NixonUn grande classico: “Comprereste un’auto usata da quest’uomo?”

Lo dice Gallup… 2016

Negli anni ’60 del secolo scorso l’80% dei cittadini statunitensi aveva piena fiducia nel proprio governo. Sono progressivamente calati al 30%. Un recentissimo sondaggio Gallup ha dato un risultato allarmante: a credere all’onestà e alla moralità dei membri del Congresso è rimasto un misero 10% degli interpellati. Solo i venditori di auto usate fanno peggio: 8%. Sono convinto che la Clinton, espressione e candidata della peggior plutocrazia made in USA, sia la presidente ideale per il 10% di creduloni di cui sopra. Ma sono ancora più persuaso che il candidato che più di lei sa parlare al 90% di diffidenti messi in evidenza dal sondaggio Gallup è Donald Trump. Al quale va quindi il mio pronostico con tutti gli auguri del caso.

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soldatiL’arte della calunnia, o diffamazione, o denigrazione che dir si voglia. Ad esserne vittime e a farne l’esperienza, stando ad un articolo di Rico Bandle sulla “Weltwoche” del 15 agosto 2015, sono anche, dopo le banche, le aziende che commerciano materie prime, le organizzazioni sportive (Fifa) e perfino il mercato dell’arte, con accuse che mettono in dubbio l’onestà del Kunsthaus di Zurigo e quella della fondazione-collezione Bührle. La Svizzera è diventata sin dalla seconda guerra mondiale terra di rifugio per le opere d’arte, opere i cui prezzi sono aumentati in modo tanto assurdo quanto lo sono gli emolumenti dei banchieri di alto rango. Nel mettere in dubbio l’onestà del mercato e dei collezionisti di opere d’arte si sono particolarmente messi in vista due personaggi, Monika Roth, professoressa di diritto alla Luzernerhochschule, e Thomas Buomberger, storico insegnante a ….. non sono riuscito a trovare dove. Lo storico aveva già pubblicato nel 1998, su incarico del governo svizzero, un libro per denunciare le malefatte del commercio d’arte svizzero durante la seconda guerra mondiale, libro criticato da Matthias Frehner, adesso direttore del Museo dell’Arte di Berna, con queste parole sulla NZZ: “Il libro è una storia di accuse senza fine, che in nessun caso è riuscito a portar prove che avrebbero obbligato alla restituzione dell’opera di cui veniva messa in dubbio l’onestà dell’acquisizione”. La stessa cosa si può dire del libro nero “Bührle” pubblicato dalla casa editrice di (accesa) sinistra “Rotpunktverlag”, con lauti sussidi della Città e del Cantone Zurigo e sovvenzioni altrettanto generose della nostra (di noi contribuenti svizzeri) istituzione culturale nazionale a nome “Pro Helvetia”. In quel libro un certo signor Guido Magnaguagno (un cognome che è tutto un programma, nomen est omen), già vice-direttore del Kunsthaus di Zurigo, contesta a torto opere della fondazione Bührle, colpevole più che altro di non averlo nominato suo direttore. Gli interessi in giuoco attorno ai musei ed al mercato dell’arte sono incredibilmente alti, per gli onorari di direttori e consulenti girano cifre da capogiro ed è quindi comprensibile e forse anche naturale che i leoni (o devo dire i caimani?) presenti nell’arena non vadano troppo per il sottile nella vicendevole azzannatura. Ma che vengano “rifocillati” con soldi del contribuente di Città e Cantoni come Zurigo o dalla maggior istituzione culturale nazionale a nome Pro Helvetia è semplicemente inquietante. Emil Georg Bührle (1890-1956), donatore della sua collezione di quadri, sia detto en passant, è stato una specie di von Krupp o von Thyssen svizzero. Da ultraottantenne penso che tutti i suoi milioni non gli hanno impedito di morir giovane.

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Un discorso anfibologico è un dire che può essere correttamente interpretato in un modo, oppure nel suo esatto contrario. Amerio (Zibaldone 371) ne dà un esempio in latino, lingua che per la determinatezza dei termini teme pochi rivali negli idiomi occidentali (per gli altri non so) moderni. “Quae vita est ei qui minuitur vino?”. Che può essere correttamente tradotta così: “Che vita è mai quella dell’uomo cui viene diminuito il vino?”, oppure: “Che vita è mai quella dell’uomo che viene diminuito dal vino?”. Ho tradotto parola per parola, incorrendo così nell’ira postuma del mio Maestro, che voleva che ogni termine fosse collocato nel complesso del discorso, rispettandone lo spirito prima che la traduzione letterale. Amerio invece ha tradotto così , da “minuitur”, i miei due “diminuito”: “privato” nella prima frase, “vinto” nella seconda. La traduzione è un’arte tra le più difficili, sommamente quella delle poesie. Facile invece quella della battuta di un vallesano, che su un cartellone pubblicitario per una campagna contro l’alcolismo (“l’alcool tue lentement”, l’alcol uccide lentamente) aveva scritto: “Je m’en fout, je ne suis pas pressè”, me ne infischio, non ho fretta).

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Swisscom, azienda parastatale indipendente fino ad una certa misura), la Radiotelevisione di parastato (riccamente finanziata per legge anche da chi non ne fa uso) e la casa editrice Ringier (proprietari e dirigenti di estrema destra per quel che concerne il proprio portafoglio, ma di sinistra radicale per quel che concerne la linea editoriale) hanno stretto, con la benedizione della Leuthard, che dopo la prematura uscita dall’atomo sembra aver perso le staffe e una la fa e l’altra la inventa, un accordo per sfruttare assieme le tonnellate di dati di utenti e abbonati di cui dispongono. Un vero e proprio oligopolio che potrebbe essere in grado di mettere alle strette i concorrenti. Ha stupito l’incapacità delle possibili “vittime” di reagire adeguatamente, probabilmente (penso, e a pensar male si rischia di aver ragione) motivata dalla speranza di poter partecipare in una seconda fase alla spartizione della torta. O forse dal fatto che sembrava improbabile che il direttore della TV di parastato, Roger de Weck, osasse tentare di condurre in porto una simile operazione dopo la votazione del giugno 2015 che lo aveva visto vincitore di scarsissima misura solo grazie ai voti degli svizzeri residenti all’estero, ma moralmente sconfitto in modo inequivocabile. Sembra che il CEO della Ringier, Marc Walder, abbia fatto la sua parte per impedire la reazione dei concorrenti. Al mattino alla riunione dell’Associazione degli editori ha perorato l’opposizione ferma al progetto, poi al pomeriggio si è trovato con l’ineffabile Roger de Weck per elaborare in dettaglio la procedura da seguire per portare a buon termine l’operazione. Una linea di condotta che è paradigmatica della struttura etica della casa Ringier, sin dai tempi del mitico (per me in senso negativo, per altri positivo) Frank A. Meyer. A protestare aspramente è rimasto Hanspeter Lebrument, tycoon della stampa e delle TV della Svizzera sud-orientale, dove ha “fatto fuori” tutti i concorrenti già dalla fine del secolo scorso, con metodi che hanno anche dato luogo a qualche chiacchiera. Tra caimani sono cose che succedono, e quando si azzannano tra di loro, confessiamolo, non ne siamo scontenti.

Gianfranco Soldati