Innovazione: c’è chi vince e c’è chi perde

Le innovazioni delle rivoluzioni industriali hanno indubbiamente aumentato il benessere generale della società, ma nel corto periodo hanno creato grandi disparità tra vincitori e perdenti del cambiamento. I luddisti, ad esempio, si rivoltarono ad inizio del XIX secolo contro le macchine che li sostituivano al lavoro, mentre gli industriali godevano dei frutti dell’aumento della produttività. Questo scontro tra perdenti e vincenti è qualcosa che dovrebbe farci riflettere oggi. Sebbene non ancora totalmente percepita (forse solo nell’ambito delle ex regie federali, pensiamo alla Posta), una quarta rivoluzione industriale è ormai iniziata: la digitalizzazione. Ovvero la definitiva consacrazione della robotica e dell’intelligenza artificiale, così come dell’uso di piattaforme e della tecnologia online. Essa diminuirà le ore che gli umani dovranno lavorare per uno stesso livello di produttività, aprendo la via ad una riduzione dell’orario di lavoro o ad un reddito di base incondizionato. L’economista Acemoglu ha stimato che negli Stati Uniti per ogni robot impiegato ogni mille lavoratori tra il 1993 e il 2007 il tasso d’occupazione è sceso dello 0.34% (un robot per 5,6 operai) e i salari dello 0.5%, controllando anche per i posti di lavoro creati in altri settori (confronta: http://www.nber.org/papers/w23285). Essa stravolgerà completamente la struttura dell’economia che conosciamo, facendo scomparire molti dei lavori a cui oggi siamo abituati. Frey e Osborne hanno stimato che addirittura il 47% degli impieghi negli Stati Uniti sono ad alto rischio sostituzione, mentre Brzeski e Burk fissano questa quota a 59% per la Germania (confronta:http://www.oxfordmartin.ox.ac.uk/downloads/academic/The_Future_of_Employment.pdf; https://www.ing-diba.de/pdf/ueber-uns/presse/publikationen/ing-diba-economic-research-die-roboter-kommen.pdf ).

I compiti a casa per la politica
Le domande indirizzate alla politica sono molteplici e l’urgenza di risposte impellente. Ci sono domande di carattere etico nell’ambito dell’intelligenza artificiale, ad esempio riguardo la privacy (pensiamo alle fotocamere su ogni robot), la mansione da assegnare ai robot (provate ad immaginare le conseguenze di un corpo di polizia robot), il grado di gestione e di sviluppo autonomo di robot (e se i robot sviluppassero un’intelligenza superiore alla nostra?). Ci sono poi le domande di carattere economico: quali prospettive ci sono per lavoratori con poca formazione o con formazione specifica che verranno sostituiti dalla robotizzazione, in primis dopo una certa età? Domande di carattere fiscale: come recuperare le tasse e i contributi sociali pagati per ogni lavoratore se esso viene sostituito da un robot? Domande di carattere redistributivo: come combattere l’aumento delle disuguaglianze in un’economia dove il capitale conta più del lavoro umano?

Un tema attuale
Lo scorso mese di febbraio il Parlamento europeo ha accettato di creare una legislazione ad hoc sulla robotizzazione, approvando il rapporto della deputata socialista M. Delvaux. L’introduzione di una tassa sui robot è stata però respinta dal parlamento, come noto a maggioranza borghese. Tassa che è stata proposta recentemente anche da R. J. Shiller (Cfr. https://www.project-syndicate.org/commentary/temporary-robot-tax-finances-adjustment-by-robert-j–shiller-2017-03), premio Nobel per l’economia nel 2013, e perfino da B. Gates, per il quale mancherebbe una risposta pubblica adeguata all’immenso e rapido cambiamento che causerà la digitalizzazione. Se a sostenere una tale tassa è il fondatore della Microsoft, nonché uomo più ricco della terra, forse anche i più scettici potrebbero prendere in considerazione l’auspicabilità e l’urgenza di una politica di redistribuzione della ricchezza prodotta dai robot, così come la creazione di un paracadute occupazionale (per esempio una riqualifica professionale) per i settori stravolti dalla digitalizzazione. Un’altra via, che eviterebbe l’arduo problema di dare una definizione a “robot” sarebbe semplicemente quella di prelevare e redistribuire delle quote dalla rendita dei capitali come sostenuto dall’ex ministro greco Y. Varoufakis in risposta a Gates (Cfr. https://www.project-syndicate.org/commentary/bill-gates-tax-on-robots-by-yanis-varoufakis-2017-02).

Il tema è caldo anche in Svizzera
Il tema è caldo anche in Svizzera. Agli inizi del mese, il consigliere nazionale socialista M. Reynard ha depositato tre postulati riguardanti la robotizzazione: uno per una definizione giuridica di robot, il secondo per una valutazione delle conseguenze a livello di assicurazioni sociali, il terzo per valutare l’introduzione di una tassa sui robot. Al parlamento di Ginevra si discute invece se tassare le casse automatiche dei supermercati.

E in Ticino?
È di inizio marzo la notizia che il DFE intende realizzare un centro di competenze per agevolare la digitalizzazione delle aziende ticinesi, appoggiandosi alla SUPSI. Riconosco senza dubbio l’importanza degli sviluppi tecnologici globali per l’economia ticinese, ma sarebbe opportuno interrogarsi su cosa possa e debba fare lo Stato per frenare la disoccupazione, per non perdere tasse e contributi alle assicurazioni sociali e per ridistribuire la ricchezza prodotta dai robot. Se la politica oggi non si muove, non si dovrà poi lamentare quando i perdenti di turno decideranno di riesumare il luddismo.

Andrea Ghisletta