la-colere-des-habitants-de-saint-denis-la-rue-corbillon-etait-11489461ymrtqIn gioventù non avevo fama di persona paziente. Poi, con gli anni, mi sono ingentilito, ed è stato un bene. Ma lo tsunami di buonismo delirante che puntualmente fa seguito ad ogni efferata strage mi fa ribollire il sangue. Mi vien da dire: pensate se con la stessa beata dabbenaggine il mondo libero avesse affrontato Adolf Hitler. Sarebbe stato annientato o ridotto in schiavitù. (Neville Chamberlain in verità ci provò, e il suo nome è ancor oggi sinonimo di inettitudine codarda).

E non la smettono mai, oscillando ogni volta tra il masochismo della vittima sacrificale e il tentativo frenetico di trovare delle “ragioni” per gli assassini. Ma credete che non si possa, sempre, trovare una ragione, per qualsiasi cosa? Dalle cattedre statali più alte si sentenzia: “La Svizzera non è minacciata. Non ha senso chiudersi [non ha senso proteggersi?] Bisogna aprirsi.”

“Quos Deus vult perdere dementat prius” è una delle mie frasi predilette. Non la traduco, così nessuno può offendersi. Il latino non lo sanno più nemmeno i preti, io però sì.

Saint-DenisL’ondata di esecrazione suscitata dal demenziale attacco di Parigi del 13 novembre si sta lentamente esaurendo e le televisioni ci propinano centinaia di immagini e interviste di gente che vuole tornare a vivere “normalmente” per dimostrare che gli assassini dell’Islam criminale non riusciranno mai ad incuterci paura. I buonisti, sgomenti, affranti e per una volta silenti e annichiliti subito dopo l’orribile e atroce misfatto (azione scellerata e nefanda), già ritrovano il coraggio di pubblicamente ammannirci le loro ricette per la catarsi della sanguinaria follia mussulmana.

soldati“Non ci siano vendette ma risposte di civiltà” è il titolo su tre colonne di un lungo articolo (CdT, 17 novembre) di Giuseppe La Torre, pastore e presidente dell’Associazione svizzera per il dialogo interreligioso e interculturale (già, anche il dialogo tra la cultura occidentale e quella dei confratelli di Raqqa va pur fomentato ad ogni costo, anche con il rischio che a dar le risposte di civiltà si ritrovino persone barbaramente decapitate, inabili al dialogo per provvisoria mancanza della lingua). “Non basta condannare, disprezzare o maledire. Bisogna avere il coraggio di dire che uccidere nel nome di Dio è una bestemmia, sia per l’Islam che per tutti gli altri, ovunqque e sempre”. Continua, franco come una torre il Pastore La Torre: una bestemmia che “offende e distrugge il messaggio di pace dell’Islam e di qualsiasi altra religione”, da predicare in tutte le chiese, le sinagoghe e le moschee. E se i luoghi di culto dovessero tacere, allora siano le piazze a protestare e gridare. “In un giorno di lutto e di cordoglio sarebbe un incoraggiante messaggio di speranza”.

Programmata era una pacifica fiaccolata (non so se abbia avuto luogo) con partenza dalla Stazione FFS di Lugano, con l’adesione del nostro vescovo, del pastore Tobias Ulrich (Chiesa riformata del Ticino), del padre Abramo Unal (chiesa siro-ortodossa del Ticino) e di altri responsabili delle comunità religiose. Tra di loro l’imam Samir Jelassi, già a capo della comunità islamica in Ticino in qualità di Fratello mussulmano, poi dissociatosi per creare una sua comunità che, piaccia o non piaccia al Presidente dell’Associazione svizzera per il dialogo, resta in fortissimo odore di mascherata Fratellanza mussulmana.  [NOTA. Debbo dire, per giustizia, di essere stato cortesemente ricevuto dall’imam Jelassi nel settembre 2012. Mi concesse un’intervista e mi regalò una copia del Corano, con dedica. Espresse propositi moderati e descrisse l’Islam come una religione di pace. Al di là di ciò, tutte le opinioni restano possibili; francesco de maria]

Chi non mi credesse si legga, su “www.ilguastafeste.ch” il lungo saggio di Giorgio Ghiringhelli, sicuramente uno dei massimi esperti di Islamismo, con particolare riferimento alla sua componente criminale, presenti in Ticino.

Di questi problemi si è occupato anche Claudio Mésoniat, con un suo editoriale sul GdP del 19 novembre, sulla stessa falsariga dell’articolo del La Torre, ma ben più lucido e concreto. L’oramai ex-direttore del secondo quotidiano luganese si è meravigliato del silenzio con cui è stato accolto da tutti i media nostrani il ponderoso, anche se talora insufficientemente documentato saggio di Ghiringhelli. A difesa del quale va addotto il fatto che questi Imam sotto le vesti dell’agnello sono degli autentici professionisti dell’infiltrazione e dell’invasione pseudo-pacifica, con alle spalle un’esperienza quasi secolare (quella dei Fratelli mussulmani), al solo scopo di sottomissione del mondo intero alla loro legge (sharia). Malintenzionati di tal genere di documenti non ne lasciano in giro, il compito di smascherarli è quanto mai arduo.

Rimane, irrefutabile, una considerazione. Le parole, di approvazione, di critica o anche di esecrazione, sono e rimangono parole. I fatti invece sono fatti. Di fronte abbiamo un folto gruppo di credenti (parecchi milioni di persone di una ben determinata religione) che credono di essere vocati a massacrare con inaudita ferocia “gli altri”. Un gruppo di persone che istruisce e fanatizza, plagiandoli, propri giovani e proprie giovani, al punto di indurli al suicidio da kamikaze. Di imam kamikaze non ne ho visto neppure uno, e anche questo è un fatto.

Personalmente ho una voglia pazzesca di dialogo, e pure questo è un fatto. Allora, dialogando da quel modesto scribacchino che sono con il pastore La Torre, vorrei chiedere al Presidente dell’Asssociazione svizzera per il dialogo interreligioso e interculturale se, distinguendo tra parole (per esempio le “risposte di civiltà”) e fatti (i massacri degli “altri” e le migliaia di kamikaze trapassati, presenti e futuri) ho sì o no il diritto di affermare che quella religione che produce simili “fatti” è una religione intrinsecamente malvagia, anche se tenta di negarlo con le “parole”? E non sembrerebbe opportuno, a quel presidente, di andare, almeno per qualche anno, a dialogare in casa dei nostri non sempre graditi ospiti invece di farlo da casa nostra (dove il “nostra” sta per sua e mia)? I risultati di una simile esperienza potrebbero a tempo debito dar luogo ad un edificante dialogo.

Le domande che potrei porre sono molte, ma per il momento mi fermo qui, restando però in attesa di una cortese risposta.

Grande spazio sui media nostrani all’espulsione di un novello fulminato sulla via di Damasco. In eredità ci lascia una moglie, non so se a carico nostro, del vasto e distinto parentado o del proprio lavoro. Di lui si sono perse le tracce, facilissime da ritrovare, se si vuole farlo, anche per un dilettante. Ancora una volta, l’insopportabile buonismo, condito con una forte dose di stupidità, del “politicamente corretto”. Perché quell’”espulso” nella realtà vera sta per “rimesso in circolazione”, quando invece sarebbe necessario che significasse “ingabbiato”. So che non ci sono le basi legali per un simile provvedimento, come so che non c’è la volontà politica di crearle. Aspettiamo quindi tranquilli il ritorno dell’”espulso”, magari convenientemente munito di elementari nozioni di dissodamento dei terreni incolti a suon di cinture esplosive in quel di Raqqa.

Severino Boezio (475 – 525) è stato un filosofo e scrittore cattolico tardo-romano imprigionato e per finire messo a morte perché sospettato di un complotto contro Teodorico, re degli Ostrogoti. Durante la prigionìa scrisse un “De consolatione philosophiae” in cui constatava amaramente (insegnamento di Romano Amerio, il testo non l’ho mai letto) l’inarrestabile decadenza in atto dell’impero romano.

Non sono certo all’altezza di quel notevole filosofo, neppure in grado di leggere con profitto i suoi numerosi scritti, ma la sua amarezza la capisco benissimo. Perché è lo stesso sentimento che provo quando guardo a questa Europa acefala e rammollita, in piena e irreversibile decadenza, preda quasi inerte di una barbarie che, come ai tempi dei Romani, vien dall’Oriente. Caratteristica di tutte le decadenze è la loro evoluzione inarrestabile, in un contesto di pancia piena e cervello vuoto. Ma, diceva il poeta, “anche la speme, ultima dea …”. Purtroppo un “De consolatione spei” non sono in grado di scriverlo.

Gianfranco Soldati