L’Italiia di fronte al referendum istituzionale. Si voterà in ottobre

Vivaldi-Forti 1x2 aNon calcolando l’estate, mancano poche settimane a quello che si annuncia l’appuntamento elettorale più significativo nella storia della Repubblica dopo il 2 giugno 1946. Circa l’importanza del voto mi sono già espresso in altre occasioni e non intendo ripetermi. Reputo invece  opportuno  avviare una riflessione  storica e culturale  sull’evento, nel tentativo di rafforzare le ragioni del NO, che non deve limitarsi al rifiuto di una riforma costituzionale sbagliata e neppure  di un regime  liberticida  ed iniquo, ma abbracciare un orizzonte più vasto, nel quale la bocciatura della proposta  specifica si accompagni a progettualità alternative meritevoli di fiducia.

A tal proposito può essere utile condurre una comparazione fra la nostra storia recente e quella della nazione europea più simile a noi: la Francia. Se è vero, infatti, che le vicende post-belliche di paesi quali Germania o Gran Bretagna si sono svolte seguendo percorsi assai diversi  da quelli italiani, i cugini d’Oltralpe hanno iniziato il secondo dopoguerra con avvenimenti del tutto speculari ai nostri. Se sovrapponiamo De Gasperi  a de Gaulle , tutto sembra coincidere: la minaccia  di guerra civile; lo spettro di un comunismo duro e puro guidato dai rispettivi leader Palmiro Togliatti e Maurice Thorez ; l’offensiva sindacale  e lo sciopero generale usati come armi politiche; i disordini  nelle città e nelle campagne; la breve, tormentata stagione dei governi provvisori  d’unità nazionale ; la strenua resistenza della borghesia alle minacce d’esproprio ; la nascita di partiti che guardano più al passato che al futuro; l’enorme miseria  da sanare in tempi brevi, pena una catastrofica rottura  dell’ordine costituito. Questo  sul piano politico e sociale.

Su quello istituzionale le analogie appaiono ancor più marcate. Se l’Italia  avverte la necessità di una nuova Costituzione, dopo il fallimento dello Statuto Albertino, anche la Francia  è costretta a prendere atto del disastro causato dalle inadeguatezze della Terza Repubblica, culminate  nella disfatta del 1940. Sia nell’uno che nell’altro paese vengono elette , lo stesso 2 giugno 1946, le rispettive Assemblee Costituenti. Se la consultazione francese gode di minor fama della nostra, ciò è dovuto al fatto che Oltralpe non esiste una dinastia reale da spedire in esilio.  Le Carte Fondamentali varate dai padri costituenti si somigliano però come gocce d’acqua. Entrambe  hanno di mira , come scopo principale, la creazione d’ istituzioni  capaci d’esorcizzare il ritorno al passato. Anche i fantasmi appaiono simili: il Duce  Benito Mussolini,  l’uomo del Ventennio  e di Salò, e il Maresciallo Philippe Pètain, l’uomo  di Vichy  collaboratore dei tedeschi. Più che preoccuparsi della futura governabilità, si cerca d’impedire l’emergere di un esecutivo autorevole, di cui si potrebbe  impadronire il leader forte di turno.

Più tardi, tuttavia, le storie di Francia e d’Italia  divergeranno, conducendo a esiti molto diversi. A Roma la risoluta guida di Alcide De Gasperi  e la formula politica centrista permettono di superare in modo sostanzialmente  positivo, anche se non così brillante come taluni pretenderebbero,  la prima legislatura, tanto che la stessa fine del centrismo, nel 1953,  non condurrà a disastri  immediati, sostituito da maggioranze variabili  di centro-destra (democristiani, liberali, monarchici, missini) le quali  tengono fuori dalla stanza dei bottoni le sinistre, con i loro programmi demagogici e punitivi  della libera impresa, consentendo  di ultimare la ricostruzione e di dar vita al miracolo economico. Gran parte del merito di questa lunga fase  di stabilità è da attribuire alla presenza di un Pontefice come Pio XII, intransigente  antibolscevico , come talune vicende, quali l’operazione Sturzo  del 1952, ampiamente dimostrano. I guai  inizieranno invece dai primi anni Sessanta quando, per un concorso di circostanze negative interne  e internazionali, la Democrazia Cristiana , tradendo il mandato  dei suoi elettori, spalancherà le porte dell’esecutivo ai socialcomunisti, ciò che porrà le basi della crisi economica, sociale , morale e istituzionale che ancora ci affligge.

In Francia gli eventi  precipitano molto più rapidamente. La guerra d’Algeria, condotta in modo catastrofico dagli inetti governi di centro-sinistra  negli anni Cinquanta, conduce il paese sull’orlo di un gravissimo scontro civile. Per gl’immemori ricordiamo che i paracadutisti  di stanza a Orano occupano manu militari la Corsica, ove impongono  la legge marziale , nella primavera del 1958, prima tappa di un imminente assalto a Parigi. E’ in queste drammatiche circostanze che il Presidente della Repubblica René  Coty chiama dal suo buen retiro  di Colombey -les-deux-Eglises , ove si era rifugiato undici anni prima, il più illustre dei francesi , quello stesso Charles de Gaulle, eroe della Resistenza  nel 1940  che tuttavia, per il suo stile  carismatico di governo  e per la sua riforma della Costituzione  in senso presidenziale, si guadagnerà ben presto lo scontato  ed abusato epiteto di fascista.

Da questo momento le vicende  italiane e francesi procederanno su diversi binari. Nel nostro paese, l’ingovernabilità seguita ai moti di piazza del 1960, anche per lo specifico e consapevole contributo delle forze marxiste entrate nell’esecutivo al solo scopo di destabilizzare (si rileggano in proposito le esplicite dichiarazioni del leader massimalista Riccardo Lombardi  al congresso nazionale  del PSI dell’ottobre 1963) , condurrà a una recessione endemica, all’esplodere della spesa pubblica, di una pressione fiscale assolutamente incompatibile con lo sviluppo, di un assistenzialismo soffocante, origine di una corruzione generalizzata mai conosciuta prima. L’inconcludente e micidiale ventennio del centro-sinistra, in cui nessuna delle riforme indispensabili alla crescita viene realizzata, terminerà  nel 1981, lasciando in eredità al pentapartito  di Spadolini e di Craxi  difficoltà quasi insormontabili, contro cui s’infrangeranno i buoni propositi  sia degli ultimi due leader della Prima Repubblica, che di tutti quelli della Seconda, nata sulle macerie di Tangentopoli. Il resto è cronaca.

In Francia, al contrario, grazie alla forte guida e al carisma del Generale de Gaulle, vede la luce un radicale mutamento della Costituzione, i cui capisaldi sono i seguenti: elezione diretta del Capo dello Stato, con notevole  allargamento delle sue prerogative; articolo 16, che prevede l’assunzione dei pieni poteri da parte di quest’ultimo in caso di grave minaccia al paese e alle istituzioni; elezione a doppio turno con liste capeggiate dal leader che, qualora vincitore, diverrà automaticamente Presidente della Repubblica; ampio ricorso al referendum popolare, quale strumento di democrazia diretta, non solamente abrogativo, ma anche confermativo e propositivo; controllo sull’esecutivo da parte del Capo dello Stato, il quale  non si limita a nominare il Premier, ma presiede lo stesso Consiglio dei Ministri; scioglimento dell’Assemblea Nazionale; progressiva estensione dei medesimi criteri di governo agli enti locali.

Il nuovo assetto istituzionale garantirà non soltanto una notevole stabilità politica, ma permetterà anche di superare gravissime crisi, come quella del maggio 1968 , quando de Gaulle ottenne in dodici ore  lo sgombero delle barricate che paralizzavano l’intera Parigi, grazie alla mobilitazione dell’esercito. Bastò che quattro carri armati s’affacciassero sui ponti periferici della Senna, perché l’ordine venisse immediatamente ristabilito.

Restava però, in Francia come in Italia, il problema del bicameralismo. L’istituto della rappresentanza, secondo le convinzioni del Generale, non sarebbe mai diventato perfetto, e quindi la riforma della Costituzione sarebbe rimasta incompiuta,  finché l’intera società civile, nella totalità delle sue organizzazioni economiche, sociali e culturali, non avesse trovato diretta espressione nella Camera Alta, di cui alla fine del suo mandato propose la trasformazione in organo  economico-sociale, sulla base di una visione  molto simile a quella di Franco Tamassia, presidente del CESI,  che ha sempre sostenuto la necessità di superare il dualismo fra società civile, o Stato -società com’egli la chiama, e società politica, o Stato – struttura. Tale identificazione, una volta compiuta, condurrebbe al progressivo annullamento  della stessa differenza fra settore pubblico e privato.

Questo, naturalmente , resta un punto d’arrivo, un ideale a cui tendere, la realizzazione del quale necessiterebbe  comunque di tempi  adeguati. La riforma organica del Senato, insieme a quella analoga di tutte le istituzioni rappresentative locali, avrebbe tuttavia costituito un ottimo trampolino di lancio in questa direzione. De Gaulle, dopo aver fatto esaminare il problema da una  qualificata  équipe di esperti, decide di sottoporre la proposta al popolo: qualora egli uscisse vincitore da quest’ultima sfida, la Francia, e probabilmente l’Europa, non sarebbero più le stesse. La conflittualità sociale , con tutte le  sue lotte e ricadute negative, verrebbe finalmente superata. I poteri forti, di destra e di sinistra, si schierano  però all’unisono contro tale progetto  e , sia pure  di stretta misura , riescono  a impedirne l’approvazione. I tempi non sono forse ancora maturi.

In Italia è purtroppo mancato un omologo di de Gaulle, mentre la sua presenza si sarebbe rivelata preziosa per arrestare  il declino del Paese. Coloro che a suo tempo tentarono la strada di una  indispensabile riforma della Legge Fondamentale, fecero tutti una brutta fine. Pensiamo a Edgardo Sogno, celebre comandante partigiano arrestato con l’accusa di sovversione fascista, ma anche  ad Amintore Fanfani, che nel 1964 si vide escluso dalla corsa al Quirinale  per simili motivi, oppure ad Antonio Segni, colpito da ictus subito dopo aver litigato con Moro e Saragat che lo  accusavano di golpismo, colpevole di essersi lucidamente reso conto in quale abisso la sinistra stava precipitando l’Italia. Coloro che voteranno NO  al  referendum d’ottobre, lo faranno anche in memoria e in onore  di questi galantuomini, che hanno pagato duramente il loro attaccamento alla libertà e alla Patria. Chissà mai, che da una sperabilmente  dura sconfitta del regime  capitalcomunista, non possa manifestarsi anche da noi un de Gaulle, personaggio  magari fino ad oggi  del tutto  sconosciuto ma non per questo  meno provvidenziale  per il nostro avvenire.

Carlo Vivaldi-Forti