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aym-2-aymone-vitraLa 15.a Biennale di Architettura di Venezia, intitolata “Reporting from the Front” e che chiuderà il 27 Novembre, ha avuto come tema il miglioramento della qualità della vita e degli spazi urbani tramite l’uso delle risorse a disposizione piuttosto che il cedimento alla rassegnazione per quelle che mancano.

Un punto di vista vincente finalizzato ad affrontare, dunque, per una volta in maniera positiva e costruttiva, un problema che si sta facendo sempre più evidente e che necessita di un’azione e di reazioni tangibili.

Questa Biennale di Architettura, curata da Alejandro Aravena (Santiago del Cile, 1967) pare abbia conquistato tantissimi cuori entusiasti e si rivela al meglio in una poetica sintesi del mondo. Di fatto, entrare nei padiglioni ai Giardini e percorrere le Corderie e le Tese dell’Arsenale è come viaggiare attraverso tradizioni lontane, luoghi quasi sconosciuti, città nuove e altre dimenticate.

SONY DSCSi tratta di una Biennale d’Architettura importante con, da un lato, 63 partecipazioni nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia e, dall’altro, un colpo d’occhio globale  inteso come una grande mostra da visitare nella sua complessità tematica: il titolo “Reporting from the front” si riferisce ad un “fronte” non espressivo, bensì legato a quello dei senza casa, degli esclusi, dei migranti…

Per “Reporting from the front” si calcolano 88 partecipanti (provenienti da 37 paesi) e di questi, ben 50 sono presenti per la prima volta. Inoltre 33 architetti sono “under 40” con progetti speciali ed eventi collaterali. Nel grande catalogo in due volumi, il curatore Aravena introduce (in singoli saggi dedicati) il progetto architettonico, il “fare” dell’autore o dello Studio, ne descrive le peculiarità e spiega le ragioni che lo hanno spinto a inserire il progetto nel percorso della Mostra. I testi sono accompagnati da disegni, schizzi, manoscritti inediti e da immagini di repertorio dei diversi autori.

Il fil rouge della manifestazione, è ben sintetizzato dal’immagine del manifesto della Biennale: una donna che salendo su una scala – come spiega il presidente Paolo Baratta – espande i propri orizzonti.

Ma chi è in realtà questa donna? Che leggenda c’è dietro la fotografia scattata dallo scrittore e viaggiatore britannico Bruce Chatwin (Sheffield, 13 maggio 1940 – Nizza, 18 gennaio 1989) ?

bienn-4-marteDobbiamo tornare indietro nel tempo … Durante un viaggio in Sud America, Chatwin incontrò un’anziana signora che se ne andava a piedi per il deserto con una scala d’alluminio sulle spalle. Era Maria Reiche (Dresda, 15 maggio 1903 – Lima, 8 giugno 1998) emerita archeologa tedesca, che studiava le allora sconosciute linee Nazca, linee composte di sassi che, se guardate da terra, non sono assolutamente percepibili. A guardarle stando con i piedi appoggiati al suolo, le pietre non avevano infatti alcun senso e sembravano soltanto banali sassi. Ma osservandole dall’alto della scala, le pietre si trasformavano in meravigliosi uccelli, giaguari, enormi alberi o fiori.

bienn-5-marte-reicheBruce Chatwin dovette assolutamente fare una fotografia della donna e scrivere un testo su di lei. Maria Reiche non aveva abbastanza denaro per noleggiare un aereo e studiare le linee dall’alto, e la tecnologia dell’epoca non disponeva di droni da far volare sul deserto. Ma l’archeologa era abbastanza creativa da trovare comunque un modo per riuscire nel suo intento. Quella semplice scala è la prova che non dovremmo chiamare in causa limiti, seppure duri, per giustificare l’incapacità di fare il nostro lavoro.

Contro la scarsità di mezzi: l’inventiva. 

D’altra parte, è molto probabile che Maria Reiche si sarebbe potuta permettere un’automobile o un furgone per viaggiare nel deserto, salire sul tetto della vettura e guardare da una certa altezza; e così facendo si sarebbe anche potuta spostare con maggiore rapidità. Ma questa scelta di convenienza avrebbe distrutto l’oggetto del suo studio. Quindi, in questo caso, si è arrivati a una valutazione intelligente della realtà grazie all’intuizione dei mezzi con i quali prendersene cura.

Contro l’abbondanza: la pertinenza. 

Da questo racconto parte la linea curatoriale di Aravena: guardare da un punto di vista diverso, trovare soluzioni alla scarsità dei mezzi, rispettare il diverso.

“Reporting from the Front” si propone perciò di ascoltare tutti coloro che sono stati capaci di una prospettiva più ampia, e di conseguenza sono in grado di condividere conoscenza ed esperienze, inventiva e pertinenza con chi tra noi rimane (ancora) con i piedi appoggiati al suolo.

Da una parte, si vuole ampliare la gamma delle tematiche alle quali ci si aspetta che l’architettura debba fornire delle risposte, aggiungendo alle dimensioni artistiche e culturali che già appartengono a quell’ambito, quelle sociali, politiche, economiche e ambientali. Dall’altra, si vuole evidenziare il fatto che l’architettura è chiamata a rispondere a più di una dimensione alla volta, integrando più settori invece di scegliere uno o l’altro.

Gli “imperdibili” della Biennale sono numerosi: fra i tanti, si parte dall’ingresso all’Arsenale realizzato con il materiale di recupero della vecchia Biennale 2015 fino ad arrivare al Padiglione della Germania intitolato “Making Heimat”. In questo caso la Germania ha ottenuto dalla soprintendenza il nulla osta per abbattere alcune pareti del suo padiglione, costruito dall’architetto di Hitler, Albert Speer, nel 1938. L’abbattimento dei muri è una vera e propria metafora: come la fine del Muro di Berlino nel 1989 diede avvio a una nuova stagione europea, così questo vuole dare simbolicamente una spinta alla costruzione di una Europa aperta, senza muri e senza frontiere.

bienn-3-germIl padiglione svizzero, intitolato “Incidental Space”, inaugurato dal Consigliere Federale Alain Berset, è stato realizzato dal professor Christian Kerez dell’ETHZ in collaborazione con i suoi studenti e con la storica dell’arte Sandra Oehy (curatrice delle mostre svizzere per questa Biennale). Kerez, nato a Maracaibo (Venezuela) ha impostato la sua visione di una struttura assolutamente inedita, di ispirazione geologica e quasi organica, una sorta di “geode” abitabile che sfrutta lo spazio espositivo nella sua interezza, senza vincoli e limiti posti da regole, concetti e materiali. È costituita da 250 parti realizzate con tecniche di fresatura e stampa 3D a partire da un modello in scala scannerizzato e scalato. Ogni pezzo è poi irrobustito con cemento fibro-rinforzato e poi montato sul posto. “Incidental Space” è una realizzazione ingannevolmente aleatoria che è in realtà il risultato di progettazione e calcoli complessi: l’interno è sorprendentemente spazioso, una caverna sintetica che induce a ripensare tanti concetti e preconcetti sugli spazi abitativi.

SONY DSCIl Padiglione statunitense presenta dodici progetti per Detroit, diventata una inquietante città di rovine industriali, tra le quali i complessi di Albert Khan (in uno è stato girato il film Batman v Superman).

Al Padiglione del Belgio il team Bravoure (architecten de vylder vinck taillieu, doorzon interieur e il fotografo Filip Dujardin) mostra che nelle Fiandre è ancora possibile, nonostante le risorse siano sempre più scarse, fare un’ottima architettura e -per mostrarlo- porta a Venezia tredici progetti di altrettanti studi fiamminghi. Sono trittici, composti da repliche in scala reale di un dettaglio significativo, da una fotografia che ritrae quel frammento nel contesto dell’edificio e da un’immagine elaborata da Dujardin che rilegge in modo personale quel frammento.

bienn-6-belgioNel padiglione d’Inghilterra, dove il neosindaco di origine pachistana di Londra ha dichiarato guerra al “caro affitti”, si sperimentano dei minialloggi in cui si dorme a fianco dei fornelli elettrici. “L’ Home Economics”, commissionata dal British Council, interpreta la questione da un punto di vista non convenzionale: il tempo di occupazione di un’abitazione riflette i diversi modi dello stare “a casa” e può rappresentare una valida guida per il progetto d’architettura. Ed è questo il fulcro tematico sviluppato dal giovane team curatoriale, composto da tre astri emergenti dell’architettura inglese: Shumi Bose, Jack Self e Finn Williams.

Il Padiglione della Spagna, è stato insignito del Leone d’Oro come migliore partecipazione nazionale. Il titolo – che si potrebbe definire di “gaudìana” memoria – Unfinished rispecchia l’intento di mostrare come l’architettura spagnola abbia reagito alla crisi economica ed edilizia degli ultimi anni nella penisola iberica con alcune proposte che rappresentano al serenità e la saggezza delle nuove soluzioni costruttive.

Questa Biennale è una mostra anche sui procedimenti del progetto. «Vorrei che questa Biennale cambiasse l’approccio dei progettisti — ha dichiarato Aravena — spingendoli a considerare delle alternative alle convenzioni. Non si può rispondere a nuove domande su scala globale con vecchie risposte. Bisogna superare la mediocrità del mercato e includere la gente nel processo decisionale».

Inoltre c’è l’allestimento della Turchia, che per sostenere l’abolizione di restrizioni e di confini geografici, culturali e religiosi, ha fatto trasmigrare fisicamente e virtualmente una galea, dai vecchi cantieri navali turchi fino all’Arsenale veneziano. E tutto questo attraverso uno spettacolare ri-assemblaggio di materiali abbandonati reperiti nel porto di Istanbul.

SONY DSCOppure il Cile che sostiene a gran forza le idee del connazionale Aravena e, al motto “Against the tide”, va veramente controcorrente e schiera una serie di progetti di riflessione di giovani laureandi incentrata sul tema delle realtà rurali locali, realizzata con l’impiego di risorse minime e di materiali di scarto.

In poche parole, meno tecnologia virtuale, hashtag, rimandi ai social, bensì schizzi reali e post-it alle pareti, pensieri scritti a mano e proposte di estrema chiarezza presentate con semplicità. Le nuove parole chiave sono sostenibilità, durata, spontaneità, ingegno, fantasia, autocostruzione, pensiero collettivo. “Fare la differenza” è dunque la vera morale di questa Biennale, dove vince la capacità di affrontare diverse sfide estreme usando, sì, mezzi limitati, ma arricchiti dalla creatività umana, forza che ha la precedenza su qualsiasi tecnologia e dogma tecnico.

“Essenza” al posto di “apparenza”, sperando veramente che, prima o poi, le mentalità cambino e che alle belle parole si aggiungano finalmente ai fatti reali e concreti.

Aymone Poletti

fino al 27 novembre 2016

orari: 10-18, lunedì chiuso