egout“Accusatori, giudici e, se possibile, anche carnefici”

louis-xvidal “Paese” odierno, per gentile concessione del Direttore

Alberto Siccardi è un imprenditore di successo nel nostro microcosmo ticinese. La sua Medacta International di Castel San Pietro e di Rancate ha saputo conquistarsi un’importante fetta del mercato delle protesi dell’anca, del ginocchio e, recentemente, dei supporti della colonna vertebrale, con clienti e filiali in tutto il modo. In pochi anni si è ingrandita costantemente, e conta oggi circa 400 dipendenti (più 200 nelle filiali estere) che stanno vieppiù aumentando. È stata precorritrice nell’adozione del “car pooling” per i suoi collaboratori, dando così il suo contributo anche alla causa della lotta all’inquinamento cui il Mendrisiotto è particolarmente sensibile. Fiore all’occhiello sociale, di cui Alberto Siccardi va a ragione particolarmente fiero è l’asilo nido, rispettivamente l’asilo, aziendali che accolgono fino 60 bambini figli di dipendenti e non. Last but not least, l’azienda paga somme tutt’altro che indifferenti al fisco. Tutto ciò fa di Medacta International un tassello importante dell’economia cantonale, una realtà di cui andare orgogliosi. Tutto a posto, allora? Per chiunque sia dotato di un minimo di buonsenso sì ma, purtroppo, tale virtù è merce rara. Abbonda invece molto di più il becero pregiudizio di chi – obnubilato forse dall’invidia nei confronti di chi ha avuto successo ma, temo, soprattutto perché afflitto da quantitativi industriali di stupidità – ha adottato l’assioma molto comune negli ambienti di sinistra: “imprenditore= mascalzone, sfruttatore e ladro”.

Quali gli orrendi misfatti attribuiti a Siccardi da questo fronte del mugugno perpetuo che impazza in particolare su Facebook? Innanzitutto, ovviamente, l’impiego nella sua azienda di un gran numero di frontalieri, circa l’80%. Ora, a parte che il 20% di indigeni su 400 equivale a un’ottantina di posti di lavoro – cifra pur sempre ragguardevole se comparata ad altre realtà cantonali – l’imprenditore si giustifica dicendo di non trovare in loco il personale con le giuste qualifiche (tornitori di precisione, ingegneri di particolari categorie, eccetera). Non è vero, affermano i sedicenti esperti “facebookiani” di politica aziendale senza la benché minima prova a sostegno dei loro gratuiti asserti: il personale qualificato c’è, ma non lo si vuole pagare il giusto. Uno arriva addirittura ad affermare che se un disoccupato guadagnava 15’000 franchi al mese nell’ultimo impiego, è giusto che rifiuti un lavoro a 11’000 franchi e rimanga in disoccupazione. Una farneticazione che cito solo per indicare il livello intellettuale di chi crede di trovare nei social network il suo quarto d’ora di gloria. Il presidente del PS Igor Righini tuona: “Siccardi, pubblica i salari!”. L’imprenditore lo fa, ma lo si contesta, si mette in dubbio la veridicità delle sue affermazioni e si punta il dito sul salario minimo di qualche dipendente che parte da 3-3’500 franchi al mese. Qualsiasi dialogo è impossibile, a questo punto. La sinistra e i suoi accoliti informatici hanno messo Siccardi sotto processo, si sono erti inappellabilmente ad accusatori, giudici e, se possibile, anche carnefici.

È vero che qualche volta, nella foga del dibattito, ad Alberto Siccardi incappa in qualche scivolone. È stato il caso quando, parlando della difficoltà a trovare del personale svizzero, s’è lasciato scappare “quelli lÌ non hanno la formazione”. Apriti o cielo! Gli hanno addirittura dedicato un mini-video con in sottofondo la musica utilizzata da Benny Hill per le sue comiche, hanno aperto una pagina Facebook intitolata “Quelli lì”, per non parlare della sequela di interventi dei già citati beceri informatici volti a far sì che un non particolarmente felice modo di esprimersi tolga credibilità a un’affermazione, per quanto veritiera possa essere.

Non più solo allenatori, oggi anche economisti, politici, esperti industriali, medici, avvocati…

I social network hanno dato un enorme palcoscenico alle discussioni che una volta erano circoscritte allo stretto ambito dell’osteria, discussioni il cui livello intellettuale dei contenuti aveva perlomeno, come circostanza attenuante, quella di andare di pari passo con l’aumento del tasso alcoolico dei partecipanti. I mugugni e le invettive terminavano comunque quando i loro autori lasciavano il bar per tornare alle loro attività più serie della vita quotidiana. Era, tutto sommato, un intrattenimento innocuo e, per certi versi, perfino una salutare valvola di sfogo volta a evitare conseguenze negative sul proprio sistema nervoso. In occasione della partita della squadra nazionale di calcio, tutti costoro si trasformavano in allenatori più competenti di quello vero, sparavano i loro giudizi inappellabili – o meglio, contestabili solo dai quattro gatti presenti  che esigevano anche loro, a giusta ragione, lo stesso diritto di parola – e tutto finiva lì. Se uno accennava alle infedeltà coniugali della moglie dell’arbitro o alla strana forma della testa dell’allenatore della propria squadra quando procedeva a un cambio di giocatori non gradito, la cosa non lasciava strascichi, non si metteva nemmeno in discussione il cattivo gusto di tali affermazioni.

Con i social network, in particolare Facebook, oggi la ristretta platea dell’osteria si è moltiplicata cento, mille o diecimila volte. E altrettanto è cresciuto il ventaglio delle pseudo-specializzazioni di chi sputa sentenze senza sognarsi di suffragarle con prove concrete. Non  più solo allenatori, ma anche economisti, politici, esperti industriali, medici, avvocati, eccetera. Se però si chiede a questi professionisti della diffamazione gratuita di dimostrare i loro asserti, ti guardano come un inguaribile ingenuo – o più spesso come un imbecille – ma non sono in grado di risponderti se non “Ma lo sanno tutti…”.

Facebook – al di là di una parte di cose buone e positive – si è perlopiù trasformata in una fogna, una cloaca che ospita accuse, calunnie e diffamazioni, espresse con una quasi certezza d’impunità da persone che, spesso, ricorrono anche all’anonimato o alla dissimulazione dietro uno pseudonimo. Persone che, in gran parte, dimostrano una statura morale spesso di molto inferiore a quella dei soggetti bersaglio dei loro attacchi.

Ad Alberto Siccardi – e agli altri imprenditori corretti del nostro cantone, che sono molti  – non posso che consigliare, parafrasando il dantesco Virgilio, “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.

Eros Nicola Mellini