Scuola che verràUna “rivisitazione”, dopo 10 anni esatti

Franco Cavallero ci ripropone questo suo articolo del marzo 2005. Quel famoso “documento di 157 pagine” del quale egli parla io ce l’ho (ma lo devo cercare), il Dipartimento ce l’ha (lo devono cercare anche loro). Il problema scolastico (chiamiamolo così) di una società ha una vera e propria “soluzione”? Io direi, istintivamente, di no. Si prova, si riprova, si riforma, ci si arrovella, si cambia. Le valutazioni (spesso ideologiche) dei possibili risultati divergono. C’è chi demonizza la scuola dei “troppi bocciati” e chi contro-demonizza la scuola dei “tutti promossi”.

L’obiezione che si può muovere a quest’ultima è ovvia, al limite del banale, ma molto seria. “Quanto vale, quali competenze certifica il pezzo di carta che noi benignamente regaliamo?”

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Il livello delle conoscenze grammaticali di molti giovani ticinesi non è esaltante: lo ha evidenziato anche un servizio di «FALÒ» di giovedì 3 marzo [2005, ovviamente], nel quale molto vien detto ma ancor più viene lasciato intuire. Non si è nemmeno in grado di scrivere un dettato elementare senza errori, compresi certi «fiori di lingua» davvero impagabili. Alcuni docenti e pedagogisti chiedono perciò di potenziare l’insegnamento dell’italiano, e non manca la proposta di finanziarlo con una parte consistente dei proventi dell’oro della Banca Nazionale, ipotesi chiaramente respinta dall’onorevole Gendotti [il direttore del DECS di allora], il quale ha anche precisato che le ore di lezione non si possono aumentare, perché così impone la «griglia oraria». […]

Allargando il discorso oltre la situazione emersa durante la serata, è evidente che il destino dei giovani (di molti purtroppo, non esclusi quelli di prestigiose alte scuole) non si prospetta necessariamente roseo. Qualcuno si è accorto a metà degli Anni Novanta della precarietà giovanile (impreparazione, incertezza, disoccupazione, insoddisfazione…) quando una certa «campana a martello» era già stata messa a tacere nell’indifferenza generale. Condizionamenti negativi si protraggono da molto tempo e rendono vieppiù problematico uno sbocco positivo e duraturo (il più soddisfacente possibile) nel mondo globalizzato di cui tanto si parla. Le «tavole rotonde» si sprecano, ma la maggioranza assiste con molto fatalismo al peggioramento drammatico delle prospettive occupazionali, senza poterlo comprendere e valutare nella sua origine e nel suo sviluppo. Altri si accontentano di stendere il paziente sul lettino dell’analista per scrutarlo a lungo con il microscopio fin nei più riposti recessi, e intanto le emergenze non fanno che aumentare, perché a troppi fa comodo che così sia anche nel futuro.

Eppure un approfondimento delle condizioni di partenza del post-obbligatorio era stato fatto e i risultati messi a disposizione dell’attuale DECS (allora si chiamava DPE). Andai a consegnare personalmente le copie nei rispettivi Uffici, il 13 settembre 1989, ma poi salvo qualche risibile e burocratico riscontro non ne seppi più nulla. Sulla base di statistiche ricavate dai dati ufficiali ero riuscito a provare che dopo i quindici anni di età gli allievi meno «agguerriti» andavano incontro a insuccessi, ripetizioni di classi, cambiamenti di curricolo verso il basso, scoraggiamento e abbandoni scolastici. Scrivevo anche: «È interesse precipuo del nostro Cantone che la sua gioventù non diventi come un’accozzaglia di cani ringhianti e azzuffantisi per i pochi ossi loro rimasti». Ne parlai a esponenti del mondo politico, figuriamoci il loro interesse… Un paio di settimane fa ho reperito un esemplare vagante del fascicolo fra le mie scartoffie e l’ho subito spedito al responsabile dei profondissimi studi sulla materia, ben lieto di fargli capire che anch’io conosco un pochino i problemi soggiacenti. Spero che lo abbia ricevuto e che non sia già andato smarrito come i suoi compagni in qualche anfratto o lòculo funerario.

È trascorso tanto tempo, si dirà. Per quanto riguarda il DECS, assorbito da tante altre faccende e faccenduole, è altamente improbabile che l’oggetto faccia parte delle priorità di primo, secondo e anche terzo grado. Ma se per avventura si scovasse traccia di quel documento onusto di anni e povero di gloria, lo si (ri)legga un po’ con calma, magari in una baita di montagna (ovviamente senza la pretesa di centellinare tutte le 157 pagine) durante un fine settimana di piacevole «relax», per farsene un’idea e per rinfrancarsi lo spirito fra un enigma e l’altro. Chissà che qualche elemento importante della nostra vicenda scolastica (e vita civile, aggiungerei) non possa emergere improvvisamente dalle impenetrate nebbie, gettando un po’ di luce sui «misteriosi» eventi che allarmano tanta gente impaurita e disillusa.

Franco Cavallero
Lugano, 7 marzo 2005 (pubblicato il 9 dal CdT)

Post scriptum attuale: Dei fatti descritti sopra, per le loro implicazioni oggi evidenti e tutt’altro che di poco peso, appare sempre più amaramente degna di encomio la classe partitica inossidabile che preferì russare della grossa, lasciando agli attuali speranzosi candidati di interessarsene con vaghe e inespresse preoccupazioni, se non è letteralmente troppo tardi. (f.c.)