio. A far decidere il presidente Jordan, con il consenso unanime dei suoi stretti collaboratori, è stata secondo me una paura molto vicina al terrore. Con un euro sempre più vacillante, in calo inarrestabile da parecchi mesi nei confronti del dollaro, con la necessità conseguente di imballare le rotative del franco per gli acquisti di euro necessari per il mantenimento del limite ad 1,20, il macigno della rovina che incombeva sul bilancio della BNS andava ingigantendo di ora in ora. Gli apprendisti stregoni moderni, sia detto tra parentesi, stanno quasi tutti di casa nelle banche centrali. Quelli svizzeri hanno capito che il macigno li stava trascinando su una strada ripida e scivolosa che conduce al precipizio e hanno avuto il coraggio di limitare i danni fin che si era in tempo. Danni che, aspettando ancora, inevitabilmente sarebbero aumentati di giorno in giorno. Gli apprendisti stregoni delle banche centrali europee finiranno anche loro per dover ammettere, costretti da fatti sempre avversari invincibili delle velleità, che le strade finora scelte per evitare il fallimento rinviano ma non risolvono i problemi. Prima lo faranno e meglio sarà, per tutti. Per il momento vogliono comperare con soldi di carta straccia i debiti sovrani di stati troppo indebitati e perciò insolventi. I capacissimi economisti che commentano su questo giornale le faccende del mondo economico prevedevano da tempo che non si poteva insistere con il cambio fisso perché così vogliono le leggi dell’economia. La decisione della BNS è una dimostrazione del fatto che vedevano bene. Uno di loro prevede già che l’apertura del prossimo ballo toccherà proprio ai banchieri centrali europei.

Per quel che concerne la Svizzera mi permetterò di ricordare che in 45 anni abbiamo visto il dollaro passare da 4,30 franchi a 80 centesimi. Gli USA erano nostri importantissimi clienti, e lo sono ancora. Sono spariti in buona parte i turisti nordamericani che facevano la fortuna di alberghi, ristoranti e stazioni alpine, ma nessuno in Svizzera è morto di fame. E, prevedo, nessuno morirà di fame, almeno fino al 2050, quando grazie ai verdi non avremo più energia disponibile. Ma allora sarà una morte di freddo, che a quanto mi dicono è molto, ma molto più dolce di quella per fame.

Gianfranco Soldati

(pubblicato sul CdT)