Vallo 1Mi chiamo Publio Orosio Vatreno, e non avrei mai immaginato di ritrovarmi qui, di nuovo in Britannia, a svolgere il mio dovere di soldato. In questo freddo luogo, dove cinque anni fa ho creduto di trovare la morte tra la bruma e le foreste caledoni, qui, in questa inospitale isola sono stato di nuovo inviato con la mia guarnigione, per difendere il Vallo che il nostro imperatore ha poi ordinato di costruire. Sarà forse stato uno scherzo della capricciosa dea bendata, la Fortuna, a rimandarmi dove mai avrei voluto tornare, a tenere a bada quei mostruosi uomini dipinti di blu. Tuttavia so che tra loro non tutti sono malvagi e selvaggi. Lo posso dire perché feci un incontro con una ragazza che mi salvò la vita, unico elemento di luce, in quei giorni terribili di tenebre, e di sangue. È stata forse lei la ragione per cui mi sono sottomesso al destino, per la quale mi trovo qui, in questo fortino di pietra con il soffitto in legno in una zona sperduta della Caledonia. Una candela di sego illumina la pergamena su cui scrivo, sulla quale dovrei annotare il mio rapporto di soldato ma, visto che fuori soffia un vento gelido che sibila, perfido, e fa cigolare i battenti delle porte, scelgo di abbandonarmi ai ricordi dei giorni in cui feci quell’incontro. Chi sarà mai stata uella fanciulla? Una fata? Una dea? O, semplicemente, una giovane donna dal cuore puro? Se solo potessi rivederla! Vorrei dirle un grazie, conoscerla. So bene dove si trova quella foresta dove avvenne la strage. E anche se , a un qualunque uomo, i boschi possono apparire tutti uguali, io saprei ritrovare quel luogo. Li vicino dovrebbe esserci il suo villaggio…

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Sono passai alcuni giorni dal mio rinnovato impatto con le folate del vento caledone, e devo dire che essere una guardia del Vallo d’Adriano è davvero un ruolo sgradevole. Il gelo passando sotto alla lorica di cuoio penetra fin nelle ossa, e l’elmo ferreo non fa che peggiorare la situazione perché il metallo è talmente freddo che mi pare di avere la tta stretta in una morsa di ferro. Tuttavia, in questi giorni, ho conosciuto uno schiavo. È un britanno, è stato fatto prigioniero qualche anno fa, in seguito alla battaglia di monte Grapius, vinta dal generale Agricola. Doveva essere un principe, o qualcosa del genere, perché ha un portamento regale e, si dice, abbia combattuto con valore. Lo guardo compiere i suoi doveri, è diligente. Dovrei odiarlo, perché appartiene alle genti che sterminarono la Nona legione, la mia legione. Eppure penso che potrà venirmi utile. Potrei servirmi di lui per cercare l’unico conforto di cui qui, in questa landa sperduta e desolata, ho bisogno. Tra qualche giorno gli farò un’offerta. Se acconsentirà a oltrepassare il vallo per tornare tra le sue genti e cercare quella ragazza e, dando prova del suo onore, tornerà da me, allora potrei liberarlo pagando, a mie spese, la sua libertà. Altrimenti pagherei cara la mia arroganza e, se lo schiavo fuggirà, subirei rimproveri aspri dal mio comandante. Tuttavia oltre il Vallo non c’è granché per sopravvivere, verso sud, invece, il tiepido sole di Britannia pare sorridere alle genti e condurre i pellegrini a Roma. Ed è li, nel cuore dell’Impero che c’è la vita. La libertà, per uno schiavo, è un dono raro, più prezioso, forse, della vita. L’onore poi accresce il prestigio. Non credo che rifiuterà.

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Non avrei mai creduto che le parole di uno schiavo mi avrebbero stroncato in tal modo! Oggi dunque,ho chiesto al ragazzo se fosse disposto ad eseguire il mio ordine in segreto, ed egli, non solo ha acconsentito, a mi ha anche detto di essere a conoscenza di quella selva dove tutti i miei compagni trovarono la morte. Egli stesso, così mi ha rivelato, prima di andare incontro alla disfatta del suo popolo, sulle pendici del monte Grapius, fece sacrifici ai suoi dei in quegli stessi boschi. Non avrei mai creduto, dunque, di odiarlo a tal punto. Sa parlare la mia lingua, e, con incredibile arroganza, la usa per raccontarmi di come, da uomo libero, o meglio da fanciullo, ha desiderato uccidere Romani. Lo odio, quindi, non è che un ragazzo saccente ed arrogante che non sa di essere schiavo. Ma sa cosa significhi la parola ‘onore’ forse meglio dei miei compagni. Uno schiavo – mi ha detto – è avvantaggiato rispetto ad un uomo libero. Questi infatti ha solo paura di perdere la vita, lo schiavo invece sa di non aver nulla da perdere ma, al contrario, ha da guadagnare la libertà. Partirà quindi alle calende di dicembre. Gli ho chiesto se volesse aspettare i mesi più caldi, mi ha risposto che è abituato al freddo e che ha superato prove ben più dure. Quali fossero, non me lo ha rivelato.
Quanto al riconoscere la ragazza di cui ho bisogno, mi ha chiesto solo il colore degli occhi e dei capelli, ma quando gli ho rivelato della cicatrice che le deturpa il viso, ha sogghignato. E non ha più proferito parola.

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È partito, duque. Il sole non era ancora sorto quando lo schiavo si è messo in viaggio. Ha portato con se solo un sacco con dentro della carte e dei pezzetti di frutta essiccata, per rendere il sapore di questa meno rancido e più gradevole. È partito nella livida luce di una fredda alba di Britannia. Dopo essersi volato un istante, è sparito tra le nebbie caledoni, oltre il Vallo. I soldati, che con me montavano l’ultimo turno di vigilia prima dell’alba nel vederlo allontarsi, non hanno fatto una piega. Per loro, quel ragazzo vale meno di un filippo. Per me, vale una vita…
Se tornerà con la fanciulla, lo compenserò come promesso, se non dovesse più comparire mi dichiarerò colpevole della sua scomparsa al mio comandane, se invece dovesse tornare senza a ragazza mi rassegnerò per sempre e vivrò con uno sbiadito ricordo di una bellissima creatura che mi porge un pony.

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Un’altra notte gelida è passata. Ho il viso provato dal montare sempre i turni di guardia notturni, mi sento incredibilmente vecchio. Non ho più notizie dello schiavo da mesi, ormai. Credo che questa meta, la Britannia, nebbiosa e sempre bagnata da piogge impetuose, sia la causa della morte di un mio compagno. Si è spinto troppo dal Vallo, senza emettere un grido è caduto giù e il suo corpo si è sfracellato sullo zoccolo di roccia su cui è costruito il Vallo.

Certe volte penso alla mia casa… soleggiata in estate e sferzata dal vento in primavera, imbiancata in inverno, dorata in autunno. Ma non è che un ricordo infantile, ormai troppo pallido per essere rievocato. Ci sono attimi in cui sperare porta l’animo a gonfiarsi di felicità, in cui sognare pare essere l’unica fonte di vita. Eppure, quando tutto questo finisce, le speranze paiono infrangersi come onde sulle scogliere e tutto sembra finito. Fino a ieri pregavo gli dei perché il mio schiavo tornasse, da oggi incomincio a perdere le speranze. Qui in Caledonia è caduta la neve e il gelo è più insopportabile che mai. Giungono inoltre voci che un gruppo di Pitti si prepari ad attaccarci.

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Dicono che siano gli Imperatori a scrivere la storia. Dicono che solo i grandi comandanti entrino nella leggenda. Per me gli scrittori possono dire quello che vogliono, possono incorniciare di splendidi costrutti grammaticali i loro pomposi testi, possono usare un lessico regale per donare immortalità alle gesta dei grandi. A me tutto ciò non importa. Perché sta’ sera, mentre la brulla terra ai piedi del Vallo riemerge dalla neve e già piccoli fiori appaiono, timidi ma superbi, su di essa; sta’ sera, dunque, ho finalmente potuto sorridere mentre il cuore mi si gonfiava di felicità.

Il servo dai capelli rossi è tornato, con il suo passo da bambino, ma con un aspetto diverso. Si, è cambiato, è cresciuto, si è fatto più maturo. Ma, soprattutto, al suo fianco aveva una giovane donna bellissima. Dallo sguardo spaurito e smarrito ma con un pizzico di curiosità nell’animo. Ha guardato l’alto Vello e sussurrato qualcosa nella sua lingua. Quando mi ha visto, è quasi svenuta dallo stupore. E dalla felicità.

“È una strega, soldato” ha detto, nel suo stentato latino, lo schiavo. “Se la prenderai con te non la renderai che entusiasta. Il suo popolo la odia, sospetta che abbia prestato aiuto ad un Romano..” E con una scrollata di spalle si è dileguato. Pare che creda già di essere libero. Ebbene, lo è. Ma la cosa più importante è che ora so di poter continuare a svolgere il duro compito di soldato con una persona amata al mio fianco. Ora posso dire di avere una ragione per non cedere alla stanchezza delle fredde notti d’inverno. Perché lei sarà al mio fianco. Dovessero arrivare i Pitti, combatterei con tanta tenacia che, ne sono sicuro, mi metterei in salvo. Manca ancora molto al compimento dei miei quarant’anni. Solo allora, forse, potrò ritirarmi dalle fila e tornare alla mia casa soleggiata. Ma questa volta non sarò solo.

Chantal Fantuzzi