Soldati xyI Greci, disgraziati, non possono stampare   Sul “Corsera” del 6 gennaio un tale Antonio Foglia scriveva al direttore e commentava le ripercussioni che la crisi greca avrebbe potuto avere sui “nodi irrisolti” della politica italiana. Riconduceva in pratica i problemi al debito eccessivo (135% del PIL), con una moneta che il governo non può stampare. Invece di risolvere i problemi dell’architettura monetaria e politica dell’UE, i governi ricorrono ad espedienti per tirare innanzi, nell’aspettativa del quantitative easing promesso da Draghi (in tardiva imitazione di Greenspan e Bernanke, aggiungo io, e adesso arrivato), un altro rimedio per guadagnar tempo in attesa che i nodi vengano al pettine. I cittadini sono, nell’attività imprenditoriale come nel risparmio familiare, totalmente esposti ai capricci di governi incapaci di risolvere, oltre alla crisi dell’eurozona, anche i problemi interni dei loro paesi. Proseguiva poi, il Signor Foglia, e lo cito testualmente: “Negli anni ’70, a fronte delle incertezze nel proprio Paese, l’imprenditorìa europea poteva contare sulle riserve di diversificazione accumulate in Svizzera o negli USA, anche se questo è avvenuto in violazione alle regole: la tranquillità di una riserva sicura da cui eventualmente ripartire permetteva di resistere e di correre il rischio di investire nei propri Paesi”.

Capito, amico lettore? Il segreto bancario non era poi quella farina del diavolo cui i governanti occidentali di oggi tentano di addebitare tutte le colpe per distorcere lo sguardo dalle loro manifeste magagne. E continuava, questo sagace lettore del “Corsera”:

“La demagogìa della trasparenza: l’Italia spera di far emergere con la voluntary disclosure circa 200 mrd di euro accumulati all’estero (n.d.a.: leggi “in gran parte in Svizzera”) in chissà quanti anni. L’evasione in patria è di circa 250 mrd, ma all’anno. E gli USA non fanno meglio: hanno picconato a morte il segreto bancario elvetico (aggiungo: strenuamente difeso dalla Giuda in gonnella, che per una volta chiamerò Evelina Winkelried, con la politica della fermezza nel cedimento) per recuperare alla base imponibile forse 40 mrd di dollari accumulati in vari decenni. Intanto le loro investment banks offrono agli stranieri l’elusione della trattenuta sui dividendi delle società americane attraverso i derivati. Una frode da circa 40 mrd di dollari, ma all’anno”.

Concludeva, il simpatico, sconosciuto e lucido personaggio: “Parafrasando Hayek, più lo Stato si preoccupa di noi, più dobbiamo preoccuparci”. E, concludo a mia volta, come facciamo a non dargli ragione?

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Nei paesi italofoni i cognomi bizzarri abbondano, basta leggere la lista dei deputati e senatori per rendersene conto. Ma in fatto di stramberìa dei cognomi anche gli spagnoli non scherzano. L’altro giorno, sul “Diario de Avisos”, sono capitato su un opinionista a nome Leopoldo Fernández Cabeza de Vaca. Che in spagnolo significa esattamente quel che dice la facile traduzione in italiano. L’altro giorno, su un canale televisivo italiano, sono incappato in un alto funzionario italiano di strano cognome: Saltamerenda.

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La cancelliera tedesca, “la poderosa señora doña Angela Dorothea Merkel”, viene accusata da un altro opinionista dello stesso giornale, di fingere di praticare una politica di sinistra mediante promesse mai mantenute, ma di essere in realtà al servizio del capitale. Se il capitale ingloba la nozione di potere egemonico (detto anche degli USA), posso essere d’accordo con il collega spagnolo.

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Ma lasci in pace la nostra democrazia   “Zeitfragen” del 16 dicembre 2014 ha pubblicato una lunga intervista a Filippo Lombardi. Penso che pochi ticinesi ne abbiano potuto prendere conoscenza, e mi permetto quindi di riportarne i passaggi che giudico più significativi. Parlando delle sanzioni a Putin il senatore ricorda che la Svizzera già si era associata a quelle contro la Bielorussia di Lukaschenko, un paese che non riconosce la convenzione dei diritti dell’Uomo e ancora mantiene la pena di morte, chiaramente confermata dal popolo in una votazione referendaria.

Un paese che fa di tutto per liberarsi dalle sanzioni, che ha una grande potenzialità di crescita, che è bene amministrato, ma in modo molto autoritario, e che conosce pochissima corruzione (perché, aggiungo io, grazie a Lukaschenko è molto “pericoloso sporgersi”). Il fatto che Peter Spühler, proprietario di Stadler-Rail, grande costruttore svizzero di treni, abbia trasferito a Minsk la sua produzione per i paesi eurasiatici conferma pienamente questo giudizio. Altro il discorso, molto più complesso, per le sanzioni imposte alla Russia da parte di USA, Nato e UE. La Svizzera non vi ha aderito, ma ha deciso, saggiamente secondo Lombardi, di impedire che le sanzioni vengano aggirate passando dalle sue banche. I russi però interpretano questa decisione di Berna come una manovra contro di loro. Fanno valere, a giusta ragione, che nel caso del Kosovo si è fatto prevalere il diritto dei popoli all’autodeterminazione sul diritto all’integrità territoriale degli stati, mentre nel caso di Ucraina e Crimea si fa il contrario.

Lo scontro in Ucraina è uno scontro tra potenze, decisamente asimmetrico. Putin tenta di conservare il rango di potenza regionale e di impedire l’insediamento della Nato ai suoi confini. Dall’altra parte, gli USA cercano di espandere il loro ruolo di sola e indiscussa potenza mondiale. Considerata da questi punti di vista, l’annessione della Crimea (per autodeterminazione popolare plebiscitaria, ma senza validante controllo internazionale della votazione) è più che comprensibile. Putin doveva farlo prima che la flotta americana potesse arrivare a Sebastopoli con il pretesto di correre in aiuto all’Ucraina aggredita dall’imperialismo russo. L’esperienza insegna, aggiungo, che dove si è provvisoriamente stabilita una base americana il provvisorio diventa “aere perennius”, più perenne del bronzo. Per il momento una vera pace non è ipotizzabile, perché sia nel Pentagono che nel Cremlino sono i falchi a prevalere. E, aggiungo ancora, l’UE ha solo il compito di annuire in relativo silenzio, come richiesto da Washington e non da Mosca.
Lombardi loda senza riserve l’operato di Burkhalter in qualità di presidente per un anno dell’OCSE, ma si preoccupa per il fatto che a succedergli sarà un serbo, cosa che potrebbe di molto sminuire il ruolo di intermediario che la Svizzera ha finora potuto assumere. Lukaschenko, presidente e quasi dittatore della Bielorussia vorrebbe sostituirsi a noi in questo ruolo, e già ha mosso una pedina importante con il cosiddetto accordo di Minsk. E, aggiungo, proprio oggi è cominciata la seconda tregua concordata a Minsk, con Merkel e Hollande a rappresentare Obama. Comunque sia, una condizione preliminare per un ragionevole accordo definitivo sarebbe che la Nato la smetta finalmente con i suoi tentativi di accerchiamento della Russia.

Ho riassunto molto liberamente, ma credo onestamente, l’intervista a Filippo Lombardi. Da essa traspare un politico molto più ragionevole di quello che vorrebbe limitare i diritti popolari della democrazia diretta svizzera. Non resta altro da fare che auspicare che continui ad interessarsi da vicino dei problemi internazionali, problemi che prima o poi sempre hanno anche ricadute sul nostro paese, ma lasci in pace la nostra democrazia.

Gianfranco Soldati