Il titolo, proprio per la sua ambiguità, parla chiaro. “Un assassinio in Turchia.” Vale a dire “un assassinio qualunque”, poiché le morti son tutte uguali. Verissimo. L’Eguagliatrice enumera le fosse, diceva Gozzano. Eppure mai come qui l’uguaglianza pare inopportuna.

Primo – La vittima aveva un importante ruolo diplomatico: era un ambasciatore. Russo. Ora, che la Russofobia sia un’intolleranza che ormai serpeggia in quell’Occidentalismo malato e astorico che preferisce cercare alleati nei propri nemici e considerare nemici i suoi alleati, è cosa nota, purtroppo. Ma affermarne il concetto e consolidarlo in una vittoria fotografica, supera i limiti della coscienza civile.

Secondo – La foto omaggia il terrorista, ritraendolo come eroe vittorioso, che si erge sul corpo disonorato della vittima. Ed egli, il carnefice, urla, gridando al mondo la rabbia dormiente (in procinto di esplodere a catena intermittente) della Turchia nei confronti di quell’Oriente conservatore, ancora bianco come le sue nevi.

Terzo – La vittoria di una simil foto suggella una dichiarazione di guerra. Da parte di un Occidente asettico e passivo, alleato a una Turchia pericolosa e sovversiva, contro una Russia ultimo baluardo dei valori millenari e della cultura greco-romana-cristiana (ortodossa). L’arte dovrebbe cercare la pace, si dice. Quivi si celebra una battaglia impari, ingiusta, vergognosa. Uno spregio alla civiltà umana, il discredito del valore della vita stessa, la cancellazione della frontiera tra il Male e il Bene. E’  la celebrazione della turpe morte di un padre di famiglia e dell’ignominosa vittoria di un terrorista. E’ l’esaltazione dell’omertà, poiché in quella foto si omette implicitamente che quell’assassino, vestito così all’occidentale, un agente per giunta, compiendo l’atto dell’assassino, ha invocato Allah. E’ dunque l’implicita accettazione ed integrazione (letterale) del terrorismo islamico. Che agisce per vendetta, giustificando i miliziani dell’Isis (quelli che troppo spesso vengono chiamati semplicemente “i ribelli”). La vendetta, anzi la ritorsione, del terrorismo, che l’Occidente, coi suoi concorsi fotografici mondiali (e di regime) autodistruggendosi, accetta, celebrandone la diretta. Omicidio in diretta, dell’ambasciatore. Suicidio in diretta, dell’Occidente.

La Vittoria dell’Assassino – World Press Photo 2017 – vince la foto “Un assassinio in Turchia” di Burhan Ozbilici (Nella foto M.M. Altintas uccide l’ambasciatore Andrej Karov)

 

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