Maurizio Canetta commenta su Facebook la lettera d’addio di un giovane suicida

È tardi e la lettera del ragazzo di Udine che si è suicidato di fronte al muro di no (vedi condivisione del post del Corriere della Sera) tormenta e mi tormenta. Viene pubblicata nei giorni del Festival di Sanremo che ammalia milioni di persone. Ne ho guardato un po’ anch’io. Non è una colpa. Mi viene in mente il ritornello di una canzone di Gaber (La presa del potere): “e l’Italia giocava alle carte e parlava di calcio nei bar”. L’Italia e Sanremo, ma potrebbe essere qualunque altro paese alle prese con il proprio evento ammaliante, non è una questione di nazione. Non possiamo farci carico delle tragedie del mondo, nemmeno di quello attorno a noi. Immagino che la sera dell’11 settembre 2001 qualcuno ha guardato un film divertente. In questa vicenda di Udine c’è il coraggio dei genitori, che vogliono rendere pubblico un dolore che possiamo solo immaginare tanto è grande e profondo. Non è una questione privata, ci gridano. In questa vicenda di

Udine ci sono le parole del ragazzo che diventano pietre scagliate addosso a me, a te, a voi tutti, perché sono semplici, pure e dure come la realtà. “Di no non si può vivere, di no si muore.” Un muro che gli si è parlato davanti, giorno dopo giorno. Ho detto molti no nella mia vita. Tutti motivati, tutti corretti, tutti appropriati. Ognuno di questi no ha lasciato un piccolo seme di dubbio, questa lettera lo fa crescere con prepotenza. Ogni giorno decine di persone pronunciano dei no motivati dalla necessità di selezione, dalle condizioni dell’azienda, dalle difficoltà del mercato. Tutto nell’ordine delle cose, ma messi in fila con altre decine di no diventano un muro invalicabile. Questo ragazzo è come i nostri ragazzi, i nostri vicini, è dentro di noi. Dice che è stufo di invidiare, di non sapere che cosa si prova a vincere. Scrive con la semplicità della disperazione, sono parole che potrebbero stare in un film come “Io, Daniel Blake” di Ken Loach, che ti fa penetrare nella realtà delle cose in maniera chirurgica, potrebbero stare – esagero? – ne “Il diario di Anna Frank”. Siamo abituati a considerare l’invidia un sentimento abietto, legato al desiderio di emulazione, di potere, di superfluo. Stiamo trasformando l’aspirazione a un diritto in un sentimento abietto. Questo ragazzo non voleva un trionfo, chiedeva solo di godere una piccola porzione di vittoria, un torneo minore, che gli permettesse di avere una misera prospettiva di scavalcare il muro dei no. Non l’ha avuta e con la sua lettera, lui ci entra sotto la pelle. Spero che resti a lungo sotto la mia pelle con lo stesso turbamento che provo adesso. Perché dovrò dire altri no, ne sono certo, ma dobbiamo tutti provare a togliere qualche pietra da quel muro invalicabile. Ne va del futuro dei nostri ragazzi, dei nostri vicini, che devono poter pensare che un giorno conosceranno il sapore di una vittoria.

Maurizio Canetta

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Un post notevole, pieno di umanità e di sentimento. Indubbiamente… incompleto, perché si dimentica di evidenziare un punto fondamentale: la soluzione non esiste. Nessun governo, nessun sistema sociale e statale potrà sanare la fragilità dell’essere umano. 

Quand’ero insegnante, e lo sono stato per tanti anni, mi prendevo talvolta – nel bel mezzo di un’equazione differenziale – un po’ respiro. E allora domandavo (ad esempio) ai miei alunni: “Voi sapete che cos’è la felicità? Volete sentire la mia definizione?”

“Sì sì ce la dica!”   “Ebbene… è una forma di infelicità sopportabile“. Valanga di incredule proteste.

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Orio Galli ha invece commentato così.

Caro Maurizio, condivido i tuoi pensieri ma – se mi permetti –  solo in parte. E sai perché? Perché quando si parla o si scrive – cose ambedue che tu sai fare molto bene – da un pulpito mediatico privilegiato, pubblico e importante come quello che tu occupi, si dovrebbe a volte riuscire a stare zitti. Anche perché solo il silenzio, di fronte a certi drammi, può avere forse ancora un senso. (Altro che battimani ai funerali…!!!)

Tutto il resto – a parte la voglia, la forza, il coraggio di agire e di combattere senza sosta… sino alla fine dei nostri giorni – rischia, secondo me, di diventare vuota retorica.

Un gallinorio abbraccio