Poco dopo la fine della “tregua umanitaria” voluta dal governo russo, ad Aleppo violenti scontri sono nuovamente scoppiati tra le forze del regime siriano e le milizie ribelli.

Il capo della diplomazia francese Jean-Marc Ayrault ha chiesto, domenica 23 ottobre, alla comunità internazionale di fare il possibile per fermare il massacro che continua a lacerare la Siria, dopo la fine della tregua umanitaria ad Aleppo.

La tregua umanitaria di tre giorni, decretata dalla Russia e approvata dal regime di Damasco, è stata troppo fragile e non ha permesso agli operatori delle Nazioni Unite di evacuare i civili e i 200 feriti bloccati nei quartieri dei ribelli.
Gli otto corridoi di evacuazione stabiliti dalla Russia per permettere agli abitanti e ai ribelli che lo desideravano di lasciare i quartieri sotto attacco, sono rimasti deserti.
Nessuno li ha usati per uscire, ha dichiarato il direttore dell’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo, Rami Abdel Rahmane. Le autorità russe e i media hanno accusato i ribelli di aver impedito qualunque passaggio. Il capo della diplomazia russa, Sergueï Lavrov, ha assicurato che i combattenti hanno fatto ricorso alle minacce, alla violenza e ai ricatti.

Poco dopo la fine della tregua, violenti scontri sono scoppiati tra le forze del regime del presidente siriano Bachar al Assad e le milizie ribelli. Colpi d’artiglieria, combattimenti e bombardamenti aerei hanno interessato diversi quartieri di Aleppo. La situazione fa temere il peggio, le ONG parlano di una possibile catastrofe umanitaria. L’ultimo mese è stato contrassegnato da intensi bombardamenti da parte delle forze governative e russe, con centinaia di morti e di feriti e la distruzione di case e ospedali.

A New York, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva ricevuto, venerdì scorso, un rapporto che informava sull’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito siriano, nel marzo dello scorso anno, nella provincia di Idleb, controllata dai ribelli.
In totale, sui 9 presunti attacchi chimici esaminati dagli esperti dell’ONU, tre sono stati attribuiti al regime di Damasco e uno al gruppo djihadista dello Stato islamico.