Ho affidato questa intervista importante all’artista Aymone Poletti, che ha già scritto 7 articoli per Ticinolive. Ne è uscito un testo imponente, colto, profondo. Impegnativo da leggere, ma noi confidiamo nell’interesse e nella competenza dei nostri lettori.

La lunga intervista si compone essenzialmente di due parti. Nella prima Francesco Hoch parla della sua arte; nella seconda egli si esprime sulla novità dominante della cultura luganese, il LAC. Ed è un’ottima cosa perché Ticinolive ha scelto questo tema come tema portante dell’autunno. Il discorso verrà sviluppato dando la parola a un ampio numero di personalità delle più diverse tendenze (e non solo agli “addetti ai lavori”!)

Due affermazioni di Hoch suonano particolarmente dure, queste: “Per ora si stanno affermando forze che stanno contro la cultura, contro l’educazione, contro l’arte, contro gli intellettuali, contro gli artisti, ecc. Se si occupano dell’arte, è solo per avere un ristorno finanziario.”  “La programmazione finora sembra soffrire delle idee di coloro che il LAC non lo volevano affatto, di un populismo riguardante la programmazione teatrale e musicale, ma non quella visiva delle mostre.”  Susciteranno polemiche? È possibile ma (dico io) questo non è un male.

Ticinolive seguirà da vicino il debutto del secondo anno di Lugano Arte e Cultura, ne illustrerà la programmazione e non mancherà di approfondire la vexata quaestio della nomina del Consiglio direttivo (ottobre). Sarà questione di persone e di equilibri (o regolamento di conti?) politici; ma anche, indubbiamente, di linea culturale. Tutto per il momento sembra tacere ma è evidente che il fuoco cova sotto la cenere.

Per scrivere cose sensate, tuttavia, è necessario farsi un’idea precisa di come stanno le cose. È il primo compito di un giornalista… e, anche, di chi giornalista non è!

Nota. Le prime due foto sono di Beatrice Hoch-Filli, la terza di Ticinolive.

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Hoch 1Il compositore Francesco Hoch è nato a Lugano nel 1943. Ha ottenuto i diplomi dapprima di Maestro di scuola, poi di Composizione con Franco Donatoni e di Canto al Conservatorio G.Verdi di Milano dove ha anche studiato Direzione d’orchestra e Musica elettronica. Negli anni settanta, si è subito distinto con sue composizioni strumentali e vocali alla Biennale di Venezia, all’Autunno musicale di Como, alla Chigiana di Siena, a Monaco e ad Amsterdam, si è fatto notare con un brano elettronico a Vienna e con il Primo premio al Concorso internazionale “Angelicum” di Milano per un lavoro orchestrale.

Da allora ha composto un centinaio di opere per la maggior parte pubblicate dall’editore Suvini Zerboni-Sugar di Milano. Le sue composizioni sono concepite per vari organici da camera, orchestrali, per teatro, corali, elettroniche, per danza ed eventi visivi e sono eseguite in concerti nei maggiori paesi europei, in America latina, Medio Oriente, U.S.A., Unione Sovietica e Giappone, distinguendosi e vincendo numerosi premi tra i quali anche quello alla carriera, di UBS-Giubileo 1991.

Ha sperimentato anche nuove didattiche musicali durante i lunghi anni d’insegnamento nelle scuole ticinesi; ha svolto inoltre attività di critico musicale e di direttore d’orchestra e ha fondato a Lugano OGGImusica, l’associazione per la diffusione della musica contemporanea. Nel 2013, sulla sua attività musicale, nell’edizione GUERRA di Perugia, è uscito il libro del musicologo Stefano Ragni, “Il suono della società “postuma”- Francesco Hoch, musicista che pensa il futuro- .

Aymone smAymone Poletti   Lei ha dedicato tutta la sua vita alla musica e all’arte. Come ha capito che sarebbe diventato compositore?

Francesco Hoch   Principalmente ho dedicato la mia vita alla musica e all’arte, ma inserite in tutto il mondo culturale della storia e della società. Ho capito che sarei diventato compositore perché avrei potuto dire meglio con la musica la mia posizione di fronte al mondo. La musica mi sembrava più libera e in più conteneva un aspetto che mi interessa tutt’ora molto, che è lo scorrimento del tempo.

Che messaggio vuole trasmettere con la Sua arte?

FH   Dipende molto dalle varie fasi che ho attraversato, ma una costante è stata quella di prendere una posizione di fronte al nostro mondo, alla nostra società, alla nostra storia, e in particolare all’interno dell’arte e della musica. La scelta da subito, in musica, dell’avanguardia era già una scelta di campo, di sensibilità e del modo di comunicare che pretende dal fruitore un’apertura di fronte alle novità. In musica non si tratta solo di inviare dei messaggi, dapprima si ricerca una verità personale nella musica stessa, un senso, e poi essa viene inviata al mondo.

Chi sono (e sono stati) i suoi riferimenti musicali?

FH   Anche qui dovrei rispondere in modo articolato perché ho passato una serie di momenti nella mia produzione, tutti collegati tra di loro, che toccavano tuttavia aspetti diversi e persino contrastanti.
Dapprima negli anni Sessanta ero partito con l’interesse per la musica informale di Pendercki e della scuola polacca, poi di Donatoni e di Ligeti, avvicinandomi anche alle esperienze della musica improvvisata o della casualità cageana ( relativa al compositore John Cage ndr) . Ripresa la scrittura, mi sono avvicinato alla musica ripetitiva americana per sfociare in una musica “neofigurale” che sperimentava nuovi confini, nuovi ordini. Dalla musica più geometrica ho operato una dissoluzione che riprendeva una fine di un’epoca come aveva operato Mahler all’inizio del Novecento.
Questo per rispondere solo strettamente alla domanda, perché di riferimenti ce ne sono tanti provenienti anche da altre discipline,dalle altre arti, alla filosofia, alle nuove scienze , alla linguistica, alla sociologia e alla politica economica. Penso per esempio a Pollock da una parte o a Marx o a Köhler per altre discipline.

Secondo Lei un artista deve delinearsi lungo una sola disciplina oppure può permettersi la fusione tra diversi rami artistici? Hanno ancora senso artisti come lo fu all’epoca Jean Cocteau?

FH   Dapprima, un artista non deve, ma può. L’unione di varie arti è uno dei mondi possibili, la si è sperimentata all’inizio del secolo scorso ed è tornata di grande attualità negli ultimi decenni.
Il senso c’era e ultimamente si è rinnovato. Anche Cocteau si era già allora rinnovato, per esempio, a confronto del “vecchio” grande Leonardo da Vinci.

Lei ha lasciato l’insegnamento pubblico da 12 anni. Non le manca mai?

FH   Sì, ancora oggi, talvolta mi viene in mente di poter fare delle nuove esperienze, con nuovi contenuti, nuove prospettive didattiche o pedagogiche per la scuola e per il Liceo in particolare.
La cosa che mi manca di più sono gli allievi, i giovani con i loro problemi di giovani rivolti al loro futuro.

Ha rapporti con altri compositori che risiedono in Ticino?

FH   Siamo in pochi e più o meno ci si conosce tutti, ma non formiamo nessun gruppo come succede in altri Cantoni svizzeri.
Per esempio, a Zurigo esiste un’Associazione di compositori zurighesi che da tempo lavora in questo ambito con un certo successo. Poi però capita che si passi a certe esagerazioni: per esempio, una volta, a una mia proposta progettuale mi avevano chiesto, quanti zurighesi partecipavano a quel progetto: diventava dunque una questione di passaporto… ridicolo.
Nel Ticino, invece, si lavora in modo separato, il che è dato anche dal momento storico in cui operiamo: per esempio, la formazione di gruppi con identità stilistiche o con prospettive comuni , non esiste praticamente più da nessuna parte.
I rapporti sono così, diversificati: Nadir Vassena è stato per esempio anche mio allievo al Liceo di Mendrisio dove mi ha mostrato le sue prime partiture e ho potuto dare alcuni primi consigli; Mario Pagliarani è stato anche membro per un certo periodo dell’Associazione OGGImusica collaborando nell’organizzazione dei concerti; Paul Glass è un amico di lunga data ed abbiamo discusso a lungo sulla musica contemporanea; Luigi Quadranti veniva regolarmente dal Ticino a studiare al Conservatorio di Milano quando ero studente di composizione e di canto nell’istituto milanese e avevo abitato per nove anni nella capitale lombarda; ci siamo poi frequentati abbastanza spesso, soprattutto come colleghi nell’insegnamento della musica nei Licei, mentre non ha mai partecipato ai concerti di musica contemporanea che avevamo organizzato e, nemmeno a quelli “oltre la diga di Melide”, come era solito esprimersi.

Lei si è sempre posto contro una “musica di consumo”. Ma è un dato di fatto: oggigiorno disponiamo di strumenti digitali che permettono ad un’unica persona di comporre e di eseguire brani: ha mai sperimentato queste tecnologie?

Hoch 2FH   La musica di consumo non si basa solo su delle tecnologie, è proprio un modo di fare che funziona bene per il mercato che è l’ideologia dominante della nostra società.
Certo che ho utilizzato anche io la nuova tecnologia nei miei brani elettronici, ma questi non hanno niente a che fare con la produzione di consumo, anzi ne sono proprio all’opposto.

L’apparenza di un suono creato artificialmente annienta la forza di coesione fra le persone; cosa che ritroviamo invece in un’orchestra. Potremmo dire che attualmente l’apparenza vince sull’essenza… come possiamo contrastare questa metafora della nostra società?

FH   Fin dagli inizi della produzione di suoni con l’elettronica, già negli anni ’50, ci si è posti il problema sull’ ”umanità” della musica prodotta. L’elettronica, nonostante la sua riproduzione attraverso le macchine, rimane uno strumento musicale come gli altri, cioè diretto dall’uomo, dove è l’uomo a dover dominare la macchina.

Il LAC, che fra poco compirà 1 anno, è una realtà per Lugano… cosa ne pensa del fatto di riunire tutte le discipline artistiche in un solo luogo?

FH   Il LAC è sicuramente un luogo importantissimo per la cultura ticinese. La circolazione delle arti in uno stesso luogo mi pare anche molto importante, soprattutto se il discorso viene centrato su delle tematiche comuni che per ora al LAC però non vengono affrontate. Sarebbe bello e ambizioso poter trovare dei ponti fra le varie arti, delle tematiche comuni, degli indirizzi che coinvolgano i diversi settori. Sicuramente questo modo di impostare tutto il LAC porterebbe a una cultura più organica con un travaso di saperi, conoscenze e di sensibilità interessanti. Per fare questo ci vorrebbe una grande collaborazione tra i diversi direttori artistici del LAC.

Lei e Sua moglie (che è cantante) andate ai concerti proposti dal LAC? Come trovate la sala? Darebbe qualche consiglio per il palinsesto futuro?

FH   La sala del LAC pone qualche problema di acustica. È molto difficile, e non conosco sale di questo tipo, che mescolano continuamente i programmi teatrali, di prosa, di musica, orchestrale, solistica, cameristica, corale, amplificata e non.
Mia moglie Beatrice, che possiede una formazione professionale in musica e nell’arte del canto, ha raccolto una grande esperienza in molte sale nel mondo, affinando continuamente il suo ascolto e vivendo in profondità i concerti di musica classica, e ha perciò sviluppato un senso critico più radicale del mio, quasi da escludere delle possibilità di miglioramento per questa sala.
La programmazione finora sembra soffrire delle idee di coloro che il LAC non lo volevano affatto, di un populismo riguardante la programmazione teatrale e musicale, ma non quella visiva delle mostre.

La sala del LAC avrebbe un potenziale molto grande. Se le lasciassero in mano la concezione di uno spettacolo al LAC, come sfrutterebbe al massimo gli spazi sonori (anche in modo alternativo)?

FH   Mi hanno chiesto di fare un lavoro per il LAC e ho subito pensato di sfruttare gli spazi che stanno al di fuori della sala da concerto. Vedremo cosa succederà il prossimo 16 settembre 2017, giorno fissato per il mio concerto e in particolare come verranno risolti i problemi finanziari.

Si spieghi meglio ….

FH   Insomma si tratterebbe di trovare ancora degli sponsor per completare il programma proposto e di trovare le soluzioni migliori per il concerto dedicato alla mia musica del 16 settembre in maniera da aprire in modo importante la nuova Stagione concertistica 2017/18 al LAC.

Quale è stata una sua recente grande soddisfazione professionale ?

FH   Sicuramente le prime assolute di New York alla Stony Brook University e a Londra nel concerto monografico della Goldsmith’s University con, in entrambi i casi, mie conferenze, introduzioni, lezioni. Oppure in Svizzera, nella Sala Ernest Ansermet a Ginevra una prima per soprano e grande ensemble commissionato dal magnifico gruppo “Contrechamps” specializzato nella musica contemporanea.
Anche in Ticino ricordo volentieri le recenti due serate monografiche, una al Teatro sociale di Bellinzona e una alla Sala Foce di Lugano con musica vocale, solistica, corale, da camera, strumentale, con balletto e proiezioni.
Di particolare soddisfazione è stata pure la prima assoluta all’Auditorium Stelio Molo nel 2014 del concerto per due flauti di pan con i Barocchisti diretti da Diego Fasolis, ma anche la pubblicazione nel 2013 a Perugia del libro sulla mia attività, scritto dal musicologo Stefano Ragni e presentato, con relativa mostra, alla Biblioteca cantonale di Lugano.

In un’epoca di sfruttamento di canali digitali e di social media, come si può ancora riuscire a riempire le sale con progetti culturali alternativi?

FH   Bisogna capire, per “essere alternativi”… a che cosa? Se ci riferiamo al dilagante dilettantismo digitale, allora è bene che si proponga una musica che abbia un valore profondo e sia di qualità.
La musica del Novecento radicale è praticamente sconosciuta dalla nostre parti, per cui questa sarebbe già “alternativa” alla tradizione museale dei correnti programmi classici. Penso che i programmi non debbano solo essere alternativi, penso che debbano toccare più profondamente la musica nuova come quella del passato.

HochDopo quanti anni sarebbe corretto valutare il “successo” (artistico, culturale, finanziario, turistico, popolare) del LAC ? Quale giudizio formula sulla sostenibilità finanziaria del LAC a medio-lungo termine?

FH   Il problema del successo è proprio quello del “successo” con le virgolette. Oggi esso s’intende in generale con la quantità di pubblico pagante e non si dà importanza alla qualità della programmazione. Esiste un successo vero e profondo quando si porta il pubblico verso una produzione importante, in qualsiasi campo, quando si sviluppano i gusti così da formare un pubblico culturalmente agguerrito e sempre stimolato. Lo vedremo fra 30 anni ed è una questione anche politica perché si tratta dello sviluppo culturale di un paese intero.

Secondo Lei, un investimento in cultura deve per forza avere un riscontro monetario?

FH   Se un paese crede nella cultura, esso mette a disposizione le necessità finanziarie e, vista la struttura della nostra società, intendo sia il pubblico sia il privato.
Per ora si stanno affermando forze che stanno contro la cultura, contro l’educazione, contro l’arte, contro gli intellettuali, contro gli artisti, ecc. Se si occupano dell’arte, è solo per avere un ristorno finanziario.

Che progetti futuri ha?

FH   Ho appena terminato un lavoro importante per orchestra che verrà eseguito il prossimo maggio a San Pietroburgo nella stagione dell’orchestra del Teatro Music Hall, e che ho dedicato al direttore, maestro stabile Fabio Mastrangelo, proprio ne teatro dove Daniele Finzi Pasca aveva rappresentato il suo spettacolo Donka dedicato ad Anton Cecov.
Ho appena composto anche un breve brano intitolato DADARP con un testo dedicato a Hans Arp e al Dadaismo, per il coro Calicantus di Mario Fontana che lo sta studiando per il marzo 2017.
Per il 16 settembre 2017, il già accennato nuovo progetto con una serata intera di musiche mie per ensemble di percussioni , voci e un attore, in occasione dell’apertura della Stagione musicale al LAC.

Qualche sogno nel cassetto?

FH   Sogni? Sì, ce ne sono di possibili e di impossibili. Dico solo quelli già fuori dal cassetto. Sto scrivendo da quasi 10 anni un’opera “Le allegre danzatrici di Falstaff” e sono al terzo e ultimo atto, su testo in collaborazione con il poeta Roberto Bernasconi.
E allora? sogno un teatro che realizzi l’opera, i contatti ci sono, e diversi. Il LAC sarebbe anche lo sbocco più naturale, ma il LAC non è pronto, per ora non vuole osare. Che sia di nuovo la stessa storia della “prima fuori patria” e del “nemo propheta…” ?

Esclusiva di Ticinolive. Riproduzione permessa con citazione della fonte