“La vita abbatte e schiaccia l’anima, e l’arte ti ricorda che ne hai una”. Lo pensava l’attrice statunitense Stella Adler, suggerendo una dicotomia tra vita e arte, tale per cui l’una può opprimere, l’altra elevare. Una opposizione che opera piuttosto sul piano della azione-reazione. Nella storia dell’uomo non c’è stato momento più schiacciante della Seconda guerra mondiale. Un momento di distruzione, abbattimento, annientamento, che non poteva non influenzare l’animo dell’uomo e gli artisti dell’epoca.

In opposizione alla rigidità delle dittature, si esprimevano con libertà, nel segno della provocazione o dell’irriverenza, della ridefinizione o della rinascita, o ancora della riappropriazione di un valore, un concetto. Sono tutte le forme dell’arte contemporanea, sviluppata dalla seconda metà del Novecento a oggi. Contemporaneo, ovvero ciò che è presente ma anche ciò che è passato e tuttora vive. Quel passato vedeva tutte le nazioni europee puntare alla rinascita, mentre solo la Germania occidentale, sostenuta dalla potenza degli Stati Uniti, era in grado di dominare la scena. La sua stabilità politica, la sua economia trascinante. La sua cultura, la sua arte.

Cultura MackHeinz Mack, 1961

Non a caso il Gruppo Zero nacque a Düsseldorf tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i decenni della più completa ridefinizione del termine arte. “Zero è il silenzio. Zero è il principio”, asseriva Otto Piene che insieme a Heinz Mack e poi Gunther Uecker fu tra i fondatori del movimento. Zero è tutto e zero è niente. Tout-rien, per citare un’opera di Markus Raetz, artista bernese che tanta cultura tedesca riflette nella sua produzione. Quando, per esempio, la sagoma in fil di ferro di una lepre si trasforma nel celebre profilo col cappello di Joseph Beuys, sembra che l’arte contemporanea tutta si guardi allo specchio per vederne riflessa la sua origine, la sua influenza, il suo significato più profondo. Hasenspiegel pare richiamare l’eco della performance di Beuys, artista tedesco e profeta dell’arte contemporanea, dal titolo Come spiegare i quadri a una lepre morta. Una provocazione, fortemente simbolica, che legava arte e natura, arte e vita, suggerendo che persino una lepre morta ha più intuito di un uomo, spesso ingabbiato nella sua razionalità.

Cultura PieneOtto Piene, 1958

Non si può comprendere l’arte di Beuys senza indagare la storia del suo tempo e quella della sua vita. Arruolato come aviatore nella Seconda guerra mondiale, subì l’abbattimento del suo aereo in Crimea, dove fu salvato da un gruppo di nomadi tartari, avvolto in strati di grasso e panni di feltro. Fu questa esperienza a farne lo “sciamano dell’arte”, con un forte sentimento ecologista e una spiccata rinascita spirituale. “Ogni uomo è un artista”, sosteneva spingendo ciascuno a partecipare a una rivoluzione culturale. L’arte come opera di coscienza, l’arte sociale: l’uomo, grazie all’arte, può cambiare la società.

La vita schiacciò l’anima ma l’arte elevò anche quella di Hans Erni, artista lucernese scomparso meno di un anno fa, che grazie all’arte ha trasformato l’esperienza delle due guerre in un impegno per la pace, guadagnando la Medaglia delle Nazioni Unite nel 1983 a New York.

Ogni uomo è artista e ogni oggetto può diventare opera d’arte, purché rappresenti un valore, un concetto, un’idea. Come questa venga poi espressa è secondario. Ecco che l’arte contemporanea può assumere le sembianze dell’Informale ma anche dell’Arte povera, dell’Espressionismo astratto e poi del Fluxus, del Neo-Dada e della Transavanguardia. Senza barriere, senza distinzioni di genere, di linguaggi. Nell’epoca in cui idee, risorse e informazioni si scambiano in quantità enormi e a una velocità indicibile, anche i linguaggi dell’arte si interscambiano. Fotografia, installazioni, video arte, scultura, pittura e performance. Crollato il Muro di Berlino, crollano anche le barriere dell’arte.

Tra gli artisti più quotati dell’arte contemporanea oggi c’è Jonathan Meese, l’enfant terrible dell’arte contemporanea che dà scandalo con svastiche e saluti nazisti travalicando così qualunque forma di confine. In nome della libertà dell’arte che – dice – “gioca con gli oggetti della storia senza seguire rituali” ma “mostra all’uomo il suo posto”.

– Alessandra Erriquez –