“La maggioranza degli UDC e PPD ha votato contro. Non è anche un voto di protesta contro una élite che ha arrogantemente dimostrato di non voler tener conto della volontà della maggioranza popolare?”

“Economiesuisse è la grande perdente”

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore

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Da convinto assertore della democrazia diretta prendo atto che i cittadini svizzeri hanno rifiutato lo scorso fine settimana la modifica fiscale proposta. Non propongo certo né di rivotare, anche perché l’esito è chiarissimo, né intendo rivolgermi a giudici magari stranieri e non mi permetterei mai di considerare il popolo bestia e incapace di capire su cosa stessimo votando.

Il risultato deve però essere stimolo per un’analisi approfondita non limitandosi alla sconcertante banalità di una risposta del presidente dell’Economiesuisse che in un’intervista con la NZZ afferma che gli avversari avevano argomenti più comprensibili e gratificanti (!) e che le argomentazioni in favore erano troppo poco concrete (se ne accorge adesso?).
Una prima osservazione è di carattere sociologico e concerne il modo in cui è mutata la società svizzera. Bene ha fatto il Partito socialista ad indirizzarsi alla classe media, perché è lì e non negli operai che oggi ha maggiore presa. Gli impieghi pubblici e parapubblici in Svizzera sono oggi 1.206.400 e prendendo quale parametro gli impieghi federali si parla di un salario medio di 120.000 franchi. Se a questi aggiungiamo i 2.189.616 beneficiari delle rendite AVS, AI e altre, abbiamo un’imponente massa il cui reddito dipende dallo Stato e non direttamente da attività produttive. Non tutti votano (vedi stranieri), non tutti appartengono alla classe media, ma questo è il vero serbatoio del PS.

Gli uomini politici francesi lamentano l’impossibilità di fare delle riforme perché gli oltre 5 milioni di dipendenti pubblici e parapubblici francesi sono un ostacolo insormontabile. Complimenti al mondo socialista, radico-socialista, cattolico di sinistra per il successo nella realizzazione del loro progetto di una società fortemente statalizzata e burocratizzata. Ma siccome da soli non hanno mai avuto la maggioranza in Svizzera, sono ovvie le pesanti responsabilità di chi dichiarandosi liberale o conservatore o genericamente borghese, per insipienza culturale o per piccoli calcoli politici di bottega ha permesso questa (per me) deriva.

La seconda riflessione da approfondire è il peso avuto tra i no dalla lacerazione che tormenta la Svizzera per la questione europea. Inutile negarlo, la maggioranza del Consiglio federale, dell’amministrazione e del corpo diplomatico, del mondo intellettuale è eurofila. Nella loro colleganza burocratica con Bruxelles e nel loro esercizio del potere se la maggioranza degli svizzeri non si opponesse in modo deciso oggi saremmo già nell’UE (alcuni propongono addirittura di sostituire il franco con l’euro). Con le indecorose genuflessioni a Bruxelles, con l’enfatizzazione dell’importanza dei Bilaterali e del rischio di disdetta, con i giochetti da retrobottega per umiliare l’UDC, con l’approvazione di una legge chiaramente in violazione dei disposti costituzionali (precedente pericolosissimo per ulteriori violazioni) si è creata nel Paese una profonda, allarmante lacerazione. Siamo tutti responsabili e dovremmo impegnarci per evitare pericolose conseguenze. La maggioranza degli UDC e PPD ha votato contro. Non è anche un voto di protesta contro una élite che ha arrogantemente dimostrato di non voler tener conto della volontà della maggioranza popolare?

La terza riflessione riguarda una Economiesuisse in difficoltà da anni e che è la grande perdente di domenica scorsa. I punti deboli di Economiesuisse a me paiono: perdita di autorevolezza, una certa incoerenza conseguente allo sfaldamento delle convinzioni ideologiche e confusione tra rappresentanza di interessi del Paese e cedimenti lobbistici.
Da tempo si lamenta che i massimi tenori dell’economia, le figure più rappresentative, quindi più autorevoli, non si mettano a disposizione. Si ripiega su figure di presidenti degni di stima ma che non possono avere lo stesso impatto. In un’intervista l’attuale presidente deplora che le singole aziende non si siano impegnate come di dovere. Se la truppa non segue, i generali non possono vincere le battaglie. L’essere andati a scegliere una indubbiamente competente direttrice tra gli alti funzionari dello Stato è segno di incoerenza. Infatti, tradisce il desiderio di una corsia preferenziale tra persone che in virtù di anni di comune lavoro hanno l’uguale DNA burocratico abbandonando il necessario confronto dialettico tra due mentalità e visioni (statale e privatistica) entrambe necessarie. Parimenti l’accettazione di un ulteriore appesantimento del mercato del lavoro (la cui agilità è uno dei nostri vantaggi competitivi) quale baratto per un’insoddisfacente soluzione al disposto costituzionale votato il 9 febbraio 2014 lascia perplessi. Ad Economiesuisse incombe più ancora che la difesa di interessi settoriali quella di un’economia di mercato (spesso mortificata) che è la premessa del successo del settore produttivo svizzero.

Infine gli ondeggiamenti ad esempio, secondo quanto riferito, in materia di voto sulla tassa per la SSR (2016) e l’impatto che avrebbe avuto Swisscom (pochi mesi dopo in società con SSR e Ringier) fanno scadere l’azione a livello di crudo lobbismo. Per vincere le campagne non bastano i soldi (che in gran parte finiscono nelle tasche di agenzie di pubbliche relazioni che oltretutto non rispondono per errori di impostazione). Ci vuole una credibilità frutto dell’autorevolezza e ancor più di un atteggiamento che provi che si rappresentano gli interessi dell’indispensabile mondo della produzione ma in sintonia con quelli del Paese. Molta materia per severi esami di coscienza.

Tito Tettamanti