Dal 12 febbraio al 28 maggio 2017 il Museo d’arte della Svizzera italiana presenta la mostra “Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum”, dedicata a una delle artiste più celebri del Novecento, qui presentata accanto ai maggiori esponenti del movimento dada e surrealista e a figure di rilievo nel panorama dell’arte contemporanea.

A cura di Guido Comis, curatore MASI Lugano, in collaborazione con Maria Giuseppina Di Monte, direttrice dei Musei Andersen, Manzù e Praz di Roma e studiosa dell’opera di Meret Oppenheim, l’esposizione è realizzata anche grazie al contributo di importanti collezioni private e istituzioni pubbliche svizzere e internazionali.

Meret Oppenheim (1913-1985) è una delle artiste più celebri del Novecento e autrice di opere divenute vere e proprie icone dell’arte del secolo scorso. Il suo straordinario fascino e la sua personalità si sono riflesse nella vita e nelle creazioni dei suoi amici e colleghi come Man Ray, Marcel Duchamp, Max Ernst, Alberto Giacometti, René Magritte e molti altri, facendone una figura centrale nella scena artistica degli anni Trenta. Attraverso un centinaio di opere, la mostra a lei dedicata documenta il suo intero percorso, dagli esordi nella Parigi dei primi anni Trenta fino alle esperienze non figurative degli anni Settanta e Ottanta. Nel percorso espositivo le sue creazioni dialogano con quelle dei maggiori esponenti del movimento dada e surrealista e di alcuni affermarti artisti contemporanei come Robert Gober e Mona Hatoum.

La mostra
L’esposizione presentata dal Museo d’arte della Svizzera italiana (MASI Lugano) e curata da Guido Comis in collaborazione con Maria Giuseppina Di Monte, ha luogo a pochi passi da Carona, borgo caro all’artista che lì, nella casa di villeggiatura di famiglia, trovò un rifugio sereno anche nei momenti più inquieti della sua esistenza. Le opere esposte evidenziano la fitta trama di rapporti che legarono Meret ai più anziani e spesso già celebri colleghi dell’epoca, ma soprattutto sottolineano il suo autonomo profilo di artista vicina al Surrealismo non per spirito di emulazione, ma poiché riconobbe nel movimento di Breton l’espressione di una sensibilità prossima alla propria: «Non sono io – disse – che ho cercato i surrealisti, sono loro che hanno trovato me». La mostra permette dunque di emancipare Meret Oppenheim dall’immagine di musa e di modella che in passato ne ha spesso e ingiustamente oscurato l’opera.

Il percorso espositivo si sviluppa in sezioni tematiche ognuna delle quali mette in luce un diverso aspetto e momento del suo processo creativo: dal rapporto di intenso scambio di idee che, al suo arrivo a Parigi all’inizio degli anni Trenta, intrattenne con i colleghi dadaisti e surrealisti, alle composizioni astratte degli anni Settanta.

La mostra si apre con alcune creazioni esito dell’incontro fra la giovane e irriverente Meret Oppenheim e le opere dei colleghi Marcel Duchamp, Man Ray, Jean Arp, Max Ernst e altri ancora. Il percorso prosegue con oggetti come tazze, boccali, scarpe e guanti che, come fossero entità animate, manifestano i segni di una vita propria, sviluppando pelliccia o coda, vene e capillari o unendosi in baci appassionati. È poi la volta dei dipinti in cui l’artista si trasfigura prendendo le sembianze di personaggi fiabeschi o legati al mito: la donna serpente, la donna uccello, la donna di pietra. Emerge dai dipinti anche la relazione viscerale che lega l’artista alla terra. A queste composizioni fanno da contraltare rappresentazioni del cielo e degli astri: visioni premonitrici o creazioni che adombrano significati escatologici. Una sezione di ritratti e autoritratti di Meret e dei colleghi permette inoltre di dare un volto agli artisti presenti in mostra e di apprezzare l’attitudine della cerchia surrealista a mettere in gioco, attraverso travestimenti o interventi sui ritratti, il proprio volto e la propria identità. Contigua a questa sezione è infine quella dedicata ai volti fantastici e alle maschere create da Meret e dai colleghi. Si tratta di sculture e dipinti, ma anche di maschere ideate in occasione delle celebri feste di carnevale di Berna e Basilea, pensate tanto per celare quanto per rivelare aspetti reconditi della personalità di chi le indossa.

Sono rappresentati in mostra anche alcuni artisti contemporanei affermati – Robert Gober, Mona Hatoum, Birgit Jürgenssen – le cui opere si ispirano o rimandano in modo indiretto alle creazioni dell’artista svizzera. È così possibile apprezzare la forza di suggestione che le invenzioni di Meret Oppenheim hanno avuto sulle generazioni della seconda metà del Novecento.