Quadri 13Il Consigliere nazionale e direttore del Mattino replica all’avv. Ferrara Micocci

La mia posizione contro il doppio passaporto e specialmente quello dei politici non ha mancato di suscitare “vive proteste” da parte dei soliti noti. In particolare politici o aspiranti tali che si sono sentiti punti sul vivo. I quali non potevano (non potevano proprio?) perdere la ghiotta occasione per mettersi in mostra, facendo sfoggio del consueto moralismo un tanto al chilo.

Una candidata al Consiglio di Stato con la mania dell’apparire [Natalia Ferrara Micocci, della quale pubblichiamo una brillante intervista, ndR] ha ritenuto opportuno ostentare il proprio doppio passaporto, tentando maldestramente di farsi campagna elettorale tra i naturalizzati. La signora maschera la ricorrente mancanza di contenuti dietro parole grosse: offendere, discriminare, eccetera. Perbacco!

Quando i moralisti a senso unico non hanno argomenti, cioè ]sempre, vanno a parare sul solito trito cliché della discriminazione. Nel concreto, la discriminazione evocata sarebbe quella nei confronti dei naturalizzati. Si va manifestamente fuori tema. Perché avere due passaporti non è affatto un automatismo insito nella naturalizzazione. Non tutti i naturalizzati hanno il doppio passaporto. Averlo o non averlo è una libera scelta. Il tema è il doppio passaporto e non le naturalizzazioni.

E allora vediamo di rimettere la chiesa al centro del villaggio. Si afferma con impeto sospetto che il doppio passaporto servirebbe a mantenere il legame con le proprie radici; quindi (?) rinunciare alla cittadinanza originaria significherebbe rinnegarle. Nesso causale assai azzardato. Per non dire inventato. Non c’è bisogno di un documento per mantenere il legame con le proprie radici. Questo legame dovrebbe essere qualcosa che va al di là di una carta bollata e plastificata. Dalle domande esplicite rivolte ai “naturalizzandi” emerge che il doppio passaporto non è voluto per ragioni ideali, ma per trarne dei vantaggi molto pratici.

D’altra parte il cittadino straniero non è costretto a naturalizzarsi. Si può benissimo vivere in Svizzera anche senza essere svizzeri. L’unica differenza, di fatto, è che non si vota. Se si vuole ottenere il diritto ad entrare a far parte della comunità politica, bisogna anche essere disposti a rinunciare a qualcosa. O, piuttosto, a mettersi sullo stesso piano di chi è svizzero dalla nascita: e di passaporto ne ha uno solo. Chiedere di compiere una scelta non è né uno scandalo né una dimostrazione di razzismo. E nemmeno tradisce spirito medievale (nel medioevo gli stati nazionali nemmeno esistevano).

La richiesta di scegliere tra un passaporto e l’altro è ancora più legittima se posta a chi si candida ad una carica politica. Chi lo fa, sposa la causa di un paese. E una causa non si sposa a metà.

Bizzarro notare che a perorare il doppio passaporto, compreso quello dei politici, c’è anche chi si è scelto come slogan un sentenzioso “per tutti, senza privilegi”. Ma poi difende i privilegi degli svizzeri acquisiti – che dovrebbero avere il diritto di estrarre ora l’uno ora l’altro documento, a dipendenza della convenienza – rispetto agli svizzeri di nascita.

Non è obbligatorio naturalizzarsi. Ancora meno lo è fare politica dopo essere diventati svizzeri. Chi sceglie questa strada sia pronto a sceglierla fino o fondo. Rinunciando ad opportunità che quelli che sono nati cittadini elvetici non hanno. Altrimenti sono questi ultimi, e non certo i naturalizzati, a diventare dei “cittadini di serie B”.

Lorenzo Quadri
Consigliere nazionale
Lega dei Ticinesi