Interessante e provocatorio articolo pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore

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Riguardo l’aspra baruffa sulla Clinica Sant’Anna, la relativa denuncia penale per diffamazione… e l’astuto vittimismo del Caffè Ticinolive ha un’opinione molto netta, che è la seguente. L’accanimento spropositato del domenicale ha ben poco a che vedere con la libertà di stampa e l’esigenza di “informare” il pubblico, che era già amplissimamente informato. Quanto a Ruben Rossello, fa benissimo a dire la sua.

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Con il titolo: «Un segnale potente per difendere la libertà di stampa» Ruben Rossello, presidente dell’Associazione ticinese dei giornalisti, su ilCaffè di domenica 19 febbraio, fa la sua «analisi». Caro Ruben, ci mancherebbe che anch’io non stia dalla tua (vostra) parte. Anzi, andrei più in là con l’analisi, dicendo tout court: «Salviamo la stampa». E in particolare la stampa cartacea – quella scritta nero su bianco – che sta purtroppo morendo. Vorrei però vedere quanti dei tuoi colleghi sarebbero disposti a fare altrettanto con gli «operatori» del settore della comunicazione visiva (quella di qualità, sia ben chiaro) che sta altrettanto soffrendo. Con qualcuno magari vicino alla canna del gas.

Ma cerchiamo di iniziare facendo un po’ di chiarezza. Anche con un po’ di storia. Compresa quella spicciola «nostrana».
Pochi giorni fa, nell’«Approfondimento» – ah, le profondità del profondo dei «tempi televisivi» – al Quotidiano della RSI si è parlato di giornali. E di quel che starebbe succedendo nel campo mediatico; anche con interviste ai direttori e agli editori dei tre quotidiani ticinesi.

Il «prestigioso» settimanale romando Hebdo ha chiuso. Molti media cartacei boccheggiano. Siamo forse vicini alla catastrofe. Anche della democrazia? Altro che app o ashtag. A questo punto, cari giornalisti, vi chiedo: non sarà mica un po’ anche colpa della vostra categoria (casta?) professionale, se le notizie di cronaca oggi si possono trovare dappertutto in tempo reale? Ma se così fosse, i giornali cartacei avrebbero dovuto già cambiare da tempo obiettivi e strategie per la loro comunicazione, concentrandosi maggiormente sulle riflessioni, sulle analisi, sugli approfondimenti del giorno dopo. E sulle inchieste: ma quelle vere, fatte con gli «attributi», e non con la vaselina, le domandine al telefono o il copia e incolla.

Sennò addio pluralismo! Toltaci la possibilità di esprimere pubblica–mente (e non anonimamente) le nostre differenti idee in un libero confronto cosa ci rimarrebbe? Uscire dalla vita come ha fatto quel giovane, di professione grafico(!) che ha lanciato con una lettera-testamento il suo ultimo grido di dolore? Drammatico messaggio che i genitori hanno deciso di mettere in rete affinché tutti sappiano? Anche il direttore della RSI ha «partecipato alle condoglianze» con un suo post su Facebook.

Ma per ritornare a quella sera, durante la quale si è cercato di spiegare perché le cose starebbero mettendosi male – come il calo di abbonati, e quindi di ancor più di lettori dei media cartacei – non si è proprio riusciti a capire perché gli editori, già alcuni anni fa, abbiano deciso di mettere gratuitamente le notizie in rete. Informazioni online alle quali ha potuto subito accedere chiunque avesse avuto un collegamento con Internet. Ciò che oggi d’altronde ormai possono fare tutti ancor più facilmente con l’iPhone.

Io, che sono un «figlio dell’ultimo conflitto mondiale», ho cominciato a farmi le ossa con l’olio di fegato di merluzzo. Quando frequentavo già le elementari, per comperare il latte e il pane ci volevano ancora i bollini delle tessere annonarie dell’«Economia di guerra». E quando per la prima volta ho sentito parlare di «gratuità» mi sono chiesto: ma i giornali come faranno poi a sopravvivere? Credo che anche il mitico Gigi di Viganello l’avesse fin da subito capita, anche senza aver frequentato l’Università: che senza soldi, dopo un po’, non si beve e non si mangia.

Ma dove è finita l’economia? Tutta a putt…, da quando c’è la «rete» inventata da pochi grandi pescecani per fare abboccare anche i più minuti pesciolini? Con quell’enorme condotta nella quale ormai passa di tutto: pochissimi tubi di acqua sorgiva confusi in un’immensa cloaca dove molti scarichi fognari son pure di provenienza social. Sì, anche quelli del Trump, miei cari «radical–chiccosi». Ma perché, sull’altra sponda avevate forse qualche canalizzazione migliore da proporre?

Ormai tutti postano il loro profilo. Moltissimi chattano. Tutti scrivono, parlano, comunicano. Ma non passa più un tubo. Con questi mezzucci ognuno cerca di gonfiare al massimo il proprio ego coltivando non le verdure, ma l’eterno narcisismo. Pure alcuni di coloro che occupando prestigiose cariche pubbliche, e che potrebbero facilmente disporre, per questi loro mediatici «bisogni», di mezzi di comunicazione ben più seri e trasparenti.

È ormai accertato che sempre meno sono coloro che veramente leggono, ascoltano, comunicano. Tutti immersi come siamo, sino al midollo spinale, in una totale cacofonia (cacca-fonia?), da sommersi annegati nel nulla. Poi si fanno i dibattiti. Macchisenefrega, se non vi partecipano nemmeno gli studenti di Scienze della comunicazione. A molti professori – USI o non usi – sono sicuro interessi prima di tutto lo stipendio sicuro a fine mese, e la pensione garantita a fine carriera.

Ma facciano attenzione, anche «lor signori», perché pure le banche hanno finito da un pezzo di esercitare il loro tradizionale mestiere: quello di investire il denaro per far «fruttare» i soldi. Ormai gran parte degli istituti di credito sono diventati case da gioco dove sul denaro solo si fanno scommesse. Però con quello degli altri: quello di noi poveri minchioni.

Per il momento mi fermo qui. Anche perché su tante declamate «verginelle», anche della stampa scritta, parlata o filmata, ce ne sarebbero di cosucce da scoprire. E non proprio tutte illibate.

Orio Galli