Jack 1111Tutti sanno – e mi viene spesso rimproverato! – che ho la “brutta abitudine” di commentare (e spesso: criticare) gli articoli degli ospiti giunti in Redazione. Lo considero un mio diritto ma, naturalmente, mi sforzo di essere giusto.

Questo pezzo di Orlando De Maria è  1) un po’ troppo “facile”  2) inconcludente. Rimproveri taglienti al Governo e allo Stato (quelli suscitano sempre l’applauso, non che io li voglia difendere…), ai “ciechi burocrati” (odiatissimi da tutti, anche da me, e senz’altro meritevoli di pena di morte con tortura), eccetera. Poi però, quando si arriva al dunque, cioè alle “soluzioni” (le virgolette sono d’obbligo), che cosa propone lo scrivente? “Incentivi e facilitazioni” statali. L’economia in profonda crisi dev’essere risanata… con i soldi delle casse statali. E tte ppareva. Simili sistemi li abbiamo già visti e applicati, e sono, in parte, in atto.

Quanto all’ “inconcludenza”, che ribadisco, che cosa dobbiamo leggere? “Mettiamoci tutti attorno a un tavolo”, “sediamoci attorno a un tavolo”, eccetera eccetera. Ma quando avremo costituito un mini-parlamento di venti, trenta, quaranta o cinquanta vocianti personaggi – ognuno con il suo partito o partitino, con la sua lobby, i suoi “clienti”, i suoi galoppini – che cosa avremo, concretamente, realizzato? I più contenti saranno i giornalisti, che avranno l’occasione di riempire pagine e pagine di commenti, editoriali, gossip… (Pensiamo, per analogia, a quella specie di sceneggiata napoletana che fu la road map).

Alla fine, e non sarebbe male, la gente potrebbe anche stufarsi. La parola a Orlando De Maria.

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La situazione attuale del mondo del lavoro ticinese è sotto gli occhi di tutti, al di là dei proclami della SECO e delle flessioni che di norma la percentuale dei senza lavoro fa registrare a ridosso e nel pieno della stagione turistica. Secondo gli ultimi dati raccolti, a febbraio la disoccupazione in Ticino sarebbe scesa di 0,2 punti percentuali rispetto al mese di gennaio, assestandosi al 4,6%.

Quello del lavoro però non è tema che si possa riassumere solo ed esclusivamente coi numeri. La situazione in realtà è ben diversa: è certamente più alto il numero di senza impiego, è certamente più alto il numero di chi sta graffiando il barile e che presto si rivolgerà alla pubblica assistenza ed è certamente in crescita quella parte di popolazione che percepisce salari indegni.

Riassumendo in poche parole si può quindi dire che il numero di disoccupati è preoccupante così come è preoccupante la politica delle retribuzioni e, con il suo disordine istituzionale, è preoccupante l’inefficacia del Governo, immobile davanti ad un disastro di tali dimensioni. Un Governo che ancora divide chi ha un lavoro da chi non ce l’ha, senza tenere conto del fatto che oggi i “working poor”, ovvero coloro che pure esercitando una professione vivono ai limiti della povertà, sono una realtà consolidata. E lo dicono quei numeri nei quali il peggiore Esecutivo del Ticino cerca conforto.

La parità tra Franco svizzero ed Euro fa il resto: ulteriore diminuzione dei salari, impennata delle pessime condizioni di impiego e un totalitarismo esercitato dai datori di lavoro che rimanda ai decenni più bui del secolo scorso. Se una cosa è vera, per definizione lo è anche il suo contrario: ora, quando (e se) il cambio dovesse tornare ad assestarsi a 1,20 franchi per euro, i datori di lavoro rialzerebbero le masse salariali? Il rischio è che le nuove politiche di remunerazione diventino gli standard del futuro, dando così un’altra coltellata al petto alle economie ticinesi.

Quindi è lecito attendere qualche improvvisa folata di vento che possa diradare le nubi? Ognuno risponda per sé. Gli effetti meno visibili di una politica dissennata durata un ventennio sono sulle bocche di tutti, quando pretendono che lo Stato imponga salari minimi e obblighi le aziende ad assumere residenti. Così, di punto in bianco, dopo vent’anni in cui si è permesso a chiunque di fare come meglio gli aggradasse.

Un intervento così scellerato porterebbe alla totale cancellazione di posti di lavoro, anche quei pochi che al momento sono assegnati ai residenti. Nessuno però, e questo fa male al cuore, pensa a soluzioni che aiutino a voltare pagina. E allora, a costo di essere impopolare, propongo di creare una nuova generazione di aziende alle quali lo Stato riconosca incentivi non solo di ordine economico e finanziario, in cambio di impiego per i residenti e in cambio di una maggiore concertazione tra università e scuole locali e mondo del lavoro.

I ticinesi sono persone capaci, i nostri giovani sono in gamba, tutti noi meritiamo maggior rispetto da parte dello Stato e questo Stato deve smetterla di pretendere un rispetto che ogni giorno viene meno e che fa di tutto per non guadagnarsi.

Una nuova generazione di aziende, quelle che in gergo si chiamano “startup”, che hanno creato ricchezza e impiego in Inghilterra, in Germania, in Francia e anche in alcune Regioni italiane. Il ministro dello scacchiere britannico ha asserito che la politica “pro-startup”, fatta di incentivi e di facilitazioni, ha creato nella sola area urbana di Londra oltre 10 mila posti di lavoro. Il Ministro Corrado Passera, nella passata legislatura italiana, ha scritto un intero decreto legge che ha permesso la nascita di nuove aziende e ha aperto le porte a una nuova regolamentazione sui finanziamenti alle neo-aziende.

Da noi, invece, si vanno a rincorrere scioperanti e manifestanti, con un atteggiamento reattivo che mi fa paura e mi fa provare vergogna. Mettiamoci tutti attorno ad un tavolo, a prescindere dall’ideologia politica, e diamo vita ad una politica per attirare aziende e farne nascere di nuove. Aziende alle quali verranno applicate altre regole e altri parametri.

Sì, qualche cosa c’è già… ci sono incentivi previsti che rispondono a parametri di impiego, di rispetto per il territorio e di valore aggiunto per l’economia. Questi però, come al solito disegnati da ciechi burocrati che, dall’alto, disegnano e immaginano situazioni completamente diverse da quelle reali, hanno il merito (forse) di attirare aziende. Ma lo Stato, in una nuova visione orizzontale del rapporto tra pubblico e privato, deve trovare formule per fare in modo che le aziende sopravvivano e si sviluppino, e non limitarsi a fare in modo che aprano, per poi chiudere nel giro di pochi mesi.

Sediamoci attorno ad un tavolo e sviluppiamo un piano di crescita per il Ticino. Possiamo farlo, non siamo secondi a nessuno. Siamo solo più ciechi.

Orlando De Maria

candidato al Gran Consiglio per il Fronte degli Indignati