Siamo ormai agli sgoccioli, mancano poche ore. La lotta è stata accanita e senza esclusione di colpi. Domani pomeriggio sapremo.

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Perché la Riforma dell’imposizione delle imprese III (in breve RII III) in votazione questa domenica è tanto importante per la Svizzera ed il Ticino? Lo si capisce guardando al passato e al futuro.

La RII III è la risposta svizzera alle pressioni che negli ultimi anni l’UE e l’OCSE hanno esercitato contro i nostri regimi fiscali privilegiati. Da vari decenni infatti la Svizzera tassa in modo ridotto le società holding alla testa di gruppi societari svizzeri ed internazionali, oppure le società che commerciano beni e servizi comprati all’estero e venduti all’estero, oppure ancora succursali svizzere di società estere che si occupano di finanziare le attività di tutto il gruppo internazionale.

Questi regimi hanno permesso nel passato di attirare importantissime marche internazionali senza dover necessariamente ridurre le aliquote alle società locali. Proprio questa disparità di trattamento è contestata dall’UE e dall’OCSE, sempre più con l’acqua alla gola per le proprie finanze pubbliche, che minacciano (credibilmente) di mettere la Svizzera su una serie di liste nere qualora non abolisca i regimi fiscali privilegiati. Finire su una lista nera, come è stato il caso per qualche anno con l’Italia, significa concretamente che le spese sostenute da una società estera (per es. francese o tedesca) verso una società svizzera possono non venir riconosciute dal Fisco estero. La conseguenza è che tale spese non valgono come costo, l’utile fiscale della società francese o tedesca aumenta e su tale ripresa dell’utile ci si devono pagare le imposte estere. La società svizzera è così tagliata fuori dal giro.

La RII III che si vota domenica è il frutto di quasi cinque anni di lavori, concertati tra il Fisco federale, i rappresentanti delle amministrazioni fiscali cantonali, ma anche i rappresentanti dell’economia privata e le maggiori società di consulenza fiscale. Perché mai? L’obiettivo è stato di sostituire i privilegi contestati con delle misure già oggi utilizzate in altri Paesi europei e non. Queste misure, senza entrare nei tecnicismi, mirano di fatto a stimolare l’innovazione (ricerca e sviluppo più utili da brevetti) nonché aziende con molto capitale proprio e pochi debiti. Ma ancor più rilevante sarà la generale riduzione delle aliquote fiscali sugli utili di tutte le società.

Chi sono i vincitori della RII III? Sicuramente non i grossi gruppi, che pagheranno leggermente di più di oggi (tant’è vero che si sono appunto cercati nuovi espedienti per non perderli). A guadagnarci sarà chi oggi è tassato ordinariamente, in buona sostanza le piccole e medie imprese nonché le banche. Le prime rappresentano la spina dorsale dell’economia svizzera e già sono sotto pressione per il franco forte, mentre come tutti sanno le seconde da qualche anno devono destreggiarsi nel nuovo mondo della trasparenza bancaria internazionale e hanno margini sotto continua pressione che le sta portando a ridimensionarsi, chiudere o fusionare.

Vale la pena non perdere la visione d’insieme. Quella di domenica si chiama RII III perché negli ultimi 20 anni vi sono già state due riforme della fiscalità delle imprese (nel 1997 e nel 2008). Entrambe hanno introdotto alleggerimenti fiscali e aumentato il gettito assoluto per Confederazione e Cantoni proveniente dalle imposte societarie. Non si tratta di un controsenso, bensì dei normali effetti della concorrenza internazionale che fino ad oggi la Svizzera è riuscita a vincere, anche per motivi fiscali oltre alla stabilità politica, l’alta formazione, la coesistenza di lingue e culture,… Bastano due numeri per capire l’importanza della riforma: le società a statuto speciale pagano oggi ben la metà dell’imposta federale diretta sull’utile in Svizzera ed in Ticino ben il 20% delle imposte societarie malgrado rappresentino solo il 4.5% dei contribuenti. Non è il caso di perderle. Ecco in buona sostanza cosa c’è sul piatto domenica e perché la sinistra rischia un enorme autogol se vincesse il referendum.

Paolo Pamini, AreaLiberale