A Lugano, domenica 15 gennaio 2017, nell’ambito delle iniziative per la Giornata della Memoria, la prof.ssa Maria Teresa Milano ha tenuto un’interessante conferenza su Terezin, alla presenza di un folto pubblico, dei rappresentanti delle altre comunità religiose e delle autorità cittadine. La presentazione è stata accompagnata dall’esecuzione di brani musicali Klezmer da parte di musicisti del gruppo Mishkalé.

Theresienstadt-e1393374232164Io ci sono stata a Terezin. Una decina di anni fa. Ricordo come fosse oggi il grigiore di quel posto, eppure era una giornata estiva, calda. Ricordo di aver pensato, ma come si fa ad abitare in un posto così, con la memoria che ha? Ricordo le stanze con tre piani di cuccette in cui gli internati dormivano stretti come sardine sotto un tetto pieno di fessure. Ricordo il tunnel che percorrevano i condannati fino al luogo dell’esecuzione, in un piccolo prato con lo sfondo di un alto muro. Adesso Terezin è una “cittadina”. Strano chiamarla così. Più appropriato forse chiamarla cittadella. Era nata infatti come insediamento militare difensivo al limite dell’impero asburgico, alla fine del diciottesimo secolo.

Con pianta a forma di stella ospitava, in due zone separate, la guarnigione militare nella cosiddetta Grande Fortezza e un carcere nella Piccola Fortezza. Un po’ come lo Spielberg; ricordate Le Mie Prigioni di Silvio Pellico? Durante la prima guerra mondiale Terezin fu utilizzata come campo di internamento per i prigionieri russi. Vi fu rinchiuso anche Gavrilo Princip, l’assassino dell’arciduca Ferdinando a Sarajevo.

Così quando i nazisti invasero la Cecoslovacchia nel ‘39 si trovarono questa cittadella già bell’e pronta e la utilizzarono subito, senza neppur doverne cambiare la destinazione d’uso.

Quando ho sentito che la prof.ssa Maria Teresa Milano veniva a parlarci proprio di Terezin ci sono andata molto volentieri. Proprio perché la conoscevo, proprio per approfondire e capire un po’ meglio, ammesso che si possa capire…

Maria Teresa Milano non ha dedicato solo tanto, tantissimo tempo allo studio di Terezin, ma anche tanta, tantissima passione. Ascoltandola si ha l’impressione che il mondo di Terezin l’abbia così coinvolta che rivive nelle sue parole e nella sua presentazione. Presentazione che inizia con il filmato di un’intervista a Federica Spitzer, una sopravvissuta che era andata volontariamente a Terezin (sic!) per stare vicina ai suoi genitori. Lei era infermiera e non era stata condannata ad andare nel campo. Io ho avuto la fortuna di incontrarla e posso dire che anche in vecchiaia era una persona eccezionale. Federica e i suoi genitori ebbero la fortuna incredibile e insperata di essere liberati nel ‘45 e trovare salvezza in Svizzera.

TheresienstadtMa perché Terezin, divenuta Theresienstadt nel 1941, quando la guarnigione militare fu trasferita altrove, fu così speciale? Perché fu addirittura considerato un campo di concentramento modello, anche se l’espressione stessa è una contraddizione di termini? Lo spiega la professoressa Milano. Dopo l’invasione della Cecoslovacchia cominciò la persecuzione degli ebrei anche lì. Dapprima Theresienstadt doveva essere solo un centro di raccolta per gli ebrei cechi, un nuovo ghetto. La cittadella in origine era stata concepita per ospitare da cinque a diecimila persone, i soldati e le loro famiglie, in tempo di guerra arrivò a contenere più di 40000 deportati. Non fu un campo di sterminio, piuttosto un campo di passaggio, la Piccola Fortezza restò sempre una prigione: vi furono internati molti oppositori del regime, e comunque vi si moriva. Poi, poco alla volta tutta l’area si trasformò, non in una cittadina ebraica come era stato promesso, ma in un vero e proprio campo di concentramento, nonostante lo Judenrat, che doveva amministrarla, nonostante altri inganni, come la banca che distribuiva banconote su cui era riprodotta l’immagine di Mosè con le tavole. Anche qui lo Judenrat aveva il terribile compito di redigere le liste di internati da mandare a est.. verso la loro destinazione finale.

Ebrei anziani, molte donne, molti bambini furono internati a Terezin, che divenne anche punto di raccolta – e passaggio – di artisti, letterati e studenti. Le condizioni di vita erano intollerabili, le guardie violente, la mortalità alta. Nonostante ciò, l’incontro fra queste persone così dotate, ebbe come conseguenza, proprio come una reazione chimica, di generare altra arte, altra creatività.

Maria Teresa Milano nella sua esposizione, alternata all’ascolto di brani musicali Klezmer eseguiti da due musicisti del gruppo Mishkalé, non si sofferma tanto sulla disumanità del luogo, sui numeri tragici, sulla disperazione che avrebbe dovuto pervadere la vita del campo, bensì sulla vivacità, sulla creatività, sulle iniziative artistiche e culturali che fecero di Theresienstadt il luogo speciale per cui è ricordata. E’ rimasta tanta documentazione a testimonianza di queste coraggiose attività:, locandine, spartiti, disegni, scritti. Sport, teatro, concerti, opere liriche, tornei di scacchi, cabaret: tutto si riusciva a fare a Terezin, nonostante la fame, la stanchezza e le lunghe giornate di lavoro. Queste attività furono dapprima osteggiate, poi addirittura incoraggiate.

Anche se non salvava la vita la musica tutelava l’identità e aiutava a sopravvivere. A parte Wagner, tutti gli autori venivano rappresentati e suonati, dalle musiche yiddish a Smetana, al degenerato jazz. Fu persino prodotta un’operina per bambini, Brundibar, composta nel 1939, ma rappresentata qui per la prima volta nel 1942.

theresienstadt-stamp600 gli spettacoli proposti in quattro anni. Più di 20000 i partecipanti. Ai bambini, alla loro educazione era dedicata la massima attenzione. Arteterapia la si chiamerebbe adesso. I musicisti arrestati cercavano di portare con sé i loro strumenti, altri riuscirono a portare i colori per i bambini. Che belli i disegni dei bambini di Terezin, quante cose ci raccontano. Quante farfalle nei loro disegni!
Erano così fieri di Terezin i nazisti che spinsero l’inganno oltre limiti accettabili. Invitarono funzionari della Croce Rossa a visitarla. Non importa se le donne avessero pulito le strade con le loro mani in ginocchio, se i prigionieri fossero vestiti bene per un solo giorno, se chi tentò di chiedere aiuto fosse immediatamente eliminato, l’inganno riuscì e fu addirittura girato un film: “Il Führer regala una città agli Ebrei”.

Resilienza, è questa la parola che secondo M. T. Milano descrive la particolarità di Terezin: l’orrore, ma anche la capacità di resistere e discernere, la fiducia nelle capacità dell’uomo, la scelta della vita, la consapevolezza della sacralità della vita, che – soprattutto con l’attenzione ai bambini e la loro tutela – cercarono in tutti i modi di trasmettere.

Restano le locandine, gli spartiti, i quadri, gli scritti, a testimonianza della resistenza spirituale e della speranza che non ha mai abbandonato gli occupanti di Terezin, nonostante tutto. Restano le cartoline che Bedrich Fritta disegna per il suo bambino, il piccolo Tommy. Tommy sul vasino, Tommy che gioca con un gatto (non c’erano animali nel campo), Tommy che guarda dalla finestra e vede i grattacieli. Papà Bedrich ha regalato a Tommy il suo futuro.

Per approfondire la storia di Terezin rimando al libro:

TEREZÍN, LA FORTEZZA DELLA RESISTENZA NON ARMATA
di Maria Teresa Milano, Effatà Editrice, 2017.
Maria Teresa Milano, dottore di ricerca in ebraistica, traduTEREZÍNttrice, docente di ebraico, autrice e formatrice. Crea e conduce progetti su storia, cultura e musica ebraica. Cura la rubrica “In ascolto” per Pagine Ebraiche –Moked. E’ inoltre cantante nel gruppo Mishkalé, con cui ha prodotto Shtetl, recital e disco.

Cristina Cattaneo, Lugano