“In Svizzera il reddito di un numero sempre maggiore di persone non dipende da attività economicamente produttive”

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Quando leggo (e con piacere ripubblico) queste lucidissime analisi, talvolta mi domando: “Esiste il partito di Tettamanti?” La risposta è: idealmente forse sì, praticamente NO. Lui incarna felice il suo ruolo di maître à penser, rispettato da tutti e contestato di rado. Questo gli basta. Ma l’onda politica maggioritaria non prende la sua direzione, perché è troppo scomoda e, confessiamolo, “politicamente scorretta”.

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Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore

Le considerazioni del segretario di Stato Dell’Ambrogio nel suo commento del 21 febbraio, anche per l’autorevolezza della fonte mi hanno fatto riflettere. Mi pare esprimano bene la frattura oggi esistente in Svizzera. Da un lato l’Amministrazione, politici, esponenti dell’economia, la maggioranza del mondo accademico e intellettuale e dei media. Dall’altro una parte consistente della cittadinanza che si trova su posizioni critiche e preoccupate.

L’establishment di un Paese non ha il compito facile, deve aver la forza di non indulgere alle mode effimere, non confondere l’interesse del Paese con i propri e neppure appiattirsi sulla paralizzante comodità del conformismo.
Mettiamo a confronto le due visioni. A proposito della Brexit Dell’Ambrogio contrappone quanto ottenuto dalla Svizzera a suo tempo con i Bilaterali e le difficoltà che avrà Londra abituata a gridare più forte. Gli ambasciatori svizzeri che ho avuto la possibilità di conoscere, mi portano a condividere il giudizio positivo. Purtroppo di attualità è quanto successo negli ultimi tre anni. Anche un agguerrito corpo diplomatico poco può fare con un Consiglio federale la cui maggioranza è chiaramente eurofila e con un ministro degli esteri evanescente.

Trovo meschino l’atteggiamento degli establishment internazionali che si augurerebbero che la Brexit finisca male per punire 17 milioni di zoticoni inglesi responsabili della decisione. La signora Merkel è preoccupata perché ha perso l’unico alleato di peso nella lotta contro un’Europa del sud spendacciona e disastrata che, uscita l’Inghilterra, spesso avrà la maggioranza dei voti nelle decisioni per contrastare la Germania.

A proposito di UE, Eurozona e Germania basterà ricordare come quest’ultima ha circa 700 miliardi di euro di crediti (TARGET) nei confronti della BCE, mentre i GIPSIC (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Cipro) 732 miliardi di debiti. Nonostante i funambolismi di Draghi per tenere in piedi la baracca e ritardare l’inevitabile siamo seduti su una polveriera.

Le arroganti galliche richieste di Barnier, rappresentante di Juncker, di un pagamento di 60 miliardi all’UE da parte dell’Inghilterra prima di iniziare le negoziazioni non sono un atto di abile diplomazia ma sparate irresponsabili di chi è alla canna del gas. Vedremo come andrà, comunque per il momento, nonostante i numerosi gufi, i risultati dell’economia inglese dopo la Brexit sono positivi.

A proposito di Bilaterali non posso che ribadire tesi già da me esposte:

– i Bilaterali hanno perso di importanza, opinione condivisa tra l’altro da ambasciatori e parlamentari;

uno studio che ho fatto eseguire con l’avallo del professor Eichenberger ha messo in evidenza la parziale inattendibilità di altri studi commissionati dalla SECO e gonfiati perché proiettati su decenni e dimentichi dei risparmi. Ovviamente come d’uso lo studio è stato ignorato o si è cercato genericamente di declassarlo. D’altro canto, viste le recenti critiche del Controllo federale delle finanze sugli errori (voluti?) di previsione della nostra burocrazia, la cautela nei confronti delle cifre prodotte dall’amministrazione mi sembra lecita;

– considerando i singoli accordi, cosa si teme? Che gli Stati europei non vogliano più passare dal San Gottardo con camion superpesanti? Che vengano fatte delle angherie alla Swiss? In tal caso passiamo la lettera alla signora Merkel, che ne è la «proprietaria». Una Svizzera in crisi perché gli ostacoli al commercio potrebbero procurare 300 milioni di franchi di maggiori costi? Potrei continuare;

– la disdetta (per tutti i Bilaterali) la deve dare l’Unione europea se ritiene che abbiamo violato qualcuno degli accordi. Un modo dignitoso di trattare sarebbe stato trovare una soluzione più rispettosa di quella attuale della volontà popolare e ciò nei primi 12-18 mesi, poi presentarsi a Bruxelles ed iniziare le trattative. I pellegrinaggi prematuri con i burocrati dell’UE ci hanno valso tra l’altro un avvilente complimento dei funzionari di Bruxelles che si sono vantati di aver tenuto per mano i nostri rappresentanti. Vai a fidarti di certi amici, anche se colleghi burocrati;

– la disdetta inoltre deve venir decisa all’unanimità. Non abbiamo proprio qualche «amico interessato» tra i vari Stati? Nelle pieghe delle trattative non si sarebbe trovato qualche compromesso?

– Aggiungo che la dottrina (vedi anche l’ultimo studio del think-tank Bruegel) conviene che la libertà di movimento delle persone non è indispensabile per il mercato unico quanto quella relativa a merci, servizi e capitali. Più Stati europei cominciano a tirare le conseguenze. Cosa diciamo della recente decisione dell’Austria, tipo «Prima i nostri»? Quale l’urgenza di inchinarsi dinanzi a Bruxelles? Il tempo non sta forse lavorando per noi? Tutti oggi vogliono guadagnar tempo. Ma che senso ha quando ci si è già arresi?

A proposito dell’aumento degli impieghi pubblici, francamente non riesco a capire il ragionamento che mi viene opposto. Grave non sarebbe l’impressionante aumento dei funzionari di Stato e parastato arrivati a 1.206.400, non il fatto che in Svizzera il reddito di un numero sempre maggiore di persone non dipende da attività economicamente produttive, ma importante per contro è il fatto che se avessimo naturalizzato un maggior numero di stranieri ovviamente la percentuale (ma non il numero assoluto) diminuirebbe. Per evitare ogni malinteso dico che ho votato sì per le naturalizzazioni agevolate, ma non condivido l’atteggiamento di quei politici per i quali la naturalizzazione è diventata l’arma ideologica per la mondializzazione (o per aumentare il proprio bacino elettorale).

La concessione della cittadinanza dev’essere nell’interesse preminente della comunità che accoglie. Pericolosa l’intenzione di creare uno specifico diritto umano a migrare, vale a dire stabilirsi ovunque si desideri, una specie di diritto naturale. Queste considerazioni si trovano in un saggio di Valditara, Blangiardo, Gaiani (Immigrazione, tutto quello che dovremmo sapere), di cui ha parlato il «Corriere del Ticino».

Per quanto concerne le varie destre, due osservazioni. La prima: oggi, con buona pace di Norberto Bobbio, non vi è più una divisione tra destra e sinistra (quest’ultima ovviamente secondo Bobbio moralmente superiore). I fronti sono tra il cartello del potere (internazionale e tecnocratico con le varie istituzioni tipo FMI, Banca Mondiale, G20, OCSE, UE eccetera), i governi nazionali con le loro burocrazie, le multinazionali, in una parola con chi oggi governa il mondo, da un lato, e, dall’altro, moltissimi cittadini che affluiscono sempre più nelle file dei movimenti anti-establishment ed è nostro obbligo di cercare di capire il perché.

Il tema dei partiti anti-establishment è il più preoccupante e siamo stretti nella morsa tra uno statalismo invadente, super indebitato e in difficoltà, e la crescente reazione di movimenti che raccolgono con successo frustrazioni e proteste. Le idee e i programmi di questi movimenti sono spesso nebulosi quanto incoerenti. Ma ciò non legittima a considerare il fatto con sufficienza. L’onda di protesta è ormai generalizzata e se si dovesse ulteriormente ingrossare potrebbe realmente far paura.

Tito Tettamanti