IL SUO ULTIMO ARTICOLO

(pubblicato postumo il 9 luglio)

Il 6 luglio (credo) Gianfranco giungeva a Rovigno. Il 7 per tragico incidente cadeva, ferendosi gravemente. L’8 moriva all’ospedale di Pola. il giorno 9 il Giornale del Popolo pubblicava “Nella speranza e nella preghiera”

Per gentile concessione della testata.

2017* * *

soldatiRovistando tra mucchi di vecchie fotografie dimenticate mi sono imbattuto in una di quelle immagini che le famiglie dei defunti inviavano a parenti, amici e conoscenti in guisa di ringraziamento per le condoglianze e la partecipazione ai funerali. Usanza da noi andata persa a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, ancora vigente nell’Italia del Sud. Un ritrovamento, quello dell’immagine di cui sto dicendo, che ha ridestato sensazioni di una dolorosissima vicenda. Ero al secondo semestre degli studi di medicina, possedevo una Vespa vinta ad un concorso, in un Bioggio di 600 abitanti, con le strade in terra battuta, i vicoli acciottolati e dove automobili e motociclette si contavano sulle dita delle mani. Tutti si conoscevano e chi poteva aiutava spontaneamente i contadini a rastrellare il fieno, caricarlo sul carro e metterlo in salvo in cascina quando minacciava il temporale.

La mia Vespa faceva naturalmente gola a tutti i bambini del villaggio. Due di loro, coetanei, “torelli” di robusta costituzione e vivace temperamento, mi erano particolarmente cari. L’empatia mi induceva a premiarli portandoli a spasso, in piedi sul pianale dello scooter, senza i caschi protettivi che erano ancora di là da venire. Uno dei due si chiamava e si chiama tuttora Gilberto Fusi. Sarebbe diventato, oltre che macellaio in proprio dopo il padre Louis, un notissimo e bravissimo attore dialettale. Orribilmente diverso il destino dell’altro. Giocando alla guerra con un arco rudimentale era stato ferito da una freccia di sottile nocciolo dietro il padiglione auricolare. Una semplice e banale scalfittura, che non aveva impedito il prosieguo della battaglia. Di ritorno a casa, prima una sgridata della sorella maggiore, poi la disinfezione di prammatica con la grappa. Ad un mio successivo rientro di fine settimana da Losanna, una, al massimo due volte al semestre, fui accolto con la brutta notizia che il mio “protetto”, perché tali erano diventati il Gilberto e lui, era ricoverato al Civico, colpito da tetano, un’infezione temutissima e contro la quale era consigliata, ma forse non ancora obbligatoria, la vaccinazione. Mi precipitai immediatamente all’ospedale, dove trovai il mio piccolo amico arcuato sul letto in stato di opistotono, assistito dalla mamma Dora e dalla sorella Itala. La tossina del tetano provoca delle contratture muscolari violentissime, al punto di causare, nei pazienti giovanissimi, fratture spontanee delle ossa lunghe e delle vertebre, chiamate dai francesi fractures en bois vert, proprio perché le ossa non ancora compiutamente calcificate si rompono come un ramo verde. L’opistotono è un posizionamento del corpo in iperestensione, dovuto alla dolorosissima contrattura (crampo, il ranf del nostro dialetto) dei muscoli scheletrici, in particolare di quelli vertebrali, con il prevalere dei muscoli estensori per rapporto ai flessori, tale da ridurre il paziente arcuato sul letto con solo appoggio sull’occipite e sui calcagni. Le contratture colpiscono poi anche i muscoli della lingua e del faringe, impedendo la parola e la deglutizione. Per finire diaframma e muscoli intercostali, pervasi e contratti a loro volta dalla tossina, impediscono la respirazione, conducendo per finire ad una morte che è una vera liberazione per il povero paziente, per chi deve curarlo e per la famiglia confrontata con una simile agonia. Il mio piccolo e povero amico fu assistito per tre giorni e notti, dalla mamma, dalla sorella e da me, più che dai medici e dalle infermiere impotenti, noi sostenuti solo dalla speranza e dalla preghiera, cui si domandava quel che la medicina del tempo non era in grado di dare. Subì questa fine atroce, dopo un tormento interminabile e inenarrabile, che mi fa ancora star male al solo pensarci, a 62 anni di distanza. Si chiamava Hidalgo Cogrossi, nato il 10 maggio 1942, morto il 27 aprile 1954, quasi certamente ultima vittima del tetano del Canton Ticino. Piccolo, grande e sventurato amico.

Gianfranco Soldati