Intervista a Matteo Luigi Bianchi, sindaco di Morazzone (Varese) in carica dal 2009, nella fascia immediatamente al confine con il Canton Ticino. In un’Italia che è già Svizzera ma in cui l’opprimente fiscalità del centralismo romano chiede continuamente, senza restituire. Amministrazione di Morazzone (eccellente), Frontalieri, Lega, Politica.  

Matteo, oltre ad essere membro del Comitato delle Regioni a Bruxelles, tu sei in carica per il secondo mandato di sindaco. L’onore e l’onere del tuo incarico?
Sono in politica dal 1999, da quando sono stato eletto consigliere comunale a 19 anni. Poi a 24 anni sono divenuto Assessore alla Cultura e a 29 sono stato eletto sindaco. Nel 2014 sono stato rieletto. Quindi questo è il mio quarto mandato. Per me significa impegno e dedizione, poiché la politica deve, prima di tutto, cercare di darsi da fare per la comunità che amministra.
Nella tua precedente campagna elettorale si è parlato di tagli al sociale. È stato un punto rigonfiato dai tuoi detrattori?
No, noi abbiamo sempre sostenuto che l’assistenza sociale debba essere un aiuto temporaneo e non un assistenzialismo che gravi poi sull’amministrazione e sulla comunità. Bisogna tentare di dare una mano alle persone in difficoltà, presenti soprattutto adesso, a causa della crisi economica, per far sì che poi il bisognoso in questione cammini poi con le proprie gambe. È chiaro che se la questione perdura e diventa cronica non si parla di aiuto sociale ma di assistenzialismo. Le comunità non sono enti di beneficienza.
Avete avuto successi in questo campo, riscontrabili, anche nella ri -elezione?
Direi di sì, anche se qualche caso di difficile risoluzione ancora persiste. Direi di aver raggiunto gli obiettivi dell’aiuto sociale al 95%.

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Come vivi, da sindaco della tua comunità, il centralismo del Governo Renzi?
Nel 2011, dalla caduta del governo Berlusconi, con l’arrivo di Monti, è cambiato il mondo. Già alla fine del ’11 c’era qualche avvisaglia negativa. Con Monti poi è arrivata la devastazione dell’assetto del precedente decentramento delle comunità locali. Successivamente, con Letta e Renzi il progetto federale ha subito un’inversione di tendenza. Oggi, lo stato centrale prevarica gli enti locali. Abbiamo avuto un’esperienza negativa con lo stato centrale quando da Roma i quattrini stentavano ad arrivare. Stavamo andando in crisi con la liquidità di cassa. Era il classico problema che si riscontra quando la spesa è certa ma l’entrata è incerta: l’ente locale ha una serie di spese da coprire ma le entrare non arrivano. Allora abbiamo mandato una lettera di mora allo Stato Centrale, come se, di fatto, fossimo in mora, nella quale, esplicando le nostre ragioni, dichiaravamo che, qualora non fossero pervenute le entrate che ci spettavano, saremmo dovuti ricorrere per via legale.
Una sorta di ultimatum al Governo?
Si, esattamente. Abbiamo mandato un ultimatum; non è stato necessario ricorrere a vie legali, poiché alla fine ci hanno dato quel che ci spettava. Il problema della liquidità di cassa, quindi, è un problema costante causato dallo stato centralista.
Sei riuscito, quindi, a fare valere le ragioni della comunità da te amministrata. Sei orgoglioso di ciò, o dai prescontato questo tuo successo?
Non è scontato perché c’è, di fatto, da parte di alcune forze politiche, la volontà di far passare i sindaci come servi dello stato centrale. In presenza di queste prevaricazioni il sindaco deve sottolineare la mancanza di servizi e i problemi di fiscalità. È il sindaco che si deve fare paladino della comunità che amministra. Diciamo che mi sono sentito rappresentante del paese che mi ha eletto e amministratore delegato della mia comunità.
Dopo quest’esperienza e altre eventuali, si continua ad auspicare per un federalismo?
È l’unica via possibile. Questi rigurgiti centralisti devono capire che non possono continuare se non mettono al centro le autonomie locali e il cittadino, altrimenti emergono continuamente problemi legati alla mentalità dei governi degli stati centrali. Se le comunità locali hanno una prevalenza all’interno delle istituzioni statali, la cosa funziona. L’esempio più plausibile ce lo abbiamo a pochi chilometri di distanza, in Canton Ticino.
A proposito del Ticino. Cosa pensi della riforma che sarà probabilmente vagliata da cinque anni che obbligherà i frontalieri a essere sottoposti a doppia retribuzione, cioè quella italiana oltre a quella svizzera?
Penso che nella suddetta questione i frontalieri si trovino schiacciati tra due fronti, quello di Roma e quello di Berna. L’auspicio è una maggior collaborazione tra la fascia pedemontana della Lombardia e il Canton Ticino, tra il Governatore della Lombardia Maroni e le Istituzioni Ticinesi, una cooperazione assidua, per superare questa problematica con le autonomie locali.
Il problema all’origine è quindi il centralismo?
Si, soprattutto quello della parte italiana. Sembrerebbe quasi che questa legge sui frontalieri sia legata al disperdimento del segreto bancario in Svizzera. Il governo italiano ha fatto sì che l’aspetto dei frontalieri passasse in secondo piano, da qui ragionamenti di cui sopra: ci troviamo continuamente in un dissidio tra comunità locali e stati centrali, i quali non fanno gli interessi dei cittadini del varesotto. Noi intendiamo avere un Canton Ticino forte, dal punto di vista istituzionale. La suddetta forza è dimostrata dalle quasi 30 mila persone che lavorano nella fascia frontaliera. Bisogna quindi creare le condizioni affinché questa cooperazione col Ticino sia incentivata e rafforzata.
Ritieni che i Ticinesi siano dei privilegiati, rispetto ai varesotti?
No, loro vivono in un mondo normale. Siamo noi che viviamo in un mondo anormale. L’assetto istituzionale della zona di Varese è analoga alla Svizzera. Se i Ticinesi sono riusciti a conservare un assetto confederato per tutti questi secoli sono da ammirare, sono da esempio, ma non sono dei privilegiati.
Come vivi il timore, se c’è, che passi il Referendum ad Ottobre?
Il Referendum è un’accentuazione sulla tematica del centralismo, un’involuzione verso il decentramento. Mi auguro che il Referendum Costituzionale, portabandiera del pensiero di Renzi, non passi, altrimenti vedremmo attuata la cancellazione delle autonomie locali.
Cosa pensi della sconfitta della Lega a Varese?
La nostra battaglia è andata molto bene fino al primo turno, ma il PD ha bruciato le distanze, nelle due settimane tra il primo e il secondo turno. È una sconfitta che brucia parecchio. Dopo 23 anni di governo dobbiamo abdicare. La stessa cosa è successa anche a Treviso, dove non sono mancati, poi, ripensamenti e pentimenti. È certamente un grosso rammarico ma ha in se’ di positivo il fatto di incentivare la lotta da parte dell’opposizione e di coalizzare il pensiero della varie città attorno a Varese. I cittadini ci hanno chiesto di non abdicare ma di perpetuare le nostre, le loro idee politiche. Noi, da una prospettiva di lotta, ci impegneremo nell’opposizione.

Intervista a cura di Chantal Fantuzzi.