Pezzoli xUna mattina, come molte altre mattine prima di martedì. Ma l’odio verso la nostra società da parte di una frangia di terrorismo di matrice islamica ha fatto sì che la giornata di martedì ci colpisse gravemente.

Il primo sentimento è di rabbia, di impotenza. È l’immedesimarsi in ognuno di loro, in ciò che significherebbe se quanto successo a Bruxelles dovesse capitare a noi e alle nostre famiglie. È lo stringersi attorno a loro per la vigliaccheria di questi attacchi e per il naturale senso di compassione umana. Almeno in momenti come questi, non esistono più i confini politici ma unicamente le persone.

La seconda reazione, collegata alla prima, è la necessità di trovare delle soluzioni per contrastare efficacemente il terrorismo, quando il rischio di sconfinamento nel populismo è tutt’altro che facilmente scongiurabile. Facciamo già molto in questo senso. La polizia e i nostri servizi informativi sono in costante allerta e con la famigerata discrezione svizzera voglio pensare che lo siano molto più di quanto diffuso dai media. Basti pensare alla sorveglianza sulle persone in partenza per determinate destinazioni giudicate “off limits” in relazione al terrorismo, ai provvedimenti presi in dicembre dall’aeroporto ginevrino e alla crescente collaborazione tra i paesi europei.

L’impressione, in ogni caso, è che nella nostra vita quotidiana non sia cambiato niente. Poco dopo gli attentati di Parigi mi sono ritrovato a una cinquantina di chilometri a sud del confine ticinese per partecipare a un evento teatrale. Dopo le perquisizioni all’entrata, poco dopo l’inizio dello spettacolo, il teatro è stato chiuso, sorvegliato da quattro poliziotti con mitra e giubbotto antiproiettile. Nello stesso periodo, l’organizzazione della sicurezza nel quadro degli eventi ticinesi, non è considerabilmente mutata. Diverse domande mi sono sorte spontanee. Stanno esagerando loro? Siamo veramente preparati, noi, a fronteggiare questa nuova minaccia? Possiamo veramente considerarci un’isola felice credendo che la nostra neutralità faccia dimenticare allo Stato islamico che anche noi siamo occidentali?

In questi giorni il Consigliere federale Ueli Maurer ha confermato quanto già detto dalla collega Simonetta Sommaruga dopo gli attentati di Parigi: in Svizzera la situazione è monitorata attentamente e costantemente, ma non è previsto che vengano ripristinati i controlli sistematici alle frontiere e ha aggiunto che “in una società aperta non è possibile avere una sicurezza al 100%”.

Forse dovremmo fermarci un attimo a riflettere sul significato di società aperta. Ripristinare i controlli alle frontiere significa veramente cambiare le regole o chiudere la nostra società? Non rappresenta forse al contrario una delle possibilità più concrete ed efficaci di controllare se le regole in questa società aperta vengono rispettate? Perché se anche Maurer ha ragione nel dire che la sicurezza al 100% è una chimera, lo sforzo per raggiungerla, quello sì, deve essere del 100%.

Per evidenziare il fatto che un controllo campionario sia insoddisfacente nel quadro della sicurezza nazionale, farò un esempio sotto gli occhi di tutti. Un noto commerciante alimentare sta sostituendo le tradizionali casse con delle casse automatiche, grazie alle quali il cliente può registrare da solo i prodotti acquistati. Lo scopo è la velocizzazione del servizio e il risparmio in termini di risorse umane. Ciò che la responsabilità e l’onesta individuale non riesce a garantire, è assunto dai controlli a campione che avvengono a fattura pagata, scoprendo talvolta un pacchetto di fragole mal obliterato.

Il parallelismo con l’adeguamento a Schengen, la conseguente apertura delle frontiere, la responsabilizzazione individuale e i controlli a campione all’interno del nostro territorio appare evidente. Ma se questo approccio può andare bene in ottica commerciale, quando un pacchetto di fragole rubato non fa fallire un centro commerciale, non vuol ancora dire che debba essere adottato anche nell’ambito della sicurezza nazionale. A mio modo di vedere anche se questo dovesse significare un lieve incremento della spesa pubblica e la scomoda situazione di doverlo spiegare e motivare ai nostri vicini.

Certo, non si gioca tutto alle frontiere perché vive nel mondo delle fate colui che crede che sul nostro territorio non siano già e da tempo presenti estremisti islamici (se non vogliamo credere al “saggio” sulle frange estremiste ampiamente presenti sul territorio ticinese e non di Ghiringelli, dobbiamo almeno credere alla Confederazione quando riporta il numero dei giovani, perlopiù cresciuti sul territorio nazionale, partiti per combattere la guerra a favore dello Stato islamico). Dunque, senza dubbio, bisogna potenziare il livello di controllo e di intelligence all’interno della Svizzera, cercando di individuare e bloccare le minacce interne prima che si avverino.

Non bisogna però dimenticare che a una buona politica di sicurezza si accompagna però sempre e necessariamente una buona politica di integrazione che riduca l’influenza culturale e politica di chi vuole fomentare il settarismo fanatico e dogmatico che culmina nella ghettizzazione, impedendo la differenziazione e l’incontro.

Roberto Pezzoli, candidato al consiglio comunale di Minusio