Brexit yL‘idea che il Referendum del 23 giugno non potrà influenzare i rapporti della Svizzera con l’UE è davvero peregrina, proprio per non dire assurda, e su questo punto concordiamo totalmente con l’Avv. Tettamanti. Il solo fatto che uno Stato, fondamentale per il passato e il presente dell’Europa, metta in questione la sua appartenenza all’UE è politicamente e psicologicamente sconvolgente.

Jack 9Com’è ovvio ed evidente, la Destra attende il 23 giugno con il fiato sospeso e tifa BREXIT con aperto e scandaloso entusiasmo.

PS. Un’efficace immagine della sopravvenuta follia dell’Unione la evoca abilmente l’Autore, gelandoci il sangue nelle vene. La Merkel che sostituisce la Gran Bretagna con la Turchia. Puro cinema horror!

* * * * *

In Svizzera sembra predominare anche su fronti diversi l’opinione che la modifica dell’accordo tra la Gran Bretagna e l’UE, o peggio ancora la possibile uscita della stessa dall’Unione europea, non potranno avere alcuna conseguenza o influsso sui rapporti nostri con Bruxelles. Tale giudizio, condiviso da un recente fondo sul CdT, mi pare frettoloso e superficiale. Il mio pensiero – che concorda con la tesi dell’autorevole commentatore dei fatti dell’UE per il «Financial Times» Wolfgang Munchau – è ben diverso. Avremo a che fare con una diversa UE sia nel caso di vittoria dei referendisti (uscita della Gran Bretagna dall’UE) sia nel caso di successo di Cameron: si resta grazie alle concessioni ottenute da Bruxelles.

Tettamanti (2)Superficialmente l’attenzione generale si è concentrata sulla clausola che permette al Governo inglese per quattro anni di non riconoscere prestazioni sociali a immigranti della zona Schengen. Quattro anni passano svelto ed è forse la meno importante delle concessioni. Lo stesso Cameron al Parlamento inglese ha detto che il più importante successo dei negoziati consiste nell’aver ottenuto di essere esentati dal partecipare ad un’Unione sempre più stretta e coesa. Vale a dire l’UE viene divisa in due (non si tratta di un semplice opt-out temporaneo) e la sua ragione d’essere non è più come sancito nelle varie carte (ad esempio nel preambolo del Trattato di Roma del 1957) una sempre più stretta unione tra le nazioni partecipanti o al massimo lo è solo per alcuni Stati. Un’UE zoppa con nazioni possibilmente già pronte a chiedere lo stesso trattamento, con molto piombo nelle ali che compromette i fini indicati da Monnet e dai padri costituenti.

Poi Cameron ha elencato gli altri obiettivi raggiunti. Essere fuori dall’euro per sempre, fuori dalle conseguenze finanziarie legate alla ristrutturazione dell’indebitata Eurozona, fuori da Schengen. Sostanzialmente aderire ad un’altra UE.

D’altro canto da tempo si è notata una perdita di potere da parte di organi comunitari nei confronti del Consiglio europeo, vale a dire della riunione dei capi di Stato. Le numerose negoziazioni al summit per la Grecia, per l’euro, per l’immigrazione, per i rapporti con l’Inghilterra dimostrano che gli attori sono oggi i governi e politici nazionali. Comprensibile pensando ai disastri creati con euro, Schengen, Dublino, sempre illudendosi che si possa creare surrettiziamente un’Europa che non c’è e che bastino i piani dei tecnocrati e burocrati per poter realizzare le proprie idee e ottenere un’Europa politica.

Conosceremo il 23 giugno la decisione del popolo inglese: rimanere nell’UE con i cambiamenti e le concessioni ottenute o uscirne, ma avremo in ogni caso a che fare con un’UE diversa. O azzoppata, priva di una nazione che per merito del suo popolo ha contribuito a fare la storia dell’Europa, una nazione che è la seconda potenza economica europea e che non potrebbe certo bizzarramente (vedi contatti Merkel) venir sostituita dalla Turchia, o per contro con una UE condizionata che rinuncia sostanzialmente alla sua ragione d’essere e che avrà viaggiatori in scompartimenti e con mete di viaggio diverse.

Turchia UEIn entrambi i casi sostenere che nuove dinamiche non si potranno sviluppare mi sembra una forma di pericolosa autoimposta cecità. Non solo, ma in caso di Brexit il Regno Unito si troverebbe in situazione analoga alla Svizzera e un lungo lavoro di trattati ed accordi bilaterali avrebbe inizio. Perché dobbiamo escludere a priori che in questa nuova realtà non vi possano essere spiragli per noi?

Auguriamoci che i nostri governanti e diplomatici, magari con un ricambio delle persone incaricate troppo coinvolte con gli atteggiamenti del passato e in virtù di mutate attitudini, cerchino di simulare sin d’ora le diverse situazioni che il futuro ci può riservare. Cercando anche di inventarlo questo futuro; non basta certo, ma può essere di maggiore aiuto che non la pigra speranza che nulla cambi.

Tito Tettamanti

(articolo pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore)