Un mio caro amico, che attende giustizia da 15 anni, mi confidava: “Tutto ciò che spero, è di riuscire a sopravvivere sino al giorno in cui mi sarà fatta giustizia”. Non ce la farà mai, l’obiettivo è sovrumano.
Quando la politica e lo Stato vogliono, sono capaci – eccome – di sbrigarsi. Il 26 – tra otto giorni – il nuovo Centro sarà pronto, a partire dal 28 sarà utilizzabile.
Il posto è facile da trovare, il Capannone sta sulla strada secondaria che da Riva San Vitale porta a Rancate. In alto – sulla destra, scendendo – campeggia una scritta “Castello di Cantone”, un bel vigneto.
Gentilissimi i due funzionari (uno dei quali sappiamo essere, anche, il portavoce della Polizia) cui è stato affidato il compito di ricevere ed informare i giornalisti, i fotografi e cineoperatori. Non conosco quasi nessuno – a parte Mattia e Boris, che si degna di salutarmi – perché questi giovanotti hanno 50 o 60 anni meno di me.
Piovono le domande. “Quante persone in una camerata?” “20”.
“Quanti rifugiati in tutto il capannone?” “150 al massimo”.
“Quanto a lungo ci staranno?” “12 ore. Una notte”.
Mattia Sacchi vorrebbe domandare: “Quanto costa?” Tento di dissuaderlo, invano. “Non lo sappiamo”. Mattia sogghigna furbesco.
“Che cosa succede al mattino del giorno dopo?” “Vengono riportati a Chiasso per la riammissione semplificata”.
“Gli italiani non fanno storie?” “No, si comportano bene”.
“Chi ha preso questa decisione? [Di ristrutturare il capannone ed attivare il Centro; domanda mia] Il consigliere di Stato Gobbi? Il municipio di Mendrisio? Berna?” Dalla risposta si intuisce che erano sostanzialmente tutti d’accordo.
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L’autorità ha deciso di giocare sino in fondo la carta della trasparenza. Venite a vedere, signori giornalisti, a fotografare e a filmare. Non abbiamo niente da nascondere!
Con tutto il rispetto per l’impegno di questa gente, io resto dell’opinione che la politica del governo svizzero in tema di immigrazione sia assurda e autolesionistica.