La posta in gioco nell’immediato è alta soprattutto nella capitale, dove la “grande Bellinzona aggregata a 13” si appresta ad eleggere il suo Legislativo e il suo Esecutivo. E proprio nella capitale oggi 4 marzo l’UDC Ticino si è riunita a congresso. Il presidente sezionale Del Don non ha esitato a parlare di “momento storico” per una nuova realtà. I democentristi tentano la scalata al Municipio con lo stesso Del Don e con Marco Ottini, inseriti in una lista a 7 con Lega e Noce. Tutti sanno che la Città dei castelli è terra difficile per l’UDC (e per la Lega), poiché ha un elettorato orientato a sinistra, con una forte presenza radicale e socialista e una massa di impiegati statali. “Potrebbe però essere la volta buona. Nel 2012 abbiamo mancato il seggio per poche schede. Anche qui le cose possono cambiare” mi dice speranzoso un dirigente.

Il presidente Piero Marchesi ha un po’ maramaldeggiato, prendendosela ancor una volta con il PPD per la sua infelicissima (e incredibilissima) mossa di volersi atteggiare a “difensore del 9 febbraio tradito”. Per di più manifestando appoggio al ridicolo referendum di Stojanovic. Sappiamo bene qual era l’indicazione del partito (anche se molti azzurri, così come molti liberali, hanno votato sì). E sappiamo bene come si sono comportati a Berna. Il buon Piero lo definisco un po’ maramaldo perché la geniale pensata pipidina è abortita in men che non si dica. Non era il caso di scaldarsi tanto.


Articolato e approfondito il discorso di Marco Chiesa, consigliere nazionale. Egli ha messo bene in evidenza l’alleanza contro natura (opinione di chi scrive) tra liberali e socialisti per sabotare la Legge di applicazione dell’articolo costituzionale 121a. Operazione scandalosa ma perfettamente riuscita. In questa circostanza si è potuto misurare l’entità della perdita di indipendenza che il nostro Paese ha subito nel corso degli anni a causa di una conduzione politica inetta, timorosa e rinunciataria. Resta, per l’UDC cantonale, “Prima i nostri!”, tema sul quale i democentristi si stanno impegnando a fondo. Vi conseguiranno un successo sostanziale? Si può dubitarne. Ne trarranno qualche vantaggio d’immagine? Forse sì (detto con un pizzico di cinismo).

 

Marco Chiesa ha introdotto un elemento di novità dichiarando che, per facilitare l’applicazione della preferenza indigena, il partito è pronto a lanciare una modifica di legge che inserisca una clausola per il rilascio di nuovi permessi di lavoro per stranieri: essi saranno concessi solo se è appurato che per quel determinato posto di lavoro non vi erano candidati residenti. Su questo punto l’UDC si attende un appoggio dagli altri partiti.

Le domande fondamentali che giravano per la sala, come sospese nell’aria, erano di natura semplice, e sempre le stesse. Riuscirà il PLR a riconquistare la capitale e il sindacato? Del Don (se abbiamo capito giusto) prevede: “Resterà Branda”. Riuscirà l’UDC (in lista con Lega e Noce) ad agguantare il sospirato seggio nell’Esecutivo? C’è speranza ma non sfrenato ottimismo. Sarà in ogni caso dura. La città del “Dovere” e della “Regione”, degli statali e degli statalisti non mollerà facilmente l’osso. Che cos’è oggi il Noce? Di quale elettorato dispone? Di quali persone dispone? Questa è una domanda mia. Non ho risposta. Domandate a chi ne sa più di me.

Per finire. Notata l’assenza, vistosamente compatta, degli alleati di Area Liberale. Né Morisoli né Pamini né Siccardi né Pesciallo (tutti amici, per carità) si sono fatti vedere. Secondo me un errore. In particolare i due deputati (brillanti, come Ticinolive ha scritto più e più volte, senza esitazione) non dovrebbero mai dimenticare in quali specifiche circostanze il loro ambito seggio è stato conquistato. Un pensiero – utile e necessario – per il 2019 (che non è così lontano).   FINE