ValigieLo Zibaldone odierno, ricco di spunti e di personaggi politici, è per larga parte una “rivisitazione”. Formulo (nella mia qualità di “padrone di casa”) due osservazioni.

— Fermo restando che gli assassini di Parigi sono degli efferati criminali, sento il bisogno di dire (io, non so Soldati) JE NE SUIS PAS CHARLIE. La beatificazione postuma e la grottesca “parata internazionale” mi hanno urtato profondamente.

— Quanto al PLR e all’agognato secondo seggio “che si allontana sempre più” mi limito a contrapporre (e a ribadire) la mia opinione. Il Partito liberale radicale ha una probabilità concreta di conseguirlo. Dovrà guadagnarselo in due mesi e mezzo di durissima campagna elettorale. La Lega venderà cara la pelle.

Soldati 11All’indomani dell’orribile massacro nella redazione di “Charlie Hebdo” un intellettuale a nome Marco Alloni, ha esposto sul CdT una sua personalissima considerazione che è anche una proposta. Se invece di esporsi al rischio di sanguinose vendette i caricaturisti e i giornalisti europei in genere rinunciassero alla satira o al dileggio di certi fanatismi islamici non avremmo più i problemi e l’orrore cui siamo confrontati oggi. Ha parlato di “oltraggio satirico”, affermato che “non si tratta di cedere al diktat del radicalismo islamico, ma di rifondare i principi di un’alleanza occidentale su basi meno effimere e su dogmi meno aleatori”. Gli ha risposto immantinente il condirettore Fabio Pontiggia, da par suo, concludendo con un aforisma di Benjamin Franklin: “Chi rinuncia alla libertà per la sicurezza non merita né la sicurezza né la libertà”. Evidente, detto con termini dei piani bassi, che la politica del “moderato calamento di brache” proposto da Alloni con tutte le cautele filologiche possibili e immaginabili è, più che inaccettabile, decisamente rivoltante.

Ha scritto Georges Bernanos: “L’intellectuel est si souvent imbécile que nous devrions toujours le tenir pour tel jusqu’à ce qu’il nous ait prouvé le contraire”. L’intellettuale è così spesso imbecille che dovremmo ritenerlo tale fin che non ci abbia dimostrato il contrario.

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I servizi segreti statunitensi riferiscono che le maggiori fabbriche di “foreign fighters” (stranieri che combattono nei ranghi dell’estremismo islamico di ISIS e al-Nusra) provengono da Gran Bretagna e Francia. Sono praticamente tutti immigrati di seconda o terza generazione, naturalizzati fin dalla nascita, per tutta l’Europa circa 2500. Pochi gli europei convertiti, illuminati sulla via di Damasco. Fanno venire i brividi i risultati di una politica di integrazione perseguita con incosciente pervicacia, anche in Svizzera. Ma nella disgrazia almeno una consolazione. Sempre secondo i suddetti servizi segreti, più di 120 “foreign fighters” sono stati giustiziati dai loro amici islamici perché volevano disertare.

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Il sublime Romanée-Conti Qualche settimana fa padre e figlio italiani sono stati condannati per aver venduto 270 bottiglie di Romanée-Conti (l’unico dei “grandissimi” che non ho mai potuto permettermi, per carenza pecuniaria, non per mancanza di voglia) per un totale di 1 milione di euro. Bottiglie che contenevano in realtà un qualsiasi borgogna. Il problema delle bottiglie che non contengono quello che sta sull’etichetta in politica è tutt’altro che raro. Si manifesta con particolare intensità nei partiti di centro, quelli che hanno almeno due se non tre anime. Il partitone da molti anni era infestato da queste bottiglie adulterate. Già negli anni tra le due guerre mondiali Giulio Guglielmetti, avvocato di Mendrisio che ho conosciuto quando gli anni l’avevano oramai ridotto all’ombra di sé (ero al Ginnasio di Mendrisio con sua figlia) fu un combattente indomito nei ranghi del partito liberale, tra scissioni, rappacificazioni e riscissioni, sempre socialista da manuale, grande amico di Guglielmo Canevascini.

RomanéeNel dopoguerra le bottiglie con falsa etichettatura sono state numerose. Campione indiscusso è stato Argante Righetti, l’ateo più religioso del Cantone (il suo Dio si chiamava e, credo, si chiama ancora Stato). Jacques Ducry ne era un degno epigono, ma non il solo erede. La lista dei socialisti che sotto l’etichetta radicale ha fatto la storia del nostro cantone è così lunga che questo articolo diventerebbe un libro se la volessi pubblicare. Personalmente ho sempre giudicato osceno il connubio radico-liberale e l’ho detto e scritto tante volte, pur sapendo di inimicarmi una quantità di persone. Osceno dal punto di vista ideologico, efficace e redditizio dal punto di vista del potere, inaspettatamente poi scardinato dall’avvento del Nano. Qualche tempo fa ho letto che Ducry si candiderà sulla lista del PS: un atto di onestà da parte sua, non un atto di protesta contro un partito che giudica troppo a destra, perché lo vede dal suo punto di vista socialista e non da quello del mio amico Tullio Righinetti, per fare un nome. E siccome l’onestà secondo il mio modesto parere è il primo requisito che si deve chiedere ai politici, quella di Ducry di schierarsi con Bertoli è una decisione che gli fa recuperare una parte della stima che avevo per lui quando l’ho conosciuto, nei primi anni della sua e mia attività politica.

Etichette fasulle di colore azzurro  Anche nel PPD le bottiglie con nobile etichetta ma contenuto adulterato non mancavano. A uno dei primi comizi elettorali della campagna 1983, a Manno, ricordo come se fosse oggi, dissi a Camillo Jelmini che secondo me la sua non era una politica cristiano-sociale, ma una politica cristiano-socialista. Mi minacciò, forse scherzosamente, di querela penale. Nel 1987 Dino Jauch, presidente di una commissione che doveva redigere il programma di legislatura, si vergognava nero su bianco della parola “conservatore”, in un partito che fino a poche ore prima (si fa per dire, in realtà erano pochissimi anni) si chiamava conservatore. Campionessa indiscussa delle bottiglie con falsa etichetta (o falso contenuto) è stata Chiara Simoneschi-Cortesi, poi assurta alla carica di presidente del Consiglio Nazionale, che si proclamava chiara di nome e chiara di fatto, ma non lo era di idee. Un vero e proprio alter ego di Argante Righetti. Appena appena un gradino sotto stava Fulvio Caccia, che con Luigi Pedrazzini ha dato un contributo non indifferente al declino del partito. Adesso Giovanni Jelmini, una bottiglia che contiene il vino indicato sull’etichetta, sta cercando con la sua squadra di dare l’abbrivio ad una nave che sembrava destinata al naufragio.

Nei partiti alle estremità dell’arco parlamentare le bottiglie adulterate sono meno numerose, per il semplice fatto che sono subito riconoscibili e individuate. Ce ne sono anche tra loro, di solito nel ruolo poco entusiasmante di traditori. Nel Ticino (forse) non saprei, ma in Svizzera ne conosco una di particolare splendore: la Giuda in gonnella. E nella vicina e un tempo amica Italia un’altra: Matteo Renzi, un leader della sinistra che è tutto salvo che un uomo di sinistra. Si facesse naturalizzare, mi impegnerei per farlo accogliere (mal)volentieri nell’UDC.

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Un connubio di lunga data  Quanta ragione possa avere nel definire osceno, come ho sempre fatto, il connubio liberal-radicale è dimostrato irrefutabilmente da fatti, non da opinioni. Da un Sergio Salvioni che preferisce eletti in Governo 2 leghisti piuttosto che vedere una radicale (la signora Laura Sadis, artefice indiscussa di un moltiplicatore cantonale che più socialista non si può) accompagnata da un liberale “della cotta”, come ce ne sono moltissimi (per i radicali la libertà religiosa è solo un proclama di facciata). Da un Paolo Pamini che scrive di “intollerabili tenebre giacobine che infettano da anni il dialogo interno del PLRT”. Dalla secessione troppo soft (blanda) di Tullio Righinetti e Edo Bobbià, due fedelissimi costretti alla ribellione dalla tracotanza dei finti correligionari radicali. Da un Jacques Ducry che fa le valigie (onestissimamente, perché lui è stato socialista fin dai tempi dell’asilo) proprio quando il partito è impegnato in una lotta disperata per riconquistare un secondo seggio che si allontana sempre più. Da un “Dovere” divenuto crisalide sotto il nome “La Regione” per poi mutarsi in farfalla socialista, da surrettizio sostituto di “Libera Stampa”, nel frattempo “defuntata” dalle circostanze e dalle casse vuote. E mi fermo qui.

Gianfranco Soldati