Riprendiamo dal Corriere, con il consenso dell’Autore, questo bell’articolo dell’amico Tullio, che ha suscitato – noi stessi l’abbiamo potuto costatare – vasta approvazione. Formulo solo un pensiero, forse un po’ scontato ma comunque importante. Un sostegno dei partiti storici all’elezione di Gobbi NON poteva esserci, o poteva esserci solo per finta. Il leghista Gobbi consigliere federale! Un’autentica mazzata, anche facendo astrazione dalle ambizioni di Filippo Lombardi o di qualche PLR.

Tullio 3y migl 420Il risultato nudo e crudo, a mezzogiorno del 9 dicembre 2015, ha sancito che il Ticino non avrà ancora un suo rappresentante in seno all’Esecutivo federale. Questo dopo 16 anni di attesa e malgrado le premesse fossero buone e le possibilità concrete. Concrete perché il candidato era proposto, ancorchè all’interno di un triticket, dal maggior partito di Governo, buone perché Norman Gobbi poteva vantare un’esperienza politico-amministrativa di lungo corso e di spessore, non inferiore agli altri concorrenti. Inoltre come hanno ampiamente riportato i media, aveva saputo dimostrare il suo valore nelle audizioni con le altre forze politiche a Palazzo federale. Senza dimenticare che in questi anni la necessità di un ministro ticinese a Berna è stata sottolineata in più occasioni, complice la situazione che vede il Ticino penalizzato di fronte al resto della Svizzera, per i cambiamenti epocali, in parte avvenuti e in parte in atto, nei rapporti con l’Europa e con il mondo intero. Le analisi sul voto ci sono state servite in tutte le salse e come sempre in questi casi, sovente di parte. Una prima reazione alla candidatura Gobbi era stata positiva, soprattutto dal mondo politico cantonale. Forse, per meraviglia, non sufficientemente valutata nella sua dimensione, infatti con il passare dei giorni, i consensi sono venuti a mancare anche da parte di coloro che in prima battuta sembravano sostenere il presidente del Governo cantonale. Interessante il dibattito che si è aperto sulla collegialità, indicata dalla sinistra, ma non solo, come una specie di obbligo alla rinuncia delle proprie convinzioni politiche e partitiche. Come si trattasse di sudditanza a chi ti dà il voto. Una spiegazione distorta e irrealizzabile. Nessuno può essere obbligato a rinunciare alle proprie convinzioni. Semmai, dopo un sano confronto, deve sapersi adattare alla scelta della maggioranza. Ma c’è chi predica bene e razzola male. E, guarda caso, per i fautori di queste teorie, la maggioranza va rispettata a geometria variabile, in particolare giammai quella espressa dal popolo alle urne il famoso 9 febbraio 2014.

In sostanza si può affermare che l’UDC ha vinto perché ha ottenuto il secondo consigliere federale evitando quanto successo otto e poi quattro anni fa. Ha vinto presentando un triticket rappresentativo del paese e dando una lezione di democrazia agli altri partiti. Ha nel contempo evitato i giochetti del recente passato introducendo un criticato, quanto legittimo, articolo nei propri Statuti. Sì perché i socialisti hanno atteso fino a mezzanotte meno cinque e hanno rinunciato a una candidatura selvaggia solo perché rimasti soli. Questa volta i democristiani, consci degli insuccessi degli ultimi anni, non si sono sentiti di partecipare a una nuova congiura. Il PS si è poi sfogato con un attacco ben oltre la decenza al candidato ticinese, manifestando un malcelato livore e nel contempo palesando una evidente frustrazione, che è già un segnale di forte debolezza.

Norman Gobbi esce da questa esperienza a testa alta e certamente arricchito per il suo futuro politico. Il grande perdente, e lo dovrebbero ammettere tutti, senza se e senza ma, è una volta ancora il nostro caro, e amato, Canton Ticino.

Tullio Righinetti, già Presidente del Gran Consiglio