Contrariamente a quanto afferma Greta Gysin, né nel canton Giura, né nel canton Neuchatel, né in altri cantoni svizzeri sono stati introdotti finora salari minimi obbligatori. Giura e Neuchatel ne hanno approvato il principio nelle rispettive costituzioni cantonali, ma siamo ben lungi dall’aver trovato un’applicazione pratica.

A parte il fatto che gli iniziativisti non hanno mai definito cosa significhi un salario dignitoso (Avere un salario che ti permetta di pagare un appartamento a Lugano e non in periferia? Avere un salario che ci garantisca due automobili per famiglia e due-tre vacanze l’anno?), resta il fatto che l’iniziativa popolare in votazione il 14 giugno illude le lavoratrici e i lavoratori di questo Cantone. L’iniziativa propone salari minimi obbligatori differenziati per attività, da definire tramite una percentuale del salario mediano nazionale della categoria. La percentuale è ancora da definire, ma sappiamo perlomeno, perché ce lo ha detto il Tribunale federale, che essa non potrà spingersi oltre il 60 %. Oltre il salario minimo non sarebbe più un obiettivo sociale bensì economico e dunque si violerebbe la libertà economica e contrattuale tutelata dalla Costituzione federale.

Il risultato dell’iniziativa sarebbe quello di sdoganare salari addirittura inferiori ai 3’000 franchi mensili (60% di 4’500 franchi = 2’700 franchi). Del resto il Tribunale federale ha già stabilito che i Cantoni possono fissare dei salari minimi ma essi devono corrispondere al livello delle prestazioni sociali-assistenziali. E poi la madre di tutte le contraddizioni: i salari minimi penalizzano proprio le categorie più deboli, le donne, i giovani e i meno qualificati. Se io datore di lavoro sono obbligato a pagare almeno un determinato salario, per quell’attività cercherò d’impiegare personale maggiormente qualificato. Inutile dire che a rischio sarebbero anche i salari immediatamente sopra il minimo salariale imposto; verrebbero risucchiati verso il basso.

Ma poi chi sarebbero i veri beneficiari di un salario minimo? Sappiamo che in Ticino ci sono circa 18’000 persone che guadagnano fino a 3’500 franchi mensili. 12’000 di queste però abitano all’estero. E allora che affare fanno le lavoratrici e i lavoratori ticinesi? Mi spiace ma gli unici attori credibili in grado di trovare le giuste soluzioni in materia salariale perché meglio di altri conoscono i settori economici e le problematiche aziendali sono le parti sociali non lo Stato. E negli ultimi anni, contrariamente a quanto ripetono gli iniziativisti, il numero dei contratti collettivi di lavoro è in aumento.

Non è corretto fare di ogni erba un fascio. Quando parliamo di abusi del mercato del lavoro e di dumping salariale allora è giusto sanzionare chi viola le regole e imporre anche dei minimi salariali allo scopo di indurre pure gli imprenditori ad adeguarsi. Ma non è giusto affermare che si assumono lavoratori frontalieri per risparmiare. Nel settore della costruzione vi sono migliaia di frontalieri eppure lo stipendio minimo di un muratore supera i 5’000 franchi mensili. Dove sono i residenti? Qualcuno impedisce loro di impiegarsi in questo settore?

Nell’industria, che è il settore che rappresento, lavorano circa 16’000 lavoratori frontalieri su 29’000 lavoratori complessivi, erano 15’000 i frontalieri nel 1980. Negli anni non c’è stato alcun effetto di sostituzione della manodopera residente. E’ che gli italiani fanno anche dei lavori che non tutti gradiscono fare perché magari si lavora a turni, il fine settimana e persino di notte. Inoltre, si tratta di lavoratori sempre più qualificati, che rappresentano comunque sia un fattore di competitività per noi lavoratori residenti. Per questo, almeno in determinate attività, non è vero che un salario minimo obbligatorio toglierebbe l’interesse del datore di lavoro ad assumere frontalieri. Ne abbiamo proprio bisogno!

Mi auguro pertanto che il 14 giugno i ticinesi vogliano bocciare il salario minimo cantonale, così come hanno già fatto massicciamente (quasi il 70 %) il 18 maggio 2014 spazzando via il salario minimo di 4’000 franchi per tutti.

Stefano Modenini
Direttore AITI