Fontana2016

“Concetto spaziale. Attese”, 1964. “Domani vado a Lugano”. Dice proprio così, il quadro azzurro con quattro tagli di Lucio Fontana. Gli intenditori della sua opera sanno che la vera firma dell’artista sta nel retro, nelle sue frasi folli inserite a testimonianza della veridicità del quadro. Questa è firmata con un appuntamento a Lugano.

È la sua assicurazione contro i falsari, tanti all’epoca: un’opera così semplice poteva farla chiunque. Ma come diceva con disarmante semplicità Bruno Munari, “quando la gente dice quella frase intende dire che lo può Rifare, altrimenti lo avrebbe già fatto prima”. “Semplificare è difficile, per semplificare bisogna togliere e per togliere bisogna sapere cosa togliere. Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose”. Ecco, Fontana compie la difficile operazione di semplificare, di andare all’essenza.

Concetto spaziale è il titolo di molte opere dell’artista, figlio dell’Argentina e padre dello spazialismo. È lui ad affermare: “Io buco, passa l’infinito di lì, passa la luce” e su queste parole compiere il gesto rivoluzionario di tagliare la tela. Andare oltre la sua bidimensionalità.

Fontana questa rivoluzione la cerca da tempo. Nel 1946 a Buenos Aires scrive il Manifiesto Blanco, prima teorizzazione dello Spazialismo. Qui parla di “estetica vuota delle forme fisse”, di un uomo “esausto”, le cui “esperienze, le sue opprimenti ripetizioni attestano che queste arti permangono stagnanti in valori estranei alla nostra civiltà, senza possibilità di svilupparsi nel futuro”, egli cerca una possibile svolta. Non più rappresentato, fa appello al mondo scientifico, in pieno fermento nel dopoguerra. La scoperta degli elettroni, i raggi, un’esplosione di nuove energie. Lo studio della psiche, Einstein, Freud. Nuove frontiere per la tecnologia come per le relazioni e le attività umane. L’arte non può restare ferma su una tela, immobile, imprigionata. E allora Fontana la taglia.

Nel 1949 allestisce “Ambiente nero” nella galleria Il Naviglio: “l’ambiente era completamente nero, con luce nera di Wood – racconta l’artista – entravi trovandoti completamente isolato con te stesso, ogni spettatore reagiva con il suo stato d’animo del momento, precisamente, non influenzavi l’uomo con oggetti, o forme impostegli come merce in vendita, l’uomo era con se stesso, colla sua coscienza, colla sua ignoranza, colla sua materia”. Ecco cosa c’è oltre quel taglio. C’è l’arte, con una nuova dimensione sociale. Dietro quel gesto nato d’istinto e fatto di precisione, c’è il proprio universo. Un varco di luce oltre un muro di buio. Un buco oltre il quale guardare, e guardare se stessi, la parte più misteriosa, più segreta, quella da scrutare, da indagare. Perché il mondo interiore è appunto, un mondo, un universo da scoprire, da portare alla luce.

Potremmo solo ri-farlo, quel gesto. E andare oltre anche noi. Come fece Fontana che trasformò l’arte dell’estetica vuota delle forme fisse all’arte della “luce, del suono e del vuoto spaziale”. Un vuoto che non è assenza. È essenza.

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