La testuale affermazione di Deiss, ovvero: le ultime parole famose

(seconda e ultima parte)

DeissQuesti primi trattati bilaterali erano ancora umidi di firma che già gli euroturbo intensificavano i loro sforzi per convincere il popolo recalcitrante della bontà delle loro scelte. Nel suo rapporto del 23 giugno 1999 sui trattati bilaterali I il CF scriveva che nuove trattative “non entravano in linea di conto per quei settori che per essere regolamentati richiedevano cessione di sovranità a istanze sovranazionali”, nominando espressamente “Schengen”.

Subito dopo fu l’UE a richiedere trattative in fatto di lotta alla frode fiscale e alla tassazione dei dividendi, con la Svizzera in pratica chiamata all’incasso di imposte a beneficio di altre nazioni, una primizia mondiale (con i nostri consiglieri federali inginocchiati …. a calar le brache, mi si scusi il termine, una postura non certo da Guinness). I furbissimi (più che la volpe) di Berna chiesero, come controprestazione per l’assunzione della funzione di esattore fiscale in favore di stati terzi, di poter entrare nel trattato di Schengen. Pensavano, i furbissimi, che l’UE avrebbe sorvegliato drasticamente i suoi sconfinati confini a nostro totale e quasi gratuito (in pratica 8 a 10 mio di costi prospettati, subito diventati più di cento) beneficio, visto che noi saremmo stati al sicuro al centro del suo territorio integralmente protetto. In altre parole, credevano (o sembravano credere) che la criminalità all’interno dell’UE, quella cui si spalancavano le porte con la libera circolazione delle persone, fosse solo l’incubo di euroscettici malconsigliati, ottusi e xenofobi. (Quale fosse invece la realtà, il Ticino lo sta ancora sperimentando quotidianamente).

Soldati 11Il CF spinse allora la sua ingenuità (certo non dovuta alla mancanza di intelligenza della maggioranza dei suoi membri, ma solo all’accecamento prodotto dai loro pregiudizi filoeueropei) al punto da scrivere che i trattati di Schengen e Dublino avrebbero “apportato sicurezza, meno richieste d’asilo e (udite udite, leggete leggete) protetto il segreto bancario. Si pretese (o si tentò di far credere) che con confini così garantiti dall’UE i richiedenti l’asilo avrebbero potuto raggiungere la Svizzera solo con l’aereo. Tutti quelli arrivati in altro modo sarebbero stati, grazie al trattato di Dublino, automaticamente respinti nel primo paese di approdo, e naturalmente, superfluo il dirlo, colà calorosamente accolti.

Sulla “Neue Zürcher Zeitung” del 1.12.2004 Joseph Deiss (mi sono sempre meravigliato del fatto non che fosse diventato consigliere federale, ma addirittura professore universitario, e l’ho anche scritto al suo segretario, uno Zanolari ticinese, fratello del giornalista sportivo. Non so se la lettera sia arrivata al destinatario) arrivò a scrivere, testualmente. “Il segreto bancario è garantito nel trattato di Schengen a tempo indeterminato”. Sulla “Weltwoche” del 26.5.2005 lo stesso personaggio si rallegrò del fatto che “noi nel nocciolo del problema abbiamo ancorato il segreto bancario nel diritto delle genti. Das ist ja das Fantastische”. (Un giudizio talmente acuto che aiuta a capire come mai il CH abbia potuto sottovalutare in modo così crasso i costi di Schengen).

Una svolta decisiva si ebbe il 4 marzo 2001, quando i cittadini svizzeri furono chiamati a votare l’iniziativa popolare “Sì all’Europa”, che conteneva questa frase: “La Svizzera partecipa al processo di integrazione europea e a questo scopo vuole aderire all’UE”. L’iniziativa fu massacrata da un 76,8% di no, una valanga. Gli eurofili, abbacchiati ed affranti, poterono così constatare di persona quanto avessero “an der Bevölkerung vorbei politisiert”, fatto politica trascurando o al difuori del popolo. Molti di loro, incapaci di democratica accettazione di una decisione non condivisa, cambiarono di colpo tattica. Accantonarono ogni riferimento pubblico ai loro veri scopi, intoccabili e immutabili come ogni assioma che si rispetti. A quei tempi Luzi Stamm era ancora nel PLR e potè sperimentare sul fronte la messa in opera della nuova tattica. Bisognava modificare il linguaggio: in questa legislatura, in questo decennio, attualmente l’adesione all’UE non è più un tema di discussione. Più efficace di tutti fu il consiglio di Pascal Couchepin (quello che credeva e forse crede ancora di essere Napoleone per metempsicosi): “in futuro dovremo dire e ripetere fino alla noia che noi (euroforici) siamo solo per i trattati bilaterali”.

Gli euroforici sono sempre all’opera, imperturbabili di fronte alle ripetute decisioni democratiche del popolo svizzero e assolutamente insensibili ai disastri causati da una costruzione politica e una moneta mal concepite e peggio costruite.
Appare chiaro che a Berna nessuno osa più affermare che ancora oggi mira all’adesione all’UE, vista la forza dell’opposizione popolare. Ma decisivo è il sapere chi sono i personaggi che a Berna ancora tramano dietro le quinte per realizzare i loro intenti. Molti euroforici di 10 anni fa ricoprono ancora, nella politica e nella pubblica amministrazione, ruoli importanti. Alcuni di loro sono perfino consiglieri federali (Didier Burkhalter e Simonetta Sommaruga per primi). Pochi sono così onesti come l’ex consigliera federale Ruth Dreifuss, cha aveva pubblicamente detto che per lei era assolutamente indifferente la futura esistenza della Svizzera: “ Non ha importanza sapere se la Svizzera esisterà ancora o no. Personalmente spero che al di sopra degli stati nasca una nuova costruzione europea. Che la Svizzera possa sopravvivere in questa costruzione per me non ha importanza”.

(Morale della favola, che non mi stancherò di ripetere da tutti i canali cui ho accesso: il prossimo 18 ottobre i ticinesi che stanno esperimentando sulla loro pelle i benefici di una politica che si vuole lungimirante quando è solo pregiudiziale, dovranno stare bene attenti a chi mandare a Berna. Nella nostra delegazione attuale gli euroforici più o meno mascherati sono ancora troppi. Non mancheremo di nominarli espressamente. La loro posizione è più che legittima, loro la credono, sempre legittimamente, anche alta e nobile. Ma dovrebbero venir eletti dai cittadini che ne condividono le idee, non da quelli contrari. Così vorrebbero la logica e la democrazia, purtroppo assenti ingiustificati e cronici nelle elezioni politiche).

Gianfranco Soldati