jack-6-xUn buon articolo, pieno di slancio e non privo di una certa aggressività, duramente “antipopulista”. A voler creare un pendant si potrebbe tentare di scrivere “Apertura, apertura e ancora apertura”. Ciò che suona bene ed è politicamente corretto, ma ha i suoi svantaggi. Se il partito, nella sua linea di apertura, si preoccupa del disagio psicologico dei pinguini dell’Isola di Pasqua molto più che della disperazione di un ticinese che si sente messo da parte e si trova senza lavoro, allora è normale che esso perda migliaia e migliaia e migliaia di voti. Ammettiamo peraltro che simili considerazioni siano applicabili più al PS che non al PLR.

Il popolo, soprattutto i più piccoli, sente il bisogno di essere protetto. Non serve una laurea in Fisica nucleare per comprenderlo.

Acuta l’analisi di Ferrari-Testa sul LAC. Ma bisogna tanto per incominciare ammettere che la mossa della Lega, pur furbesca e tattica, era legittima. Queste cose in politica si possono fare. E, anche se l’unico scopo dell’ “astuzia” fosse stato – ciò che molti credono – quello di escludere Giovanna Masoni, persino in questo caso non potrebbe essere definito illegittimo. Un colpo gobbo, piuttosto. Anzi, un “tentativo di colpo gobbo”.

Anche a me, che sostengo apertamente (da commentatore) l’elezione di Giovanna Masoni, la manovra non è andata a genio e dunque mi sono permesso di criticare – senza eccedere nei toni – il Sindaco, ideatore e promotore della candidatura “socialpopulista”. Cosa che faccio ben raramente, per non dire mai.

Bizzarro infine l’atteggiamento dell’eletta-non-più-eletta. Non dice una parola, non si vede da nessuna parte, sembra addirittura disinteressata alla faccenda. Sicuramente una scelta, ma sarà quella giusta?

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da Opinione Liberale, per gentile concessione

Come è potuto succedere – si chiede Michela Ferrari-Testa – che si sia persa «quella lucidità che nel passato ci ha permesso di raggiungere importanti traguardi». Non sa darsi una risposta ma fa due esempi eclatanti, raccolti dalla cronaca.

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chiusuraE’ il trend che tira nel Cantone, un’aria pesante, che aleggia e raccoglie consensi: chiusura a riccio. Privilegiare «i nostri». Alimentare l’idea che locale è bello, buono e corretto. Battibeccare nel miglior stile di portineria. Inscenare poveri spettacoli da retrobottega. Continuare a demolire, anziché costruire, mostrare le capacità ed evidenziare le eccellenze di cui disponiamo e siamo capaci. A suon di colpi di … bassa lega …, con cui ci facciamo solo male.  A sostegno della tendenza in corso, scelgo due esempi, raccolti dalla cronaca, volutamente molto diversi:

Il primo: le nomine LAC.

Ha ripreso forza il gioco del suo affondo e dell’attacco alla cultura in generale, ma in una forma più subdola e sottile. Non il noto sfottò tramite l’uso della k – kultura inutile, costosa, destinata a pochi intellettuali e tante altre amenità – ma un approccio più pericoloso, secondo un piano ben strutturato e orchestrato. Nessuno scontro frontale vecchio stile, nessuna apparente bomba sganciata sugli addetti ai lavori, nessuna banalizzazione. Al contrario, la proposta a cura di una formazione, per un posto nel direttivo LAC, di un soggetto di presunto valore, appartenente ad un altro partito, il tutto venduto come contributo costruttivo e sincero, come atto spassionato per mettere la struttura in mani competenti. LAC che, come per magia, è ritornato a chiamarsi tale, dopo che per anni è stato definito con uno sprezzante nomignolo, associato ad un noto lassativo. Un contributo al buon funzionamento, assicurato grazie ad una personalità di spicco, con le doti, l’esperienza e le conoscenze giuste per farla fiorire, acquisite nel contesto politico cantonale e negli anni di lavoro nel settore oltre Gottardo (si noti: quella parte della Svizzera che normalmente è vista come il fumo negli occhi…). Il soggetto prescelto è stato contrapposto a colei che, invece, tenderebbe, a detta dei registi dello spettacolo, a privilegiare i propri interessi e le sedie, che avrebbe commesso molti errori e che di cultura vera sarebbe poco cognita. Non occorre essere dei maghi della politica per capire che il buon funzionamento della struttura è l’ultimo degli obiettivi che i suoi attuali paladini perseguono.

Per anni, domenica dopo domenica, si sono adoperati nel dileggio di chi il LAC lo ha voluto e sostenuto con grande determinazione, capacità e impegno, sopportando di tutto e di più, oltre il tollerabile, con una forza che nasce solo da quello in cui credi, riuscendo in un’impresa importante per la città e il Cantone. Ciò che sorprende (ma magari non troppo …), è la compiacenza di chi ha accettato di mettersi a disposizione quale pedina del gioco, malgrado gli attuali fans non siano sempre stati teneri nei sui confronti (eufemismo). Gioco parallelo, che nasce da lontano? Botta contro botta di una storia antica, il cui epilogo viene atteso con pazienza lungo il fiume che scorre? Non ritengo che sia un caso che l’interessata abbia guardato lo spettacolo dalla platea, non abbia commentato e aspetti gli eventi. Le importa del LAC? Comunque, va riconosciuto a chi ha macchinato il piano una certa astuzia. Se la struttura decollerà, i registi raccoglieranno i meriti e si metteranno al petto le medaglie riservate a coloro che hanno individuato il soggetto giusto, salvatore delle patria. Se fallirà, come non è remoto pensare che auspichino, lo scaricheranno o addebiteranno le responsabilità ad altri. Con l’aiuto di altre parrocchie, che qualche errore lo hanno pur commesso… E intanto il LAC, anziché affermarsi, resta imbrigliato.

Il secondo esempio, su tutt’altro fronte

I paletti posti dalla direzione del liceo di Locarno, che ha vietato le gite di maturità nelle capitali europee, rispettivamente le trasferte in aereo, per motivi di sicurezza. Misura che suscita perplessità, si spera isolata e temporanea, perché una scuola aperta, oltretutto superiore e preposta a formare dei cittadini destinati a compiti di rilievo, non può darla vinta alla paura. La gita di maturità non è solo svago, ma anche formazione nel senso più ampio del termine. Se è ben vero che gli orizzonti possono essere allargati, privilegiando altre mete, è altrettanto vero che l’impatto di una grande città su un giovane è altra cosa. In un Cantone assai ripiegato su sé stesso, convinto di essere vittima di tutti, prosciutto nel panino di ciò che di negativo proviene da sud e da nord, che giornalmente critica chi arriva da altri lidi, è indispensabile che i giovani si confrontino con realtà diverse, altre società, nuove idee, che li aiutino a togliere i paraocchi, a sviluppare lo spirito critico. Pure una toccata e fuga come la gita di maturità può dare il suo contributo. La scuola deve essere luogo di confronto, magari anche scontro ma in senso costruttivo, dialogo, e soprattutto apertura, perché chi la frequenta non diventi un cittadino pauroso e rinchiuso su sé stesso, ma capace di giudizio, espresso con serenità e cognizione di causa. Il fatto che una scuola pubblica abbia potuto concepire un’idea di chiusura è un cattivo segnale.

Ci sarebbero ancora molti altri esempi.

Mi chiedo: come è potuto succedere che abbiamo perso quella lucidità che nel passato ci ha permesso di raggiungere importanti traguardi? Come si spiega il ripiegare su noi stessi? Perché tanta negatività? Come si giustifica il piacere diffuso per l’insuccesso quando non si è promotori di un’idea e, anziché riconoscerne il valore, lavorare e fare quadrato perché si consolidi, la si affossa? Perché continuare a piangerci addosso, definendoci «questo povero cantone» (espressione infarcita con un aggettivo dispregiativo), quando non abbiamo nulla di che vergognarci? Non ho risposte. So solo che è quanto mai necessario, e urgente, una riflessione approfondita e un cambiamento di rotta.

Michela Ferrari-Testa