Ricevo e volentieri pubblico questo contributo, che a mio avviso va nella giusta direzione. Più importante, tuttavia, della pur autorevole opinione dell’on. Romano è il comportamento del suo partito, soprattutto sul piano federale (ad esempio, non citato a caso, sulla deplorevole questione di “Madame 5%”). Le parole sono importanti. I fatti… ancora di più.

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Romano 2La burocratizzazione dell’Unione Europea, la tecnocrazia che prevarica la ricerca di consenso e compromessi politici e la crescente perdita di sovranità degli Stati membri hanno portato a una concentrazione e accelerazione delle regolamentazioni internazionali. Accanto a numerosi importanti atti del diritto internazionale che assolutamente non contesto, si moltiplica una selva di norme, direttive, regolamenti e istruzioni internazionali denominate in gergo “soft law”. Il tutto non ha un carattere vincolante diretto per la Svizzera, il non recepimento o rispetto non è giuridicamente sanzionabile, ma di fondo impone un adattamento e una standardizzazione della legislazione interna.

La scorsa settimana la Commissione degli affari esteri del Consiglio nazionale ha approvato con 17 voti contro 6 e 1 astenuto una mia iniziativa parlamentare intitolata “Salvaguardare le competenze del Parlamento in materia di politica estera e legislazione interna”. Con notevole soddisfazione prendo atto che il Parlamento vuole mettere un freno perentorio alle riforme legislative nazionali imposte e forzate esclusivamente da direttive e regolamentazioni internazionali. Una tendenza, acceleratasi negli ultimi anni, che vede il Consiglio federale proporre in continuazione modifiche di legge condizionate da pressioni internazionali dovute al fatto che la Svizzera si è impegnata negli ambiti in questione ancor prima di attivare i meccanismi democratici interni. Siamo politicamente forzati a recepire quest’evoluzione non per volontà del Parlamento e nemmeno del Popolo, ma per iperattivismo – spesso privo della necessaria sensibilità politica – della diplomazia e dei funzionari che in gremi, quali ad esempio l’OCSE o il GAFI, prendono impegni vincolanti a livello internazionale. A seguito di ciò sono poi necessarie significative e politicamente sensibili riforme legislative interne forzate dallo spettro di possibili sanzioni. Una distorsione del sistema. Ciò è successo ad esempio con l’approvazione all’OCSE del nuovo commentario dell’articolo 26 del modello di Convenzione fiscale dell’OCSE sulla doppia imposizione che ha introdotto la facoltà delle “domande di gruppo” o con l’approvazione delle rivedute raccomandazioni GAFI 2012 che impongono di inserire anche dei reati fiscali quali reati preliminari al riciclaggio. E’ interessante segnalare che queste decisioni vengono prese “per consenso”, vale a dire in assenza di una formale opposizione. Ai rappresentanti svizzeri è quindi sempre concesso un diritto di veto.

La mia iniziativa ha trovato un sostegno trasversale insperato che evidenzia l’attualità della problematica. Chiedo che sia modificata la Legge sul Parlamento inserendo un nuovo capoverso che chiarisca esplicitamente che il Consiglio federale deve, prima che i suoi rappresentanti nei consessi internazionali si esprimano, coinvolgere il Parlamento nel processo decisionale e di approvazione di “soft law” o raccomandazioni internazionali, se l’attuazione delle stesse può comportare modifiche alla legislazione interna. Sarà così rispettata la competenza del Parlamento, data dalla Costituzione, di partecipare attivamente alla politica estera del Paese. Anche se si tratta di “soft law” internazionale, il Consiglio federale deve a priori consultare il Parlamento in caso di progetti essenziali. Occorre assolutamente evitare di trovarsi innanzi al fatto compiuto, limitandoci la libertà sulle scelte legislative interne. Non è istituzionalmente accettabile legiferare sotto la pressione del probabile inserimento in liste nere o di altre ritorsioni internazionali.

Marco Romano, consigliere nazionale PPD