Commemoriamo la morte dell’illustre artista, avvenuta il 14 aprile 2020, riproponendo questo notevole articolo pubblicato il 1° febbraio 2016 (apertura della mostra al LAC) e firmato dalla Fondazione IAC, International Art & Culture (Nataliya Shtey Gilardoni).

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Può un fil di ferro diventare un’opera d’arte? Sì, se modellato dalle mani di Markus Raetz. Al protagonista dell’arte contemporanea svizzera è dedicata la prima monografica del Masi Lugano, inaugurata il 29 gennaio al Lac e organizzata in collaborazione con il Kunstmuseum di Berna e il Musée Jenisch di Vevey. “Lugano crocevia di culture diverse – ha detto con orgoglio il sindaco Marco Borradori, durante la conferenza di presentazione – Lugano che si lascia contaminare, che allaccia contatti, oggi ospita un artista così poliedrico e amante della ricerca. Merito del Lac, avventura che qualche mese fa facevamo partire con emozione e altrettanta apprensione, credendo fermamente nel suo valore e nelle sue potenzialità. Con la consapevolezza di fare qualcosa di nuovo, di diverso, un vero salto di qualità. Perché cultura è avvicinarci a qualcosa di bello, qualcosa che ci interroga. La strada è ancora lunga ma possiamo dire che è un successo, sono stati mesi fantastici”.

Nat 12 xMarkus Raetz con Nataliya Shtey Gilardoni

Dopo Orizzonte Nord Sud, arriva questa esposizione, affidata alla curatela di Francesca Bernasconi. La mostra ripercorre con oltre 150 opere la vasta e variegata produzione di Raetz dagli anni Settanta a oggi. Dai disegni su taccuini alle acqueforti, dalle installazioni alle sculture. Un unico fil rouge, come sottolinea la curatrice: “C’è sempre un altro modo di vedere le cose”.

Nulla di stabilito, nulla di prevedibile nelle opere di Markus Raetz. È tutto vero ed è vero il suo contrario, anzi è vero tutto e niente come suggerisce la sua opera Tout-Rien (1996) in fil di ferro galvanizzato. Le due parole opposte sono entrambi visibili a patto di spostare lo sguardo più in là. Parole, volti, vedute e paesaggi diventano un gioco nelle mani dell’artista. Un gioco stupefacente, sorprendente. Lo stesso viso, realizzato in acquatinta, subisce molteplici variazioni man mano che la morsura corrode più a fondo. Ora luminoso ora buio, il volto mostra tratti ed espressioni sempre nuove (Person D, 1985). I volti sono protagonisti di un’intera stanza, la Chambre de lecture (2013-2015), oltre 400 profili in fil di ferro che si muovono a ogni spostamento d’aria, ora in dialogo ora in opposizione.

Raetz x

Sempre in fil di ferro, una lepre può trasformarsi allo specchio nel profilo dell’artista Beuys (Hasenspiegel, 2000). Una fusione in ferro con la scritta Yes diventa No, pochi passi più in là (Crossing, 2002). Tutto è possibile con Raetz. Una scultura in ferro con il profilo di un volto può diventare una testa capovolta (Kopf I, 1992). Basta muoversi, cambiare prospettiva. Nasce come un gioco, si trasforma in una riflessione sul mondo che ci circonda. Nulla è come sembra, tutto è più complesso di quanto non possa apparire a un primo sguardo. Il mondo attorno è pieno di magia.

Per crederci basta visitare la personale di Markus Raetz al Lac fino al primo maggio 2016. Un’occasione per interrogarsi sì, ma anche lasciarsi stupire. Dal gioco, dalla riflessione, dalla creatività. In una parola, dalla sperimentazione. Assidua e incessante nell’attività di un artista nato a Berna e vissuto nel mondo, dalla Spagna all’Egitto, dal Marocco all’Italia. Un artista in costante ricerca, in perenne osservazione, un esploratore di tecniche e di realtà, uno studioso forsennato e curioso. Un artista mai fermo all’individualità, ma sempre proiettato dal Me al We come nella sua opera del 2007. Come nella xilografia e nella scultura in cavi di rame (Main-tenant, 1972-2013) scelta per il manifesto della mostra. Un intreccio di braccia in rosso, giallo e blu. I colori primari come primario è lo stringersi di mani, di visioni, di culture. Allora sì, un fil di ferro o un cavo di rame possono diventare un’opera d’arte ma non solo. Anche uno spunto di riflessione, una domanda, un suggerimento. Citando André Gide, premio Nobel per la letteratura: “Credete a chi cerca la verità, non credete a chi la trova”.

– Fondazione IAC –