Con questo interessante articolo, già pubblicato nel Corriere, la candidata PLR attacca direttamente la linea “populista” (Savoia, Lega, Destra); quella che io preferirei chiamare “protezionista”, poiché reclama a gran voce protezioni particolari per il nostro Cantone. Micocci si distingue e si distanzia; cerca il suo spazio – politico, ed elettorale – altrove.

Micocci abcSiccome rispondendo a una domanda del “Corriere del Ticino” ho detto che sul mio comodino c’era anche “La grande bugia” di Sergio Savoia e Elisabetta Gianella, molti mi hanno chiesto cosa ne pensassi. Provo a riassumere, immaginando di trasformare il testo del coordinatore dei Verdi in una ricetta da cucina. Prendete il pentolone di un bravo polemista e con il senso del marketing politico. Versateci una porzione di grillismo italiano, una di podemos spagnolo, una di tsipras greco, un mestolo di indignados e di polemica “anticasta”. Non dimenticate, beninteso, i loro equivalenti politici svizzeri e ticinesi e aggiungete dunque una goccia di Ecopop, un po’ di Minder, una dose di ambientalismo e molta voglia di frontiere chiuse. Non dimenticate di lodare la nostra democrazia diretta e di dire male dell’UE. Insomma, raggruppate ciò che oggi va per la maggiore. Spruzzate con le cifre ticinesi sulla disoccupazione, sui frontalieri e sull’assistenza sociale. Non preoccupatevi di sottolineare, ma figuriamoci se è importante, che per quanto problematici siano i dati economico-sociali ticinesi e svizzeri, il resto del mondo ce li invidia. Raccolto il tutto, mescolate con dosi generose di arcaismo economico, solidarismo vecchia maniera e dirigismo. A questo punto, dite ai commensali che “basta volere per potere”, lasciate bollire al fuoco di una campagna elettorale e quindi servite il tutto nel primo anniversario del voto del 9 febbraio 2014. Metterete in tavola una pietanza gustosa e stimolante. Peccato, però, che ovunque sia già stata servita o mangiata, in tempi recenti o lontani, abbia di solito prodotto, purtroppo, meno libertà, meno solidarietà, meno prosperità, più poveri, più disoccupati, più donne espulse dal mercato del lavoro. E, ogni tanto, guai ancora maggiori. Una premessa, giusto per non essere fraintesa. So benissimo che non viviamo affatto nel migliore dei mondi possibili. Sono finite anche molte convinzioni anche per chi, come i liberali, pure ha sempre diffidato dalle utopie. In un mondo “cliccabile”, confrontato con debiti e rischi enormi, decine di guerre e innumerevoli situazioni di tensione, chi può ancora limitarsi a dire “laissez -faire, laissez-aller?”. Forse che l’evoluzione dei mercati finanziari, della sicurezza o dell’ambiente sta andando in direzione di una “deregulation”? Non scherziamo. Al tempo stesso, non possiamo negare i problemi, le ingiustizie, gli errori, le sofferenze e i timori, grandi e piccoli, di troppi ticinesi. Proprio come Savoia, non sono cresciuta nella bambagia, e so quindi molto bene cosa significhi un reddito modesto. Men che meno sottovaluto temi come il traffico, l’ambiente o la sicurezza, che è stata il mio lavoro fino a poco tempo fa e di cui tuttora mi occupo. Tutto ciò sottolineato, il tema è però un altro. Dove sono state applicate le idee di cui è fatto il libro, interessante, del leader dei Verdi, i problemi che si volevano risolvere sono stati generalmente aggravati, se non, addirittura, cronicizzati. Nella stragrande maggior parte dei casi, i poveri sono aumentati, i posti di lavoro diminuiti (specialmente per le donne), i servizi pubblici peggiorati, il debito pubblico cresciuto, il clima sociale indurito.

Pensare che i contingenti, la preferenza indigena, i salari minimi generalizzati e il blocco dei capannoni (ovvero, in sintesi, le proposte di Savoia) siano tutte soluzioni praticabili, a portata di mano o ancora adatte a risolvere i nostri problemi è un’illusione. Lo è, a mio avviso, per due ragioni essenziali. Anzitutto, perché parte dall’idea che ci servano nuove regole economiche, mentre abbiamo bisogno di generare nuove dinamiche economiche: competenze, investimenti, prodotti e servizi prima che controlli. In secondo luogo, perché presuppone che, in qualche modo, si possa – anzi si debba – sganciare la Svizzera dalla rete di obblighi internazionali che ha sottoscritto e dall’economia mondiale di cui è oggi, per fortuna, uno dei piccoli global player. Che proprio un piccolo Paese come il nostro possa fare a meno del diritto internazionale, tenue ma unica garanzia contro la legge del più forte, mi sembra strano. Difficile anche pensare che possa isolarsi uno Stato dove la metà del prodotto interno lordo è generato dagli scambi con l’estero. E il Ticino, per fortuna, è un pezzo di questa Svizzera, non un potenziale principato di Monaco dell’arco alpino. E’ giusto, eccome, chiedere coraggio, capacità autocritica e innovazione alla politica e alla democrazia. Con un armamentario superato non si può iniziare un rinnovamento. Al nostro Paese serve mirata solidarietà sociale, non indignazioni in sequenza. Coesione, non contrapposizioni di maniera tra “casta” e “cittadini”. Abbiamo bisogno di compromessi intelligenti e trasversali, di ricreare alleanze solide tra produzione e redistribuzione del reddito, di una fiscalità leggera, di una scuola esigente, di riconoscere e premiare ovunque il merito. Insomma, serve il nuovo, non l’usato. Ci servono inventori più che controllori. E, soprattutto, ci servono politici che si assumano le responsabilità del mondo reale, l’unico in cui viviamo, non di racconti di un mondo che non c’è e di una politica che, davvero, non si può fare.

Natalia Ferrara Micocci, avvocato, candidata PLRT al Consiglio di Stato