La scelta politica si compie su di un bivio reale

ripreso dal “Foglio” con il consenso dell’Autore; www.pietroichino.it

Molti opinionisti negli ultimi giorni hanno lanciato il loro grido d’allarme per quella che a loro appare una campagna referendaria brutta, che starebbe lacerando il Paese irreparabilmente. Sarà, ma io vedo un aspetto diverso di questo passaggio politico nazionale, che me lo fa apparire come uno dei migliori della nostra storia repubblicana. Ichino yPian piano la maggior parte degli italiani si sta facendo un’idea precisa dei contenuti di questa riforma costituzionale, delle sue conseguenze istituzionali e delle sue valenze politiche. Si sta rendendo conto che questa volta, a differenza di tante – troppe! – altre, l’esito del voto inciderà davvero sulla direzione che il Paese prenderà. Il Sì è collegato a un sistema elettorale maggioritario, a una maggiore rapidità del processo decisionale governativo, a una prosecuzione e rafforzamento dell’integrazione dell’Italia nell’Unione Europea, quindi a una prosecuzione del programma di riforme avviato in quest’ultimo quadriennio. Il No è collegato a un ritorno al sistema elettorale proporzionale, quindi al mantenimento dell’assetto costituzionale attuale (nessuno può seriamente credere alla prospettiva di una rapida approvazione, dopo il successo del No, di una nuova riforma costituzionale, quale che essa sia) e a una prospettiva di governi di “larghe intese”. Con quali contenuti, sul piano della politica economica, sociale, europea, mediterranea e atlantica, nessuno può dirlo con precisione; ma una cosa è certa: nel fronte del No predomina nettamente l’orientamento no-global e no-euro; e predomina altrettanto nettamente la rivendicazione dell’azzeramento delle riforme compiute dal 2012 a oggi.

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Nella nostra storia repubblicana è accaduto poche altre volte che una consultazione politica avesse una valenza pratica binaria così netta: fu così nel referendum monarchia/repubblica del ’46, nella scelta tra DC e Fronte Popolare del ’48, nei referendum sul divorzio e sull’aborto del ’74 e ’81, in quello sulla scala mobile dell’’85 e in quello sul sistema elettorale del ’91. Ora gli italiani si trovano di nuovo di fronte a una scelta netta, con corrispondenti conseguenze pratiche altrettanto nettamente divaricate, come lo furono quelle ora ricordate.

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Una scelta sulla quale essi si dividono, è ovvio. Ma si dividono sapendo che non è tra ideologie, o tra bandiere astratte, o tra partiti che litigano a parole ma probabilmente finiranno per fare all’incirca le stesse cose: no, ora il bivio è davvero tale, scegliere una strada o l’altra significa davvero prendere direzioni molto diverse. Questo restituisce dignità e credibilità a una politica che le aveva perse, proprio perché fingeva di dividersi su bivii in realtà inesistenti.

Mi si obietta che su di una riforma costituzionale il Paese non dovrebbe spaccarsi in due come una mela, perché in questo passaggio sarebbe necessario il consenso più ampio possibile. Concordo; ma è la Costituzione stessa che, pur proponendosi di favorire la convergenza più ampia nel procedimento di modifica, tuttavia ammette anche – con tutte le cautele del caso – la modifica con il 50 per cento più uno dei voti. Se sono trent’anni che ci stiamo provando senza riuscirci, e se anche nel 2014 siamo partiti con una maggioranza del 67 per cento in Parlamento, per poi ridurci al 57% nelle quattro letture finali tra Camera e Senato, è perché questo è proprio uno di quei casi in cui la larga convergenza non è possibile; eppure la scelta di fronte alla quale ci troviamo è, dal punto di vista costituzionale, del tutto legittima e rigorosamente conforme alle pur severe regole procedurali che la disciplinano.

Come andrà a finire? Sono ottimista. Perché in ciascuna delle altre occasioni analoghe gli italiani al dunque, anche se per lo più con un margine di maggioranza non largo, hanno sempre compiuto la scelta giusta.

Senatore Pietro Ichino