Questo articolo mostra che i comunisti hanno maggior buon senso dei loro compagni seduti a Palazzo, che vivono ormai in un mondo astratto, “politicamente corretto” e colpevolmente lontano dalla realtà.

AyE’ trascorso un anno dalla votazione del 9 febbraio 2014 denominata “contro l’immigrazione di massa”. Un’iniziativa che personalmente non avevo sostenuto, ma i cui esiti impongono una seria riflessione. Anzitutto ricercando le ragioni di un tale risultato: i motivi che hanno portato la popolazione a votare quell’iniziativa vanno a mio avviso infatti ricondotti alla subalternità del governo svizzero nei confronti dell’UE e, nel contempo, alla sua totale incapacità di affrontare i problemi sociali nelle zone di frontiera, così come spesso indicato dal Partito Comunista.

Purtroppo in questo anno che è appena trascorso non mi pare che si siano fatti passi avanti reali: se il Consiglio di Stato, ad esempio, approva dei Contratti Normali di Lavoro a soli 3’000 franchi, è lui stesso che spinge al ribasso i salari dei residenti! In pratica è un dumping di Stato, ed è poi certo che in queste condizioni l’UDC abbia così gioco facile! Da parte mia credo invece che, se davvero si vuole migliorare la situazione, occorra iniziare ad applicare l’iniziativa popolare “Basta col dumping salariale in Ticino” che abbiamo presentato con MPS e altre organizzazioni già nel 2011.

E’ evidente che l’iniziativa del 9 febbraio scorso sia di difficile applicazione perché di fatto significa dover rimettere in discussione tutti rapporti che il nostro Paese ha con l’UE, a cui comunque la nostra economia è molto legata. Ma la popolazione ha dato un segnale chiaro nel senso che essa non sopporta più i diktat di Bruxelles, un aspetto che anche certi sindacalisti dovrebbero finalmente capire.

Questa situazione deve portare la sinistra a ragionare diversamente: vogliamo finalmente riconoscere che al mondo non esiste solo l’UE? La Svizzera non può chiudersi a riccio non avendo materie prime, ma può scegliersi i partner! Io suggerisco di intensificare la cooperazione con le economie emergenti dei cosiddetti paesi BRICS e l’Eurasia. Ecco perché, pur essendo stato contrario all’iniziativa, trovo sbagliato chiedere di tornare al voto come richiesto da alcuni politici della sinistra di governo.

Quella di far rivotare mi pare una provocazione che non tiene conto della volontà popolare e personalmente non credo sia intelligente aizzare la popolazione. Questa richiesta sottovaluta il clima di malessere sociale che ha spinto i cittadini a votare quell’iniziativa. Non si tratta quindi di tornare al voto, ma di dare risposte migliorando le condizioni di lavoro dei salariati: contratti collettivi, minimi salariali, nessuna misura di austerità ai danni dei ceti popolari, ma soprattutto bisogna investire nei settori produttivi ad alto valore aggiunto, che possono rendere il nostro Paese un’eccellenza anche in un contesto di forte concorrenzialità globale. Se non lo facciamo, il declino è dietro l’angolo! E in questo contesto dovremmo far diventare il franco forte un punto di vantaggio al posto solo di lamentarci. Come? Puntando fortemente sull’alto valore aggiunto, cosa che in parte già facciamo (ma non a sufficienza per poterci immettere virtuosamente e in maniera duratura nei nuovi rapporti economici internazionali), si beneficia del basso prezzo delle materie prime importate e dell’unicità dei prodotti lavorati e dei servizi esportati, i quali – nonostante l’apprezzamento del franco – non sono pertanto sostituibili (perlomeno nel medio periodo). Con questi parametri noi dobbiamo rapportarci all’UE – ma senza quella subalternità che fu lo scellerato ancoraggio all’euro – e soprattutto aprirci ai paesi emergenti.

Massimiliano Ay, candidato al Consiglio di Stato e al Granconsiglio per la lista MPS-PC