Alcuni interessanti articoli della Weltwoche: della guerra in Siria e d’altro

paolo-camillo-minotti canvasIl Consiglio federale ha annunciato recentemente che intende accogliere un contingente straordinario di 3’000 profughi della guerra in Siria. Per quanto a prima vista possa sembrare una decisione encomiabile (si potrebbe dire: per una volta si tratta veramente di gente che scappa da una situazione drammatica e di eccezionale gravità!), in realtà essa è assai discutibile e soprattutto inefficace dal punto di vista umanitario. Il giornalista Kurt Pelda ricordava sulla “Weltwoche” del 19 marzo scorso alcuni dati che parlano da sé: la ricca Svizzera ha speso lo scorso anno per l’aiuto ai profughi siriani “sul posto” 30 milioni di franchi; i profughi in Siria (interni al Paese e nei Paesi vicini) sono ormai 11 milioni di persone; il contributo svizzero è stato dunque di miseri fr. 2,90 per profugo all’anno. Dall’inizio della guerra in Siria nel 2011 la Confederazione ha quindi speso per l’aiuto alla Siria circa 130 milioni di franchi. Per dare un’idea dell’ammontare di questa cifra nell’ambito del budget della Confederazione, occorre ricordare per esempio che la stessa cifra viene spesa in un solo anno per l’aiuto ai Paesi dell’Est europeo e dell’ex Unione Sovietica da parte della Divisione per l’aiuto allo sviluppo e alla cooperazione del DFAE. Altro esempio: una cifra un po’ più alta viene spesa per l’aiuto a Cina, Corea del Nord e Sri Lanka.

Quali priorità d’aiuto da parte del DFAE?
La domanda ovvia che sorge è quindi: data la gravità della tragedia siriana, che non ha paragoni con la situazione di Paesi magari un po’ arretrati ma in cui si riesce a vivere, non sarebbe possibile – eccezionalmente, per un anno o due – dirottare parzialmente i fondi dell’aiuto alla cooperazione a favore dei profughi siriani? In tal caso gli aiuti non causerebbero un aumento della spesa complessiva della Confederazione. O forse questo richiederebbe uno sforzo di adattamento eccessivo alla burocrazia del DFAE? Ora il Consiglio federale vuole aumentare il contributo umanitario alla Siria a 50 milioni per il 2015, vale a dire a fr. 4,55 per profugo all’anno, che sono comunque sempre pochi in rapporto all’enormità del bisogno e delle sofferenze, pur considerando che a questo aiuto pubblico vanno poi ad aggiungersi altri aiuti di enti privati (come quello promosso per es. dal GdP tramite enti e rappresentanti sul posto della Chiesa cattolica).

Il programma d’accoglimento dei 3000 profughi in Svizzera, per contro, costerà secondo il Consiglio federale al massimo 42 milioni di franchi, vale a dire 14’000,- franchi per profugo e per anno, cioè 3000 volte di più di quanto il Consiglio federale è disposto a spendere per l’aiuto sul posto (per profugo). E bisogna ancora vedere se in tale cifra sono compresi tutti i costi per alloggiare e aiutare i profughi accolti in Svizzera (al proposito è lecito avere qualche dubbio). Il divario abissale tra il costo dell’aiuto sul posto e il costo della accettazione in Svizzera, basta ad illustrare l’assurdità di questa politica di accoglienza, che mira solo a mettere un lustrino sul bavero di chi la propone e che crea una casta di privilegiati nell’immenso popolo dei profughi di guerra.

Chi ha un po’ di sale in zucca non può non convenire che sarebbe molto meglio spendere anche il doppio o il triplo, ma per l’aiuto ai profughi nei paesi circostanti al loro Paese d’origine, da dove (se la guerra come si spera terminerà fra qualche tempo) potranno più facilmente tornare o comunque avere contatti con dei conoscenti rimasti in Siria. E infine, a guerra terminata, occorrerà soprattutto accingersi ad un aiuto alla ricostruzione di quel Paese martoriato!

Sussidi a sbafo ai kosovari non inclini a lavorare
Il bravo giornalista Philipp Gut ha pubblicato nel già citato numero della “Weltwoche” un servizio sugli abusi nel campo della socialità, che è impressionante. Precisiamo, a scanso di equivoci, che parliamo di “abusi” secondo il sentire popolare: in realtà talvolta può trattarsi di sussidi erogati formalmente in modo corretto, almeno dal punto di vista del beneficiario, nel senso che egli li ha chiesti e non è colpa sua se le istituzioni svizzere sono talmente “ciòla” da concederglieli. Nel caso illustrato dettagliatamente dalla “Weltwoche”, in effetti, il beneficiario (uno svizzero-kosovaro oggi trentatreenne e in buono stato di salute) non fece mistero di svolgere attività illegali – in specie traffico di stupefacenti – conseguendo dalle stesse delle entrate, che naturalmente non dichiarava; ma ciò non di meno le autorità cantonali e comunali preposte, gli assistenti sociali che seguivano il caso, ecc. accondiscesero ripetutamente a rinnovargli i sussidi, in alcuni casi adducendo quale motivo la speranza che l’interessato forse stesse per cambiare vita. Inoltre egli declinò sempre ostinatamente ogni offerta di lavoro che gli assistenti sociali gli offrivano, con vari pretesti, e annullando a brevissimo termine degli appuntamenti fissati a tale scopo. Questo per oltre una decina d’anni; in pratica egli è sempre stato mantenuto dallo Stato da quando interruppe un apprendistato (a 18 anni); da allora non ha praticamente mai lavorato, almeno legalmente. Philipp Gut osserva giustamente che non è strano che la persona in questione rifiutasse i lavori che gli venivano offerti, visto che dall’aiuto sociale riceveva probabilmente di più di quanto potesse guadagnare con un lavoro legale, non avendo nessuna formazione professionale.

Fatto sta che egli ricevette per tutto il periodo citato in media 5’000,- franchi al mese, netti e esentasse (il sussidio di base minimo ammonta a fr. 2’110,-, a cui bisogna aggiungere i premi di cassa malati, l’affitto di un appartamento di standing generoso, come pure altre spese pagate come per esempio le fatture del dentista, abbonamenti, importo per piccole spese ecc.). Da notare che egli, benché invitato in una occasione o due a cercarsi un appartamento più modesto e meno costoso, non ottemperò mai a tale richiesta; ciò non di meno gli uffici preposti non presero mai provvedimenti concreti, tipo riduzione del sussidio o controlli più accurati sulle attività illegali del beneficiario. Egli infatti circolava con una Jaguar fiammante, che difficilmente avrebbe potuto comprarsi con i soli sussidi ricevuti – pur generosi – e senza altre entrate illegali.

Giustamente Philipp Gut ritiene scandaloso tale caso, che purtroppo non è isolato, come certi difensori d’ufficio dei beneficiari impropri di aiuti sociali (in specie se stranieri) amano ripetere per relativizzare. Tant’è vero che in un suo commento sul giornale, separato dall’articolo di inchiesta, egli propone provocatoriamente di abolire tout court i sussidi di assistenza nelle modalità oggi vigenti. Naturalmente l’obbiettivo della critica non è tanto il profittatore di turno, quanto il fatto che i servizi sociali preposti spesso non applichino correttamente le leggi (pur già molto generose) e concedano i sussidi anche quando il beneficiario non ne avrebbe diritto (o non ne avrebbe diritto nella misura concessa), omettendo inoltre di fare accertamenti elementari, che dovrebbero essere doverosi per rispetto dei cittadini contribuenti.

Quel che indigna è in modo particolare il fatto che, nel caso specifico, il caso non sarebbe mai emerso se il cittadino svizzero di origine kosovara in questione non fosse stato sospettato di un grave reato di sangue (l’assassinio di un portinaio montenegrino sulla pubblica strada) e per ciò arrestato. Con l’inchiesta penale è poi emersa anche tutta la scabrosa vicenda sociale-amministrativa del sospettato. Infatti va detto che, un po’ per la discutibile legislazione sulla protezione dei dati personali, un po’ per la mancanza di trasparenza dell’Amministrazione pubblica (dove si applica strettamente il segreto d’ufficio), questi casi inaccettabili e altamente diseducativi di elargizione facile di denaro pubblico faticano ad emergere. Anzi spesso, anche quando vi siano fondati sospetti di modalità improprie nell’applicazione delle leggi, l’autorità tenta di nascondere il caso, non esitando in qualche caso a denunciare o a licenziare quei funzionari corretti che tentano di ribellarsi all’andazzo, anziché spalleggiarli nella ricerca della verità e nel ripristino della correttezza. Emblematico fu a questo proposito il caso delle due funzionarie dell’assistenza sociale della Città di Zurigo, che avevano denunciato qualche anno fa il modo di agire del dicastero diretto dalla municipale dei Verdi Monika Stocker, e che furono licenziate.

E nel Ticino è tutto in ordine?
È impossibile non chiedersi, a proposito di abusi nell’erogazione di sussidi sociali: e nel nostro Cantone è tutto regolare? Francamente ci stupiremmo se questo andazzo fosse di casa solo nel Canton Zurigo (o nel Canton Berna, come un’altra recente notizia giornalistica ci ha informato). Abbiamo purtroppo motivo di ritenere che tali degenerazioni siano un rischio connesso in ogni burocrazia, ad ogni latitudine. Soprattutto se viene meno un controllo serio da parte del Legislativo e della sua commissione delle finanze (con il metodo delle “Stichproben” che focalizzano a turno questo o quel settore suscettibili di un controllo approfondito, perché ovviamente una commissione del Legislativo non può controllare nel dettaglio tutte le poste di bilancio). Oppure, alternativamente, se manca un controllo da parte di massmedia liberi e pluralisti. E quest’ultimo aspetto un po’ ci inquieta: nel Ticino infatti manca un giornale serio di critica agli abusi di politica e Amministrazione statale, com’è la “”Weltwoche” nella Svizzera tedesca. Se dovessimo giudicare in base al fatto che il DSS è stato per cinquant’anni ininterrottamente un feudo del PS – cosa sempre malsana, qualunque sia il detentore del feudo – concluderemmo che nel nostro Cantone probabilmente vi sono casi analoghi, solo che non emergono pubblicamente….

Quelle accuse pretestuose di razzismo…
Sempre nella citata “Weltwoche” (chiedo scusa a quei lettori che la leggono regolarmente, per i quali il mio compendio riassuntivo risulterà superfluo, ma questo giornale merita di essere citato per le posizioni chiare che assume, nonché per l’alto “peso specifico” informativo) ho letto pure un ottimo articolo dell’avvocato Daniel Jositsch, consigliere nazionale socialista, di origine ungherese. Già in altre occasioni Jositsch ci aveva colpito per la sensatezza e la moderazione del suo dire, nonché per il suo stile serio e sobrio (che non è proprio tipico di tutti i politici socialisti e a dire il vero nemmeno di tutti quelli non socialisti). Questa volta egli ha avuto il coraggio – soprattutto per uno della sua parte politica – di dire alcune verità, in sintesi che: è ora di finirla con le denunce pretestuose di presunto razzismo, deposte da gruppuscoli marginali o personaggi eccentrici, contro degli avversari politici allo scopo di diffamarli! Jositsch cita dei casi concreti con nomi e cognomi (per esempio Ulrich Schlüer e Alfred Heer, già consiglieri nazionali UDC, entrambi vittime di denunce da parte di faziosi avversari politici e poi dopo alcuni mesi assolti dai tribunali o il cui procedimento fu archiviato dallo stesso P.P.). Schlüer aveva fatto degli apprezzamenti su degli asilanti palestinesi che avevano partecipato a un pestaggio nei pressi di un centro per richiedenti l’asilo definendoli “feccia” e “miserabili picchiatori”. Heer aveva invece preso di mira in una trasmissione di “Tele Züri” i richiedenti l’asilo tunisini giunti due anni fa dicendo che “questi giovani tunisini vengono come richiedenti l’asilo già con l’intenzione di delinquere”. Jositsch giustamente dice che le dichiarazioni incriminate di Schlüer ed Heer, possono essere anche non condivise o ritenute di cattivo gusto, ma non hanno niente a che vedere con il razzismo come previsto dalla relativa legge, la quale è stata pensata per casi gravi di reale razzismo militante (come per es. i negazionisti dell’Olocausto o chi incita al linciaggio di una determinata etnia). Dice Jositsch: è vero che finora in questi casi i tribunali hanno sempre in genere alla fine giudicato correttamente, assolvendo chi era stato accusato senza motivo; però il danno fatto al denunciato è soprattutto quello mediatico, in quanto egli viene considerato per alcuni mesi – in attesa del decreto del procuratore o della sentenza del giudice – come un razzista riprovevole e dunque danneggiato e messo sotto pressione. Jositsch invita perciò i procuratori a decidere velocemente su queste denunce di razzismo, al massimo dopo due o tre giorni, per evitare appunto che l’intento diffamatorio esplichi effetti, soprattutto sui massmedia che naturalmente danno notizia di queste denunce, e – nel caso appunto esse risultino evidentemente infondate e strumentali – di emettere senza indugio un decreto di non luogo a procedere. L’ideale, Jositsch dixit, sarebbe che l’opinione pubblica apprendesse la notizia della denuncia contestualmente alla notizia della decisione del P.P. (che è in genere di non luogo a procedere). Dice ancora Jositsch: le denunce strumentali contro avversari politici sono un malvezzo deplorevole che va scoraggiato, perché possono causare anche la fine (ingiusta) di una carriera politica. Jositsch si dice nonostante tutto un fautore della legge antirazzismo, e aggiunge – giustamente – che teme però che il fatto che la si utilizzi abusivamente, arrischia di squalificarla.

Nostro commento: parole sacrosante! E il pensiero non può che correre alla “vicina grande nazione amica”, dove talvolta sono gli stessi PM a dar prova di faziosità e di accanimento ingiustificato contro personalità a loro invise. Purtroppo questo malvezzo di voler indurre la giustizia a sentenziare anche su cose che non gli competono – sconfinando nel giudizio sulle opinioni politiche – tende a diffondersi anche nel nostro Paese, favorito appunto dalla norma contro il razzismo, che è per sua natura di soggettiva interpretazione. Personalmente crediamo, ed è l’unico punto dove non concordiamo con l’avv. Jositsch, che la norma anti-razzismo sia già in sé sbagliata: per le controindicazioni che provoca, come giustamente spiegato da Jositsch, da una parte, ma anche d’altra parte perché – nei casi veramente gravi di incitazione all’odio razziale – il reo può già essere incriminato in base al diritto penale ordinario (per ingiuria, diffamazione, istigazione all’omicidio, ecc.). Nei casi poi di assurdo negazionismo, la norma non serve e anzi è controproducente, perché arrischia di dare al disgraziato che sostiene tesi assurde l’aureola del perseguitato. Le tesi assurde, in uno Stato liberale e democratico, vanno combattute e confutate con le argomentazioni, non con le denunce penali.

Paolo Camillo Minotti