Piazza 3Giustamente si è pensato di istituire un fondo speciale di una ventina di milioni a sostegno dell’occupazione con i proventi dell’amnistia fiscale cantonale, nel momento in cui essa dovesse, davvero, concretizzarsi. Altrettanto giusto pensare, come suggerito da più parti, di usare una parte del versamento della BNS al Cantone, per finanziare interventi a favore del mercato del lavoro. Iniziative più che opportune senza dubbio. Tuttavia, sarebbe bene non dimenticare che il lavoro non si crea per decreto, che non bastano un messaggio del governo e l’approvazione del governo e del parlamento per creare nuovi impieghi. Il lavoro lo creano le aziende o, meglio, gli imprenditori che le guidano, ma per poterlo fare, per mantenere e accrescere l’occupazione, devono essere messi nelle condizioni di poter fare impresa.

Oggi, purtroppo, in Ticino non si respira di certo un clima favorevole per fare impresa, anzi si è assistito ad una criminalizzazione strisciante degli imprenditori, a cui viene rimproverato di tutto e di più. Consumo e distruzione del territorio, assunzione eccessiva di frontalieri, con i problemi conseguenti di traffico, aree di parcheggio abusive per i dipendenti, dumping salariale, sfruttamento intensivo dei servizi e degli aiuti dello Stato. Un pressione mortificante per chi fa impresa e giorno dopo giorno deve battersi per reggere una concorrenza agguerrita. Tanto più mortificante in un Cantone fiscalmente punitivo per le aziende e che in tutti questi anni non ha concesso quegli sgravi che avrebbero non solo permesso agli imprenditori maggiori margini per gli investimenti, ma che avrebbero pure rappresentato una ventata di fiducia per la nostra economia. Attenzione, però, a tirarla a lungo la corda alla fine si spezza. In queste ultime settimane non sono mancati segnali allarmanti.

Gli effetti del nuovo cambio franco-euro hanno avuto un duro impatto su molti settori della nostra industria. E si badi bene: a soffrirne di più non sono state le tanto vituperate fabbrichette messe su dal nulla da imprenditori italiani d’assalto, ma aziende storiche del nostro tessuto industriale e ad alto valore aggiunto, come è di moda dire oggi. Imprese legate al territorio, radicate nelle comunità locali e alcune anche con una lunga tradizione imprenditoriale alle spalle. Questo dovrebbe far pensare, perché ha svelato alcune criticità del nostro sistema industriale, ma anche alcune debolezze strutturali nell’insieme delle condizioni che dovrebbero facilitare il fare impresa in Ticino.

Dai vertici delle organizzazioni imprenditoriali si è invocata una maggiore attenzione, una maggiore sensibilità della classe politica, governo e parlamento, verso i problemi delle imprese. Non lasciamo cadere nel vuoto questo appello. Perché oggi si rischia non solo di non creare nuovi impieghi, ma di perdere migliaia di posti di lavoro. Solo se le imprese girano, solo se gli imprenditori possono continuare a fare il loro lavoro con fiducia e serenità, si riesce a salvaguardare e ad incrementare l’occupazione. Al di fuori di questa condizione, c’è solo il lavoro assistito, quello sussidiato dallo Stato.

In questi anni d’infuocato dibattito politico sull’occupazione, in cui gli eccessi strumentali hanno spesso prevalso sull’analisi ragionata dei problemi e delle soluzioni, non è stato approfondito a sufficienza uno degli elementi chiave, ossia la formazione. Il fatto che quasi la metà delle persone oggi in assistenza abbia come titolo di studio solo le scuole dell’obbligo, vorrà pur dire qualcosa. E nella stessa condizione si trova sicuramente anche una buona fetta di quanti sono iscritti nelle liste dei disoccupati.

Se il Cantone deve investire dei soldi a favore del lavoro, è innanzitutto sulla formazione, sia di base che sulla qualificazione professionale costantemente aggiornata, che bisogna intervenire. Solo così si riuscirà a combattere alle radici il fenomeno della disoccupazione.

Stefano Piazza, candidato PPD al Gran Consiglio

(articolo pubblicato nel Corriere)